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Undici film cresciuti bene

Creato il 11 novembre 2013 da Lundici @lundici_it

Al cinema i racconti di formazione hanno sempre un grande impatto emotivo, guardiamo questi meravigliosi film per crescere con Matt Damon, RiverPhoenix, Ethan Hawke, Christian Bale, Vittorio Gasman, Renato Pozzetto, Julia Roberts, Kirsten Dunst … e soprattutto Peter Pan

FILM DE CHEVET

Chevet in francese significa più o meno comodino. Le livre de chevet si tiene sul comodino per sfogliarlo, rileggerlo, accarezzarlo. Come i libri i film de chevet si amano, si guardano, si sfogliano, si accarezzano, si portano sempre con sé. I film de chevet sono grandi classici, capolavori assoluti, piccoli film dimenticati, opere minori dimenticate, film recenti che non hanno avuto il successo che meritavano … film che consigliamo di vedere e rivedere.
Dall’amore ai tradimenti, dai cartoni animati all’horror, dai viaggi alla famiglia, dai drammi storici ai porno …
il ricchissimo archivio dei film de chevet dell’Undici

“Training Day” di Antoine Fuqua, Stati Uniti, 2001.
Training Day

Cresci, cazzo! se no ti faccio saltare il cervello!

Con Denzel Washington, Ethan Hawke, Scott Glenn, Tom Berenger, Snoop Dogg, Macy Gray, Eva Mendes

Genere: drammatico, polizia corrotta, scuola di vita, droga&violenza, cattivissimi tutti.
Consigliato: rappresentanti delle forze dell’ordine, amanti dei sobborghi losangelini.
Sconsigliato: fan di Denzel Washington eroe positivo.

“Sei terrorizzato, è capitato a tutti la prima volta, anche a me, che cosa credi? Prima metterai d’accordo quello che hai in testa con quello che succede in questo mondo e prima tornerai a stare bene. In questo mestiere devi sporcarti almeno un po’ le mani, se vuoi che si fidino di te. E quando tutto questo sarà passato, ti si aprirà davanti un mondo completamente diverso. Ora ho accesso ai piani alti, e ti darei le chiavi di tutte le porte.”

Ventiquattro ore nella vita di Jake Hoyt (Ethan Hawke), giovane e brillante agente di polizia, e di Alonzo Harris (Denzel Washington), il detective che dirige la squadra antidroga di Los Angeles a cui Hoyt è stato assegnato e che deve valutarlo: una giornata di addestramento e formazione che capovolgerà l’esistenza di entrambi, una inevitabile contingenza di cambiamento, una dolorosa e sconvolgente crescita attraverso funeste circostanze. Alonzo è corrotto, spietato, potente e affascinante; Hoyt è ambizioso e capace. Alonzo metterà alla prova Hoyt, ripetutamente e duramente, per verificare fino a che punto di fedeltà e coinvolgimento può spingersi, mentre Hoyt divincolandosi cercherà di adattarsi, prima, e poi di salvarsi. Nel terribile scenario dei traffici di droga (per girare in alcune zone malfamate di Los Angeles il regista ottenne il permesso dalle gang locali), la coppia protagonista, più che un banale duello tra il buono e il cattivo, interpreta un confronto intorno al tema del male quotidiano e necessario, del pericoloso compromesso strumentale con il lato oscuro della società e della propria anima.
Da vedere con quel bel gruppetto di mafiosi russi che si sono trasferiti recentemente nel vostro quartiere.

Le ceneri di Angela

Qua ci tocca crescere in fretta che non siamo mica la famiglia di Peppa Pig

“Le ceneri di Angela” (Angela’s Ashes) di Alan Parker, Regno Unito-Eire, 1999.
Con Emily Watson, Robert Carlyle, Pauline McLynn, Joe Breen, Ciaran Owens, Michael Legge

Genere: drammatico, famiglie problematiche, Verde Irlanda, alcolismo e tristezza, saggezza infantile, bambini che se la cavano, emigrazione.
Consigliato: genitori che si sottovalutano, adolescenti ribelli, consumatori di Guinness.
Sconsigliato: fan della Disney, educatori montessoriani, predicatori cattolici.

