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Una voce acuta che tace

Creato il 14 aprile 2014 da Vivianascarinci

Il mio silenzio era stato un silenzio, o non forse una voce acuta che tace? c.l.

Oggettivare l’inoggettivabile al di là dell’utilizzo canonico del linguaggio. Personalmente l’ho sempre ritenuto un compito che riguardasse la poesia. Dire, con uno sforzo che scavalchi la piazza dei ragionamenti, i suoi scambi e il suo mercato, la possibilità reale, evidente, quotidiana della non corrispondenza delle forme alle parole che le definiscono e ciò nell’ambito dei saperi più scelti che a quelle parole competano, significa provare la possibilità dell’esistenza di nuovi terreni che possano dare lingua a zone di silenzio niente affatto mute e non così chiaramente definibili nel confine entro cui sono accertate. La passione secondo G.H. di Clarice Lispector, edito nel 1964, è un inno a questa non assegnabilità pressoché totale di ogni contorno al suo nucleo, ammesso che i contorni visibili abbiano nuclei di senso da cui derivare una forma. A questo proposito Lispector scrive “Io stavo vedendo ciò che solo più tardi avrebbe avuto senso – voglio dire, solo più tardi avrebbe avuto una profonda mancanza di senso. Solo più tardi avrei capito: ciò che sembra mancanza di senso – è il senso. Ogni momento di mancanza di senso è l’esatta spaventosa certezza che lì c’è il senso, e che non solo io non afferro, ma anzi, io non voglio, perché sono senza garanzie. La mancanza di senso mi avrebbe assalita soltanto in un secondo tempo. Prendere coscienza di una mancanza di un senso sarebbe dunque sempre stato il mio modo negativo di sentire il senso? Era stata la mia partecipazione”. Dunque, una prima partecipazione data dal panico dell’insensatezza che la ragione vuole identificare come un parto difettoso della propria visione, è seguita da una vertigine di terzietà dell’osservatore rispetto sia alla propria razionalità che alla mancanza di senso precedentemente avvertita. E’ questo ciò che schiuderebbe a chi guarda veramente, e a chi scrive, una terza via che ha in sé una neutralità oltranzistica, finalmente libera. Lispector, ucraina naturalizzata brasiliana di famiglia ebrea crebbe parlando in casa lo yiddish come lingua madre. Secondo il curatore dell’edizione italiana del 1982 de La passione secondo G.H., Angelo Morino, la deriva verso un altrove senza nomi, tipica dei romanzieri del novecento come Joyce, Kafka, Céline, Bataille assume in Lispector una doppia valenza che va a assommare il suo profilo di romanziera all’ebraismo da cui proviene come lingua e come religione seppur in un secondo tempo rifiutata dall’autrice. Ma partendo dalla parola biblica, come è chiaramente riscontrabile e dichiarato dall’autrice, essa viene forzata nel suo significato di elemento normativo e Lispector tracima in questo intendimento verso il sabotaggio di norme ulteriori. Se è anche vero, che la poetica di Clarice è una sorta di movimento di individuazione di un universo che la scrittura femminile effettua nell’atto immediato in cui una donna liberamente pensa se stessa, forzando l’elemento normativo del linguaggio maschile, può essere anche vero che l’eruzione da una norma valga anche rispetto a quell’intendersi esclusivamente femminile della matrice generativa di un’alterità di cui Lispector e le sue modalità eversive sono diventate un emblema anche femminista, ma indubbiamente non solo. “La realtà è eccessivamente delicata, la realtà sola è delicata, la mia irrealtà e la mia immaginazione sono di gran lunga più pesanti” ne consegue forse che il (non) e il (senso) finalmente assommati in un’interezza, sono un affare che riguarda una seconda partecipazione alla realtà relativa a una sua qualità più instabile e delicata, molto meno garantista del necessario, molto meno garantista rispetto al partito preso delle immaginazioni che vestono l’orizzonte di una coloritura estranea al ciclo circadiano, alla storia, e a qualsiasi altra vera alterità rispetto al primo acchito che ci fa nominare quello che sentiamo e vediamo secondo una norma precostituita che facilmente scambiamo per nostra pur essendo lontanissima dalla nostra vera lingua. “La verità” scriveva Lispector “è che un mondo interamente vivo è forte come un inferno” e resistere, direi, comporta un guizzo di ribellione luciferina di cui è stato capace solo l’angelo più bello.

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