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Una vita

Da Marcoscataglini
Una vita
Quanti siamo oramai sulla Terra? Sei miliardi? Sette? Siamo comunque tanti. Eppure, ognuno di noi si sente importante, anzi: il più importante. In fondo siamo intrappolati dentro questo corpo, e possiamo percepire solamente ciò che entra in contatto con la nostra sfera sensoriale. Di cos'altro dovrebbe davvero importarci, se non di noi stessi? Non è egoismo: è un fatto fisiologico. Ci si può immedesimare negli altri, ma ognuno di noi non può che essere sé stesso. Non si può essere qualcun'altro. Così a volte ci si sente come monadi solitarie, incapaci di una reale comunicazione, eppure condannate a vivere in un sistema di relazioni via via più complesse, e a volte frustranti. Come diceva Paolo Conte? "Si nasce e si muore soli. Certo in mezzo c'è un bel traffico!". Ecco, è di quel traffico nel mezzo che mi piacerebbe parlare, oggi. Di come la nostra vita scorra via più o meno lentamente, più o meno a lungo, più o meno tranquilla, più o meno disastrata. Cos'è che vogliamo davvero? Cos'è che davvero ci aspettiamo? Ci sono miliardi di risposte a queste (e altre) domande, tante quante sono le vite che popolano il pianeta. Ma di certo, la gran parte della gente si lascia vivere, e accetta passivamente gli eventi. Non si ribella, se non si ribellano gli altri. Non decide, se qualcuno non decide per loro. Si lasciano andare a quel traffico di cui parla Conte con la stessa supina rassegnazione con cui si affrontano le code in Tangenziale. Si scorgono le spalle di chi ci sta davanti, e nulla sappiamo di chi rimane indietro. In questa massa anonima, ci si sente sicuri e protetti, perché non ci sono decisioni da prendere, non c'è nulla che possiamo fare per cambiare la situazione, possiamo solo seguire il flusso, e poco importa dove esso conduca. Si va perché dobbiamo andare. E poi ci sono coloro che non riescono ad adeguarsi, che trovano tutto ciò una forma di follia: che diamine, occorre trovare un modo per affrontare i problemi e risolverli sul serio! Non si può mandare il cervello all'ammasso, dicono: urge una seria e approfondita presa di coscienza! Svegliati, popolo bue! Reagisci! Fate qualcosa, perdio! A questo tipo di persone, non va la mia simpatia: in fondo, mi dico, ho sempre detestato i capipopolo. Pensano di essere migliori degli altri, di avere senso di responsabilità e poiché sanno che la massa è pecora, si atteggiano a pastori e cercano di guidare il gregge. Non vogliono eliminare il traffico, vogliono solo indirizzarlo a proprio vantaggio. Le rivolte dei paesi nordafricani, con il loro tragico corollario di morti e feriti, dimostra cosa succede quando gli eventi vengono cavalcati da fantini poco accorti. Possiamo avere simpatia per i dittatori che hanno oppresso o opprimono quei popoli? Certo che no! Ma la ribellione senza un progetto politico ha in genere una strada breve da percorrere, prima che una forma diversa, ma non meno deleteria, di oppressione si sostituisca alla precedente. Diffido di ciò che avviene in fretta. Sono convinto che i cambiamenti richiedano tempo, e presa di coscienza. Individuale, non di massa (la massa, per definizione, non ha una coscienza). Mi trovo perfettamente d'accordo con chi sostiene che la vera rivoluzione deve avvenire singolarmente, dentro ognuno di noi, affinché ci si possa confrontare da uomini liberi, non da pecore nel gregge. Ma temo che difficilmente questo accadrà. Vedo tanti segnali che vanno in senso inverso. Il pastore-Berlusconi ancora è in grado di attirare a sé la gente in cerca di una guida, gli altri si atteggiano o a pecore nere o a lupi cattivi (e io che amo i lupi, li detesto in modo particolare), ma sono uguali a lui. Tutti imbottigliati nel traffico, convinti che la vita sia tutta qui, un ragliare asinino tra la nascita e la morte. E invece, ciò che davvero ci servirebbe è comprendere la nostra unicità e condividerla. Essere uomini tra gli uomini, aperti al mondo, ma capaci di ascoltare prima di tutto noi stessi. Come sosteneva il Maestro Eckhart, "tutto ciò che Dio chiede agli uomini, è un cuore pieno di pace". Da agnostico so che, se Dio esistesse, è esattamente questo che ci chiederebbe, poi farebbe autocritica, per non aver saputo creare un essere senziente in grado di capire questa semplice regola...

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