“Quando ripenso alla mia infanzia, mi chiedo come io e i miei fratelli siamo riusciti a sopravvivere. Fu, ovviamente, un’infanzia infelice, altrimenti non c’è gusto. Peggio di un’infanzia infelice c’è un’infanzia infelice irlandese. E ancora peggio c’è un’infanzia infelice irlandese e cattolica.”

Agli occhi del giovanissimo Frank McCourt è evidente che Gesù Cristo ha fatto benone a nascere e crescere in Terrasanta, dove fa caldo, e non a Limerick, Irlanda, dove piove tutti i giorni. Gli fosse capitato di nascere a Limerick, secondo Frank, il cristianesimo probabilmente non sarebbe nato, perché Gesù avrebbe avuto molte possibilità di morire di tisi o di fame, di condurre una vita di stenti, con il padre alcolizzato e la madre disperata, così come capita allo stesso Frank. Tra fame, malattie e privazioni, il giovane McCourt vede morire i suoi fratelli, la madre Angela consumarsi nelle umiliazioni e nell’impotenza della povertà più assoluta, tra i rigori del freddo e quelli della più retriva religione cattolica. In questo mondo cattivo e miserabile, crescere è un’impresa titanica; Frank sopravvive per caso, forse, o per fortuna, forte della sua intelligenza e fantasia, si fa furbo e lotta, sognando di tornare in America, dove è nato. Alan Parker racconta sempre con passione e grande efficacia le storie di ragazzi (“The Commitments”, “Birdy”, “Fame”); qui dirige la commovente (ma mai stucchevole) storia dell’infanzia e adolescenza eccezionali di un ragazzo eccezionale, dalla (bellissima) autobiografia omonima dell’indimenticabile Frank McCourt.
Da vedere al pub.

Nuovo Cinema Paradiso

Il cinema è lo specchio della vita: si nasce, si cresce, poi si chiude

“Nuovo Cinema Paradiso” di Giuseppe Tornatore, Italia-Francia, 1988
Con Salvatore Cascio, Marco Leonardi, Jacques Perrin, Philippe Noiret, Agnese Nano, Pupella Maggio, Enzo Cannavale, Leo Gullotta, Leopoldo Trieste

Genere: drammatico, nostalgia canaglia, occasioni perdute, bella Italia di una volta.
Consigliato: cinefili, siciliofili, amanti della ritrattistica nostalgica, giovani in procinto di emigrare, malinconici rimembratori di amori giovanili.
Sconsigliato: giovani arrabbiati, sostenitori della censura cinematografica, odiatori di storie di ambiente paesano.

“Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere. Non ti fare fottere dalla nostalgia, dimenticaci tutti. Se non resisti e torni indietro, non venirmi a trovare, non ti faccio entrare a casa mia.”

Storia di un cinema di paese, del suo proiezionista Alfredo e del bambino Totò, innamorato dei film e del cinema, a cui il proiezionista fa da padre e da amico. Il bambino cresce, se ne va dal paese, diventa un Famoso Regista, molti anni dopo torna per il funerale del suo amico proiezionista. In mezzo un film tutto sulla nostalgia– dell’infanzia, del cinema, della vita di paese, dell’Italia postbellica – e i suoi effetti, attraverso la vita e la crescita di questo bimbo che diventa ragazzo, lavora, si innamora, paga errori suoi e non suoi. Tolte le scene corali all’interno del cinema, tra stereotipi e macchiette comunque molto ben congegnate, è un film piuttosto insopportabile, specie nella parte sull’amore perduto e rimpianto (una di quelle robe per fare sentire speciale chi rimpiange l’amore dei sedici anni: nella realtà, l’amore sedicenne molto meglio non rivederlo mai più, fidatevi, non era niente di speciale e adesso probabilmente è una pessima persona). Tornatore ci vinse un Oscar al miglior film straniero e un Grand Prix della Giuria a Cannes (entrambi con la versione breve del film, con trenta minuti circa in meno di storia, e francamente non li si rimpiange) e diventò un Regista. Il celebre montaggio con le immagini dei baci censurati è così famoso che persino nei Simpson se ne fa una citazione.
Da vedere nella piazza, che però – vi avverto – è mia!

