E’ il biglietto da visita della Libia.
Oggi 13 maggio 2013 a Bengasi l’ennesimo attentato, tre morti, altre fonti riportano 10, o 15, fra i quali tre bambini, e dozzine di feriti.
Simboleggia un anno di faticosi e infruttuosi tentativi di frenare la violenza scatenatasi con la ribellione del Febbraio 2011.
Si volle pensare che il brutale assassinio di Muhammar Gheddafi avrebbe avviato una nuova forma di stato, si volle pensare che le elezioni, sebbene deludenti in quanto a partecipazione, e l’insediamento del Congresso Nazionale avrebbero avviato una routine di legalità, si è voluto credere in queste ultime settimane che assecondarne i ricatti avrebbe placato le milizie. Non è così.
Gli attentati alle sedi dei paesi “liberatori” sono stati molti, a partire da quello di settembre 2012 al “consolato” di Bengasi, in cui morirono l’ambasciatore Chris Stevens e tre marines, il più recente è avvenuto a Tripoli e ha colpito l’ambasciata francese, passando per l’attentato al console italiano e a quello di marzo al Presidente dell’Assemblea Generale e provvisorio capo dello stato. Non si contano gli atti criminali come i sequestri, le aggressioni armate, le autobombe un po’ in tutto il territorio.
I tentativi di accorpare le milizie alle forze legali sono stati innumerevoli e semi-fallimentari. Sebbene inseriti nel Supreme Security Committee (SSC) i miliziani persistono nella propria autonomia e per settimane hanno assediato le sedi dei Ministeri bloccando il lavoro e costringendo all’evacuazione del personale. Fra i Ministeri evacuati, anche quello della Giustizia e il ministro Marghani, intervistato dalla CNN, ha dichiarato “ E’ in corso un braccio di ferro, una lotta fra il procedere per la via dei diritti e quella del ricadere in una dittatura”
Il ricatto delle milizie verteva sull’approvazione immediata della legge, detta Political Isolation Law, volta a escludere da ogni funzione pubblica chi durante l’era Gheddafi aveva ricoperto ruoli di primo piano. Una legge criticata a priori da HRW. Una legge che in pratica sconfessa i capi del vecchio CNT che rappresentava il paese sul piano internazionale durante la “primavera libica”, Jibril e Jalil, e che porta ora alla logica conseguenza di obbligare alle dimissioni le attuali massime autorità, il premier Ali Zeidan e il Presidente dell’Assemblea Magarief, in quanto -prima della defezione e della creazione dell’opposizione (terroristica) in esilio -avevano incarichi diplomatici per la Jamahirja. Significa altresì decapitare ministeri ed enti statali delle personalità attualmente in grado di farle funzionare, gettando il paese nell’impotenza complessiva.
La Libia sta per andare in pezzi definitivamente?
Al Qaeda e gli ex proprietari immobiliari infuriati.
E’ una domanda logica, visto lo stato degli eventi, e se la pone anche l’articolo nel blog di Christiane Amanpour, sebbene la CNN sia stata uno dei media più favorevoli al rovesciamento del regime gheddafiano. L’insistenza delle azioni violente delle milizie ha creato un varco all’arrivo di AlQaeda, proprio nel paese dove per primo Gheddafi ne aveva compreso la pericolosità e l’aveva combattuta fin dal 1990. Si stanno saldando, le milizie locali, con i contingenti del Mali e del sud dell’Algeria, il che offre agli USA la copertura per il rafforzamento dell’ Africom che già opera “contro il terrorismo” in 53 paesi africani: inoltre l’impotenza che ha caratterizzato il governo lascia libertà a un florido mercato delle armi per rifornire i ribelli siriani.
L’unità del paese, già compromessa dalla dichiarazione di autonomia della Cirenaica, e da assemblee che fin dal 2012 chiedono il ritorno allo stato federale antecedente il 1969, subisce anche vari insidiosi attacchi non armati.
La Libia di Gheddafi aveva un ordinamento socialista e il Libro Verde vietava ai cittadini di possedere altri immobili oltre alla propria dimora. Ora iniziano a manifestarsi le rivendicazioni retroattive di proprietari espropriati che vogliono riottenere i possedimenti famigliari antecedenti al rivoluzione del 1969.
Un tal Haitham Mokhtar Horria, per esempio, reclama la restituzione di 2.7 acri di suolo della capitale sul quale è ubicata la sede del Governo. E’ immaginabile quale conflittualità andrebbe a crearsi fra piccoli proprietari attuali e i latifondisti del passato, considerando che sono circa 80,000 le famiglie che subirono un esproprio secondo quanto afferma un’apposita organizzazione così denominata – al di là di ogni dubbio sulle intenzioni – “Proprietari colpiti dalla legge di un tiranno” che conta già 7,000 iscritti.
E’ credibile che gli operatori internazionali si lancino spericolatamente negli investimenti libici?
La fuga di Gran Bretagna, Stati Uniti e delle major del petrolio
“Misura precauzionale” dichiara la British Petroleum nel ritirare dalla Libia tutto il personale non indispensabile all’attività.
USA e UK hanno annunciato entrambe il ritiro di parte del Corpo Diplomatico motivandolo con “preoccupazioni circa la sicurezza, considerando la recente fiammata di disordini politici” Il riferimento era alle bombe di venerdì scorso dinanzi al comando di polizia a Bengasi. Si allineano così , in parte, a Francia e Germania le cui Ambasciate hanno del tutto chiuso i battenti.
L’Italia brilla per compostezza. La Farnesina si limita a raccomandare ai cittadini italiani di non sostare presso determinati edifici, non creare assembramenti e non recarsi in Libia per ragioni turistiche. Evidentemente, per quanto incredibile appaia a me, ci possono essere persone tanto appassionate di archeologia e paesaggi desertici da non avvertire l’odore del sangue, i colpi d’arma da fuoco e l’apprensione in cui vive la popolazione.
Il nostro paese, però, continua ad essere una portaereai americana: il Pentagono ha spostato, oggi, un centinaio di Marines dalla base spagnola di Moron a quella di Sigonella in Sicilia.
Sai Al Islam tuttora nel limbo
Persiste il nulla nel confronto fra ICC e governo libico che si disputano (senza troppa convinzione) il processo a Saif Al Islam relativamente alla sua posizione nel regime (e anche una qualche vicenda di cammelli trafugati….!) . Il Governo mostra i muscoli con un processo farsa per vilipendio della bandiera e tentativo di fuga. Nell’ultima udienza il prigioniero è stato esibito in aula e il suo avvocato inglese, John Jones, non presente al dibattimento, dichiara “E ‘una farsa dall’inizio alla fine.La sua detenzione è la Guantanamo della Libia. E’ stato tenuto in isolamento per 17 mesi senza alcuna significativa procedura giudiziaria”. L’accusa ha prodotto una penna e un orologio asserendo che gli oggetti contengono una telecamera e un registratore che l’avvocato Melinda Taylor , essa pure accusata, gli avrebbe portato nell’unica visita effettuata dalla ICC l’anno scorso. Il tribunale gli ha assegnato due avvocati d’ufficio e ha inviato il caso al mese di settembre.
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