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Una voce trent’anni fa… quando avevamo un futuro

Creato il 05 maggio 2010 da Massmedili

Una voce trent’anni fa… quando avevamo un futuro

Echi di un futuro passato, storia di un migrante ante litteram, greco nato in Egitto ma con accento di Parma e residenza a Milano, enormemente talentuoso, un gigante buono morto a 34 anni forse prima di essere riconosciuto come uno dei più grandi musicisti della sua epoca, Demetrio Stratos. Molti ragazzi di oggi, che citano a memoria i Pink Floyd e i Rolling Stones della stessa epoca , chi fossero gli Area manco lo sanno. E Stratos (il suo vero nome era Stratos Demetriou, si era più o meno limitato a invertire nome e cognome), il loro straordinario cantante, non lo conoscono: “ma chi? Quello che ululava ?” salvo rimanere un po’ incantati (ma non troppo) di fronte a “canzoni” atipiche come “Luglio, agosto, settembre nero” sulla questione palestinese  o “Hommage a Violette Noziere” scritta in occasione della legge Basaglia sull’abolizione dei manicomi, e soprattutto al concetto che, a quei tempi, si cantavano anche i fatti di cronaca, come teorizzato una decina di anni prima in America da Phil Ochs in All the news that’s fit to sing, tutte le notizie fatte per essere cantate.

Il documentario con libro, edito da Feltrinelli, non è solo un omaggio a un personaggio eccentrico e straordinario, ma soprattutto un atto d’amore per un periodo, un’epoca, gli anni 70, in cui Milano era la capitale, o una delle capitali, di un fermento culturale mondiale. In cui era normale che alcune delle maggiori idee musicali d’avanguardia nascessero e si sviluppassero a Bologna. In cui, in altre parole, questo paese viveva un presnete eccitante e pensava di avere un futuro. Di più: lavorava per costruirlo.

Gli Area sono stati una delle band di free jazz (ma anche di rock, di folk, prog, di musica contemporanea ed elettronica) più importanti della loro epoca : nel film sono paragonati al gruppo di Miles Davis e ai Weather Report, con cui avevano anche suonato più volte , così come con gli inglesi Soft Machine, ma solo in Italia. Perché gli Area, come raccontano oggi gli ex protagonisti di quell’avventura sopravvissuti ai 40 anni passati nel frattempo, all’estero non ce li volevano, salvo qualche sporadica tournée in Portogallo dopo la rivoluzione dei garofani. Quella falce e martello sullo sfondo della copertina del loro primo disco spaventava più di quanto attirasse la loro eccentrica bravura. Strano destino per un personaggio veramente globalizzato ante litteram come Stratos, condannato a concerti nelle fabbriche occupate, nelle università, a festival come quelli del Parco Lambro del 74,75,76 dove finiva sempre che invece di suonare si lasciava il palco a ragazzi strafatti che volevano ballare nudi… 

Il docufilm alterna testimonianze di protagonisti del periodo recuperati oggi, come Nanni Balestrini, a documentio del tempo come la straordinaria esperienza della Cramps records di Gianni Sassi: Stratos, i Ribelli (il suo primo gruppo), gli Area, John Cage che strabilia di fronte al primo disco da solo di Demetrio, Metrodora, le 500 o 700 mila persone che nel 1979 assistettero al concerto “funebre” dopo la morte di Demetrio all’Arena di Milano. Testimonianze di un’Italia in bianco e nero dalla dignità e vitalità straordinaria, quando al Politecnico di Milano venivano da tutto il mondo, fra cui l’”architetto” Demetrio che amava definirsi anche un ”designer musicale”.  

Un po’ sfilacciata l’ultima parte, che tratta del Demetrio cantante sempre più sperimentale, filosofo della voce come strumento. Non benissimo risolte le interviste agli epigoni, a quelli che hanno continuato il suo lavoro nella musica contemporanea, all’etnomusicologa siberiana, la cantante spagnola di avanguardia, il ragazzo italiano che pure un po’ gli somiglia…

Resta un gran rimpianto per quando avevamo un futuro e ci davamo da fare per crearcelo, senza aspettare cavalieri salvifici, suoni e immagini da supermercato in balia della prossima crisi mondiale e degli anni che passano sui volti dei sessantenni che furono i giovani rampanti dei ‘70. E della incredibile voglia di dimenticare quando eravamo bravi e avevamo voglia di esserlo: il testo del primo libro su Demetrio Stratos nel 1999, a vent’anni dalla sua morte, era stato tradotto dal portoghese, la sua autrice era una musicloga brasiliana. Nessun italiano aveva ancora pensato a scrivere qualcosa su di lui…


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