C'eravamo tanto amati

Noi vi abbiamo amato veramente tanto

“C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola, Italia, 1974.
Con Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Stefano Satta Flores, Stefania Sandrelli, Aldo Fabrizi, Giovanna Ralli

Genere: commedia, vecchi amici, Belpaese, guerra e dopoguerra, compromessi, furti di fidanzate.
Consigliato: amanti della commedia all’italiana, popolo della sinistra caldamente autocritico, italiani all’estero.
Sconsigliato: palazzinari, portantini e, soprattutto, popolo dei cineforum.

“Credevamo di cambiare il mondo invece il mondo ha cambiato a noi.”
“Il futuro è passato e non ce ne siamo nemmeno accorti.”

Tre amici e compagni partigiani attraversano trent’anni di storia italiana, dal 1945 al 1974; il paese riemerge dalla guerra, cresce e cambia, e con lui Gianni (Vittorio Gassman), Nicola (Stefano Satta Flores) e Antonio (Nino Manfredi) si scrollano di dosso la polvere delle macerie belliche e crescono incarnando pregi e difetti, etica e disvalori dell’Italia intera. Mentre Antonio resta legato alle aspirazioni di giustizia e democrazia che i tre avevano condiviso nella lotta partigiana, Nicola si trasforma in un intellettualoide egocentrico e inconcludente e Gianni non si oppone alle allettanti insidie del compromesso e del denaro. I loro incontri, attraverso i decenni, scandiscono le diverse fasi della vita loro e del paese, tra piccole e grandi delusioni, menzogne e meschinità. Un film amaro e sincero, ancora efficace a quarant’anni dalla sua uscita: vi immaginate un film analogo che sintetizzi i trent’anni successivi? com’è cresciuta l’Italia, dopo? e noi?

Da vedere con un arzillo gruppetto di iscritti all’Anpi.

Stand by me – Ricordo di un’estate

A 12 anni si è amici per davvero, poi passa

“Stand by me – Ricordo di un’estate” di Rob Reiner, USA, 1986
Con Wil Wheaton, River Phoenix, Kiefer Sutherland, Jerry O’Connell, Corey Feldman, John Cusack, Richard Dreyfuss

Genere: drammatico.
Consigliato a chi crede nell’amicizia, a chi maledice il giorno che ha compiuto 18 anni
Sconsigliato a chi ha avuto rapporti difficili con il padre, a chi “ebbasta con l’America rurale!”, a chi odia i film di formazione

“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Ma chi li ha?

È dura crescere se hai 12 anni e tuo padre ti odia, perché sei la brutta copia di tuo fratello maggiore (bravo a scuola, bello, sportivo promettente) morto in un incidente, più o meno tutti ti considerano un contastorie, e anche la tua maestra ti pugnala alle spalle. Finisce che ti leghi a tre-quattro amici, uno più emarginato dell’altro in un viaggio lungo i binari della tua coscienza (e vabbè): ne uscirai trasformato, cresciuto appunto, tanto da diventare un grande scrittore, da grande. Da un racconto breve di Stephen King, Reiner trae uno dei più classici film di formazione, un on the road a piedi, come si addice a dei dodicenni, su cui sparge un bel po’ di melassa. Alla fine, è diventato un classico, ma oggi come oggi arrivare in fondo al film è un’impresa.

Da vedere con il vostro migliore amico di infanzia (chiedendovi e richiedendovi come mai da piccoli foste così amici)

Mona Lisa smile

Per crescere bisogna imparare a non guardare sempre se solo nella stessa direzione

“Mona Lisa smile” di Mike Newell, USA, 2003.
Con Julia Roberts, Kirsten Dunst, Julia Stiles, Maggie Gyllenhaal

Genere: drammatico.
Consigliato a chi “insegnare è il più bel mestiere del mondo”, ai nostalgici degli anni ‘50.
Sconsigliato a puritani e perbenisti, a chi “le donne? In casa a fare la calzetta”

“Fate un favore a voi stesse: guardate senza fare commenti” (di fronte a un dipinto di Pollock)

Insegnante di storia dell’arte bòna, brava, anticonformista cercasi per aprire le menti delle figlie dell’alta borghesia del Maine nel liceo più conservatore d’America. Lei è Julia Roberts, viene dalla California, dove ha avuto anche un flirt con William Holden (“no, solo amici!”) e si incontra/scontra con una giovane Kirsten Dunst. Sarà odio a prima vista (“non è che dobbiamo rinunciare alle nostre consuetudini solo perché lei è una sovversiva!”) e amore e lacrime alla fine. Crescere da donne nella perbenista upper class americana degli anni ’50 non è uno scherzo (come fai a pretendere anche la fedeltà da tuo marito, quando ti ha già comprato l’ultimo modello di lavatrice?); ma prima o poi, anche lì times they’re a-changing. Qualcuno lo ha definito L’Attimo fuggente al femminile; quel qualcuno si è sbagliato di poco (ma dall’originale sono passati quasi 15 anni).

