Marcello De Santis, nato a Tivoli, 5 marzo 1939. Già funzionario di banca, oggi è in pensione. Da sempre è appassionato di poesia e letteratura, studioso in particolare di Dino Campana e il suo tempo. Negli ultimi anni, oltre a comporre in lingua, dedica il tempo a poesie in dialetto tiburtino e ha pubblicato diverse raccolte di poesie vernacolari. Quello che presento qui, tuttavia, non è una poesia ma un racconto breve in cui Marcello De Santis propone l’atmofsera magica di una notte di Natale. Trovandosi malato e nell’impossibilità di recarsi coi familiari alla Messa di mezzanotte riscopre la gioia di posare il Bambinello nel Presepe.
DAVANTI AL PRESEPE
di Marcello de Santis
Suonano ancora le campane… è passata da poco la mezzanotte; uno scampanio limpido e gioioso in questa silenziosa notte stellata. Ho un forte raffreddore e non vado a messa, come gli anni passati. Gli altri sono già usciti, mi hanno salutato frettolosamente, e incappottati con scialli e cappelli, per far fronte al vento gelido che da ieri ulula di giorno e di notte, sottobraccio a due a due stretti stretti per scaldarsi meglio, e per trasmettersi meglio la festosità di questa notte santa, si sono recati alla vicina chiesa: mia moglie e mia figlia, e i miei cognati, che passano il natale con noi. Sono andati, lasciando la tavola imbandita con i piatti vuoti o quasi, e una gran confusione di stoviglie, bottiglie (con vino e spumante ancora a metà), pezzi di dolce nei piattini, e bicchieri mezzo pieni e mezzo vuoti. La televisione è accesa su un programma qualsiasi dall’inizio della cena, nessuno la guardava, del resto, ma adesso le voci che da essa escono, anche se attutite, sono confuse con i rintocchi vicini e lontani delle campane delle varie chiese del paese, che si rincorrono nell’aria gelida, sotto un cielo di ghiaccio, dove è sospesa la facciona d’argento della luna. Uno starnuto di tanto in tanto mi scappa, fragoroso, e porto il fazzoletto omai bagnato sul viso, davanti alla bocca, e al naso. Provo a tirare su per liberare il respiro, ma … eh, ha da fa’ il suo corso… mi ritornano le parole di qualcuno… qualcun altro mi dice pigghiate quaccosa… (prenditi qualche cosa) … e che mi prendo ancora!… … ‘n’aspirina… te la si’ piàta ‘n’aspirina? ci ho provato: con aspirine (il suggerimento è arrivato in ritardo), con i suffimigi di camomilla (consiglio di mia cognata), con la bomboletta spry da inserire su per il naso, più su, se vo’ che fa effetto! eppo’ arespira forte!) (mio nipote), con la pomata da spalmare sul petto, ma quessa ‘nn’è bona! t’à da sparma’ lo vicsvaporùbbe! (ma questa non è buona devi spalmarti il vix vaporub!) effetto stupefacente e immediato! (il mio consuocero)). Ho obbedito come un suddito al suo re, e sto peggio di prima. Ma tant’è, devo aspettare che faccia il suo corso e passi da solo. E sì che non sono soggetto ai ricorrenti raffreddori e influenze annuali. Neppure ricordo l’ultima volta che l’ho beccata! Per questo, debbo dire, ho molta cura di me stesso, mi copro quando devo, e cerco di non espormi alle correnti d’aria. Ma stavolta… nenè nenè anduvina sa ccom,’è… (nenè nenè indovina com’è? detto popolare) Le campane hanno smesso di suonare. Sto solo, almeno per il tempo della messa, poi ci saranno di nuovo frastuono e allegria e la tombola tradizionale, tral vociare natalizio consueto di ogni natale. M’avvicino al presepe che è stato costruito sul ripiano del mobile alto in sala; le lucine s’accendono e si spengono grazie al circuito alternato, e da sotto la carta di cielo blu addossata alla parete, splende la luna e brillano le stelle dorate. Guardo il ruscello con acqua vera, che scorre e va a finire in un piccolo lago (una volta il laghetto si faceva con un pezzo di specchio con intorno il muschio), e da qui riparte in un circolo chiuso invisibile, per poi ritornare. Guardo le tre o quattro pecore davanti alla statuina del pastore, e distanti, presso le ultime capanne del paesaggio, i tre magi che arriveranno alla grotta (provvederemo noi a spostarli in avanti un poco ogni giorno), solo la notte della befana. Eccola, la grotta, c’è la madonna, inginocchiata, nel suo manto celeste; e dal-l’altro lato, in piedi, appoggiato a un rudimentale bastone, san giuseppe. Per la fretta della messa hanno dimenticato di porre nella stalla il bambino ge-sù, che è appena nato. So dov’è, la statuina; sta dentro un cassetto in camera; la prendo e la porto al presepe… la metto al suo posto, nel giaciglio di paglia, sotto una piccola flebile luce, che illumina la mangiatoia con il bue e l’asinello accovacciati a fianco della stessa. La quiete della sala è rotta solo dal sottovoce della televisione e dallo scroscio leggero della cascatella che dà origine al ruscello che scende al lago. … meno male che ho messo il bambinello, se n’erano scordati, nella fretta di andare a messa; mi sembra brutto un presepe senza bambinello, adesso ch’è nato. (da: pezzi di vita, inedito) marcello de santis