In costante tensione tra approfondimento e parcellizzazione DeLillo tratteggia l'affresco postmoderno. Un libro epico che parla di uomini e di storie -soprattutto di storie- umane come tratteggi di una tela più grande. Una società reale immersa in più società distinte, un principio omologante ed eterodiretto, "dall'alto", che cozza con le specificità multiple della frammentazione eterogenea, delle relazioni reticolari, delle spinte personali, collettive e locali, “dal basso”, in una costante lotta per la definizione del paradigma sociale contemporaneo: le metamorfosi della società postmoderna. La raffigurazione contemporanea di un'America e di un'americanità globale immersa nelle tappe evolutive della sua storia, nelle individualità dei suoi protagonisti, nel quartiere della nascita e rinascita, del muro del riso e del pianto; nella guerra fredda degli esperimenti nucleari, della corruzione dell'alta società borghese, del movimento studentesco degli anni 60, delle scorie delle centrali e delle indagini dell'FBI.
Scava nella spazzatura dell'uomo, del tempo e dell’oggettualità, nel vissuto consumato, nella storia moderna che scorre all'interno di un singolo istante sempre più veloce e immediato attraverso sensazioni, in realtà differenti ma comuni, distanti e amalgamate, nello scorrere di una palla e di una vita disillusa, reificata, reinventata, collegata ad altre, collegate al sistema mondo.
Un uomo -Nick Shay- la cui storia marca a fondo l'essenza dell'autore e del quadro, un tratto denso, un coagulo di situazioni, rappresentazioni, decostruite per essere ricomposte attorno a tanti personaggi, tante storie, a volte brevi o infinite come tutta una vita.
A parte queste considerazioni, "buttate giù di getto", devo constatare che non è stato semplice leggere un libro del genere, c'è voluto tempo e dedizione, non tanto per la mole -che è indubbiamente considerevole e può spaventare- ma per la struttura, che necessita un’immersione completa nella lettura, in ogni frase, senza perdere di vista il disegno generale.
Interessante il film dentro al libro: Unterwelt -di Ejzenštejn, regista russo e teorico del montaggio cinematografico d'avanguardia-costituisce una metafora del libro stesso, nel titolo (Underworld) e nella struttura della narrazione a ritroso racchiusa nel mondo sottosopra.
Mi è capitato di leggere alcune recensioni dove si sostiene la tesi che la narrazione perda mordente dopo pagina 500. Niente di più sbagliato, le ultime 300 pagine di Underworld sono tra le più belle e espressive del libro, in questo senso aiutano a comprenderne alcune parti, personaggi e dialoghi disseminati all'interno della prima metà. Questo grazie alla struttura del libro stesso che -complicando considerevolmente la vita del lettore- permette attraverso la decostruzione e la frammentazione del testo che sia proprio chi legge a tracciare il disegno -in modo più che mai personale, poiché alcuni personaggi restano più nitidi ed impressi di altri- delle varie storie e dell'intreccio interno all'affresco.
Non concordo nemmeno con chi sostiene che non c'è una storia e neppure una trama, non è una trama omogenea convenzionale ma una più sfumata, ristrutturata, fatta di tante storie e tanti personaggi legati in qualche modo, mai banale, l'uno all'altro. E' questa -secondo me- l'essenza della letteratura postmoderna, non può esser ridotta esclusivamente a metalinguaggio, complessità e ricercatezza stilistica; è la ricostruzione di un mondo, la rappresentazione di una società che trasuda dalle storie, l'addensamento di significati, citazioni e substrati nascosti nel testo; e proprio in questo DeLillo si rivela maestro e regista indiscusso, nel creare ed intrecciare vissuti, epoche e storie diverse che si amalgamano in un tutt'uno.
Su una cosa sono d’accordo: arrivati a pag. 500, con considerevole fatica e senza avere dei riferimenti precisi, la lettura può diventare indefinita e talvolta pesante, disarticolata e priva di confini cui ancorarsi o binari fluidi e stabili su cui scorrete. La narrazione può apparire totalmente slegata nelle sue singolarità, che non vada "a parare” da nessuna parte, una scrittura perfetta nella sua vaga imperfezione. Per questo molti abbandonano a questo punto, dove -a mio avviso- è necessaria tanta buona volontà, uno sforzo che in seguito sarà ben ripagato. La verità è situata nell'organizzazione del romanzo, nella sua scrittura realistico-descrittiva-evocativa, ma soprattutto nella ricostruzione che il lettore deve "per forza" mettere in atto per rapportare e confrontare epoche, personaggi, dialoghi e situazioni, perchè tutto è profondamente legato in un modo o nell'altro.
Le ultime 300 pagine, infatti, riconciliano il lettore con l'autore e lo aiutano a decodificare il testo, le storie e l'affresco generale, costruendo nuovi stimoli e nuove emozioni, tanto che appena finito l'epilogo -magistrale!- ti viene una gran voglia di rileggere qualche passo letto mesi fa, che ora -finalmente!- ha assunto pieno significato, una nuova sfumatura tratteggiata sulla tela.
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