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Una visita di successo firmata da Éric-Emmanuel Schmitt
Creato il 16 febbraio 2015 da Athenae Noctua @AthenaeNoctuaLa vicenda immaginata da Schmitt si svolge all'indomani dell'annessione dell'Austria al Reich: Freud è incalzato dalla figlia Anna (Nicoletta Robello Bracciforti) a compilare i documenti che permetterebbero il loro espatrio, unica possibilità per una famiglia di origini ebraiche di sfuggire alle persecuzioni. Anna, però, viene portata al quartier generale della Gestapo da un ufficiale arrogante e corrotto (Alessandro Tedeschi) e, rimasto solo, il padre della psicanalisi riceve la visita di un uomo che inizia a parlargli come se lo conoscesse da sempre, come se, anzi, sapesse di Freud cose talmente intime che lo stesso dottore non ammetterebbe mai. Il visitatore, che appare vestito come un mendicante, inizia a provocare Freud con domande molto personali, capaci di scavare nell'infanzia e nella coscienza del dottore, fino a riportarlo al giorno della sua infanzia in cui si è reso conto che qualsiasi domanda e richiesta d'aiuto è destinata a rimanere senza risposta: scavando nella memoria e nell'inconscio di Freud mentre il dottore stesso cerca di psicanalizzarlo, il visitatore mette a nudo la sua paura, originata da una solitudine che sembra non poter trovare risposta e che sfocia in un senso di vuoto incolmabile da qualsiasi Dio. Ma, proprio a questo punto, si desta in Freud un interrogativo: non sarà proprio Dio il tenebroso individuo che lo conosce così bene e che vuole portarlo a credere che l'umanità faccia parte di un disegno più ampio e incomprensibile alla scienza dell'uomo stesso? E, se è davvero Dio, perché non pone fine al male che sta attanagliando l'Europa e si sparge correndo negli stivali neri dei nazisti senza che alcuna forma di giustizia gli sbarri il cammino?
A partire da questo incontro inusuale, che non sapremo mai dire se sia reale o immaginato, frutto di un rapporto reale o di uno scherzo dell'inconscio tanto caro a Freud, si apre un acceso scontro fra l'ateo dottore, che nega che in un mondo dominato dalla cancrena del totalitarismo possa esistere alcuna mente divina, ma che, allo stesso tempo, sembra avere un disperato bisogno di essere smentito e tornare a sperare (prima di tutto nella salvezza di Anna) e il visitatore, un filosofo o un matto, che dimostra, però, come spesso la voce della follia sia quella che rivela con maggiore lucidità le contraddizioni costruite e subite dagli uomini. Al centro della lotta fra i due, che Boni conduce con una disinvoltura di movimenti che lo portano ora ad arrampicarsi su un tavolo, ora ad avvinghiarsi alle gambe del dottore, stanno i grandi interrogativi dell'uomo: da dove viene il male? Come credere a Dio in un mondo pieno di morte? Perché l'uomo è solo? Quali confini dovrebbe avere il libero arbitrio che ha concesso all'uomo? E forse Dio, creatore del tutto, non è più solo e impotente di lui, vittima di un orgoglio che porta gli uomini a volersi sostituire al loro creatore?
Schmitt e gli attori che danno voce al suo testo portano lo spettatore a interrogarsi con la stessa intensità dei personaggi, intrappolandosi in una rete di dubbi che, più si tenta di districare, più stringe i suoi nodi, traducendo in un dibattito ricco di suspense in cui si spera di trovare una risoluzione, ma che, riguardando le grandi domande dell'esistenza, fisiologicamente non la può ricevere.
Il visitatore è uno spettacolo amaro e graffiante, ma anche filosoficamente ironico, che è certamente destinato a mietere successi di pubblico e critica anche nelle successive tappe di Firenze, Solomeo, Civitavecchia e Trieste.
C.M.
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