Da vedere con la vostra insegnate di Storia dell’Arte delle superiori (facendo il confronto con Julia Roberts)

Will Hunting, genio ribelle

Questi due patatoni sono cresciuti molto anche grazie a Will Hunting, genio ribelle

“Will Hunting, genio ribelle” di Gus Van Sant, USA, 1997
con Matt Damon, Ben Affleck, Robin Williams, Stellan Skarsgård

Genere: drammatico.
Consigliato a chi ammazzerebbe pur di avere Ben Affleck come amico, ai patiti della matematica, a chi non pretende la credibilità della storia
Sconsigliato a chi ha ancora gli incubi sul prof di matematica, a chi odia i film troppo parlati.

“Senti, sei il mio migliore amico perciò non prendertela a male, ma se fra vent’anni tu ancora vivrai qui e verrai a casa mia a vedere le partite e farai sempre il muratore, cazzo io ti uccido. Non è una minaccia, è un fatto. Ti uccido, cazzo”
Allora. Nella più importante università tecnica del mondo (il MIT di Boston) un professore di matematica superstar (ha anche vinto la medaglia Fields, il corrispondente del Nobel per la matematica) propone enigmi ai suoi allievi su una lavagna nel corridoio. Be mo: ogni mattina, non li trova risolti nottetempo? Allora si apposta e scopre che a risolverli sempre è il ragazzotto che vuota i cestini e pulisce i cessi, tal Will Hunting (un Matt Damon giovane assai), il quale – reduce dal riformatorio per avere ucciso il padre violento, affidato ai servizi sociali, ecc… – ha una conoscenza enciclopedica (costruita da autodidatta in biblioteca) su tutto lo scibile umano. Il prof lo prende sotto la sua ala protettiva, obbligandolo però a sedute con uno psicologo suo amico (Robin Williams) che non si fa intimidire e lo aiuta a fare l’unica cosa che Will non vuole fare: smettere di cazzeggiare e prendere per il culo tutto e tutti. E come gli ricorda il suo amico di infanzia (Ben Affleck, autore anche della sceneggiatura), non accettare le conseguenze del proprio genio è una cosa da vigliacchi: crescere significa farsi una ragione che, se si hanno grandi poteri, si hanno anche grandi responsabilità (L’Uomo Ragno docet). Un film con ottimi dialoghi e buone interpretazioni, ma così forzato da fare l’effetto del dolce al mascarpone: la fine del mondo fino alla seconda cucchiaiata, poi – non si sa come, non si sa quando, ci si rende conto di essersi stomacati.
Ps: tre anni dopo Van Sant rifarà praticamente lo stesso film, ma con le lettere al posto della matematica (Finding Forrester)
Da vedere risolvendo la congettura di Goldbach, mentre si legge un saggio di Marcuse e si completa “Annerite i puntini”de La Settimana Enigmistica (tutto insieme, per fare prima)

da_grande_renato_pozzetto_franco_amurri

Ciao, bella gioia!

“Da grande” di Franco Amurri, Italia, 1987.
Con Renato Pozzetto, Ottavia Piccolo, Giulia Boschi, Fiammetta Baralla, Alessandro Haber

Genere: Commedia, favola,  film con Renato Pozzeto.
Consigliato a chi vuole un film per tutta la famiglia, a chi amava il buon Renato Pozzetto di una volta.
Sconsigliato a chi preferisce il Pozzetto volgare, a chi non vuole ricordare com’era da bambino.

Voglio diventare grande! Voglio diventare grande! Voglio diventare grande! Voglio diventare grande!”

