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Undercover, di Roberto Riccardi

Creato il 20 giugno 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Da Fralerighe Crime n. 6

Undercover, di Roberto Riccardi
Undercover (Edizioni e/o, 16 € cartaceo) è il sesto romanzo della collana Sabot/Age, fondata da Carlotto e Colomba Rossi per superare i limiti del noir, andando oltre il concetto di genere per dare importanza solo ai contenuti.

Il romanzo in questione è un poliziesco. Rocco Liguori e Nino Calabrò sono nati nello stesso paesino della Calabria. Il primo figlio di un carabiniere, il secondo figlio di un membro della ‘ndrangheta. La chiave e il coltello, lo Stato e l’onorata società. E a dispetto della loro amicizia, entrambi seguiranno le orme dei rispettivi padri, come per una legge invariabile scritta nei loro geni, un destino che non può essere cambiato. Le loro strade si separeranno per poi incrociarsi di nuovo. A riunire i loro destini ci sono sette tonnellate di cocaina da trasportare in Italia.

Ma la storia non è incentrata totalmente sui due uomini, simili ma diversi.
C’è un generale dell’esercito messicano passato nelle fila dei trafficanti di droga, gli Zetas; c’è la figlia di un trafficante, donna affascinante costretta a vivere una vita che non ha scelto e che non vuole; c’è gente che fa patti pericolosi e voltafaccia crudeli; ci sono la vendetta, il riscatto e la netta percezione dell’impossibilità di arrivare alla giustizia, in un mondo che basa tutto sul denaro e che in nome di questo è disposto a qualsiasi cosa.

I personaggi sono solidi e credibili. Umani nelle loro passioni e debolezze, avidi ma capaci di affetto vero, corrotti ma capaci di amare, spietati ma sofferti, in una parola complicati; e, alla fine, difficilmente classificabili in una divisione manichea tra bene e male, se non seguendo i dettami della legge.

Il desiderio di vendetta, di rivalsa, di cambiare vita è il carburante invisibile che brucia sotto la pelle di tutti i personaggi.

Prima di iniziare la lettura mi sarei aspettato uno stile molto asciutto, giornalistico. Era così che immaginavo lo stile di chi scrive di una vita vissuta sul campo, di chi ha tante cose da dire, oltre che da raccontare. Invece, lo stile di Riccardi è tutt’altro che esente da espressioni letterarie, vagamente poetiche, e metafore ben riuscite. E’ una scrittura che trasuda una profonda riflessione sulla vita, per nulla appiattita sui contenuti e sui fatti della vicenda narrata, già di per sé meritevoli di essere raccontati e letti.

Una buona lettura, consigliata anche a chi vuole ancora avvicinarsi al genere ma non lo ha ancora fatto. Il romanzo riesce a trattare argomenti pesanti e dolorosi senza essere crudo né disturbante, il che è tutt’altro che semplice o scontato.

Voto: 9

Aniello Troiano 



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