Duncan Jones e David Bowie
Duncan Jones ha dichiarato recentemente di amare molto la letteratura di George Orwell, Philip K. Dick e J.G. Ballard, libri che gli leggeva suo padre quando era ragazzo; affermando in una recente intervista: “Le migliori storie di fantascienza per me sono quelle che si concentrano sull’individuo e su come le persone vengono influenzate dal mondo in cui si trovano. Non è tanto l’aspetto della tecnologia a contare”. Anche David Bowie leggeva una certa tipologia di fantascienza "sociale" ed "introspettiva", tanto da dedicare al libro 1984 gran parte dei brani di Diamon Dogs, concept album del 1974, in cui fondeva suoni ed echi cupi, di un mondo glam post-apocalittico, alle rappresentazioni del libro di Orwell. La conzone Space Oddity, inoltre, -che fa da apripista all'omonimo album del 1969- è un'ascesa nello spazio più profondo della mente umana, un viaggio nell'alienzazione del Major Tom, decisamente ispirato al film di Kubrik, 2001: Odissea nello spazio. Tornando al film, Source Code sorprende lo spettatore scaraventandolo in un treno ad alta velocità assieme ad un uomo (Jake Gyllenhaal) privo della memoria e del prorpio corpo. Ma cos'è il source code? E' un programma che fa rivivere un determinato momento storico pregresso, un lasso temporale pari ad 8 minuti nel quale la mente giace in un limbo, una realtà fittizia ma parallela. E non è finita: perchè è proprio nella diatriba sulla definizione e sul funzionamento del Souce Code che si staglia la domanda esistenziale (molto Dickiana), che purtroppo non posso rivelare senza rovinarvi il finale. Il film inizialmente risveglia alla memoria Ricomincio da capo con Bill Murray, ma proseguendo la visione mi ha ricordato L'esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam e lo stesso Moon. Confrontando i due lavori di Jones: il perno di entrambe le storie è l'uomo e la sua alienazione, rinchiuso in spazi angusti e stretti. Entrambi i protagonisti sono costretti a vivere un'esperienza con sè stessi nelle molteplici dimensioni esistenziali. In Moon (trailer) è l'isolamento forzato e lo sdoppiamento corporale a rivelare la natura filosofica del sè; copie di personalità e sfacettature caratteriali, presentando un miscuglio ben amalgamato di solitudine, rivelazione e contrasto. In Source Code lo stesso tema è trasposto in un'ottica temporale, è la ripetività dell'azione -della vita e della morte- a generare le identità multiple del protagonista, impegnato in una lotta contro il tempo e in nessun luogo per fermare l'attentato e svelare il suo futuro. In tutti e due vi è inoltre il richiamo al controllo e allo sfruttamento dell'uomo; l'utilizzo di risorse, armi e tecnologia a discapito della vita e dell'integrità personale.Jones si concentra maggiormente su questi aspetti, sull'introspezione del protagonista e sul disvelamento del finale, trascurando lievemente e volutamente la componente thriller che si affievolisce a poco a poco. Nel complesso un buon film, più commerciale e visivamente accattivante del precedente ma al contempo non superficiale. Necessita un piccolo sforzo immaginario o immaginifico per chi non è avezzo a queste tematiche, ma non delude le attese. Consigliato.