Un bambino stufo dei ‘soprusi’ dei genitori desidera diventare grande (come tutti i bambini). Mentre nella realtà il desiderio di crescere si realizza lentamente, qui il racconto prende le pieghe di una favola e il bimbo si ritrova improvvisamente nel corpo di un adulto. Come nella realtà scoprirà che il mondo dei grandi è fatto di meschinità, tradimenti e difficoltà e desidererà tornare bambino.
Renato Pozzetto è un grande della comicità italiana. Un comico unico in televisione come al cinema anche se, probabilmente, ha avuto paura di crescere, accontentandosi del successo di commedie spesso banali e realizzate in maniera sbrigativa. Nella filmografia del comico lombardo spicca questa piacevolissima commedia delicata e divertente e con un finale imprevedibile.

Da vedere con i figli, i genitori e la bellissima maestra.

guida per riconoscere i tuoi santi

Se non ci siamo visti per un pezzo è perché per un certo periodo non c’è stato niente da ridere

“Guida per riconoscere i tuoi santi” (A Guide to Recognizing Your Saints) di Dito Montiel, USA, 2006
Con Robert Downey Jr., Shia LaBeouf, Chazz Palminteri, Dianne Wiest, Channing Tatum, Rosario Dawson.

Genere: drammatico, formazione, autobiografico.
Consigliato: a chi piacciono i romanzi di formazione di grande respiro, i film ambientati nella vecchia New York
Sconsigliato a chi vuole un film leggero, a chi non vuole sentire litigare

Alla fine ho lasciato tutto e tutti, ma nessuno….nessuno mi ha mai lasciato…”

Il film è la storia (autobiografica) di uno scrittore affermato che vive a Los Angeles da anni. Una telefonata della madre lo spinge a tornare nel quartiere di New York in cui era cresciuto. Qui farà i conti con il suo passato, con drammi, scontri e amori che aveva abbandonato ma che dopo tanti anni sono ancora lì. Perché possiamo scappare dal passato, dalle persone cui abbiamo voluto bene, da quelle che abbiamo amato o tradito, da quelle che ci hanno salvato o che ci hanno portato solo guai, possiamo abbandonare tutto e  tutti, ma non per questo loro abbandoneranno noi. Dito Montiel mette dentro tutto se stesso regalandoci un racconto intenso e sincero, violento e romantico che, grazie anche ad attori che danno il meglio di sé (da Robert Downing Junior a Shia LaBeouf, da Chazz Patminteri a Channing Tatum a Rosario Dawson) e ci regala un film emozionante che ci porterà a riflettere sul passato, sulla crescita e sui legami che restano nonostante tutto.

Da vedere insieme a chi abbiamo lasciato

batman begins

Finché non si cresce è difficile distinguere i buoni dai cattivi

“Batman Begins” di Christopher Nolan, Stati Uniti, 2005.
Con Christian Bale, Michael Caine, Liam Neeson, Morgan Freeman, Gary Oldman, Ken Watanabe, Katie Holmes, Cillian Murphy, Tom Wilkinson, Rutger Hauer

Genere: fantastico, supereroi, formazione, tecnoogico, critica sociale, drammatico

Consigliato: a chi ama i film complessi, i film di supereroi, i gadget tecnologici, a chi ha bisogno di eroi, a chi vuole una cupa fotografia della società in cui viviamo

Sconsigliato: a chi si aspetta un vecchio telefilm in cui quando si tirano cazzotti compare la scritta “KAPOW!”, a chi non piacciono i film pessimisti, a chi vuole un bel film di una volta in cui i buoni sono buoni e i cattivi sono cattivi.

“O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo, io posso fare queste cose, perché non sono un eroe”

Se cresci orfano e col senso di colpa per aver causato la morte dei genitori, essere un bambino multimiliardario non ti è di nessun aiuto. E allora a un certo punto molli tutto per provare a crescere contando solo sulle tue forze, sulla tua rabbia, sulla tua volontà. È quello che fa il piccolo Bruce Wayne che fugge dagli agi, dagli affetti e dalle responsabilità per intraprendere un percorso di crescita che sarà un viaggio oscuro durante il quale non sarà facile riconoscere il confine tra il bene e il male. Quando tornerà deciderà in maniera consapevole di diventare Batman per vegliare sulla sua città dominata dalla corruzione e dalla violenza. Adesso essere multimiliardari invece aiuta eccome. Questo Batman è un eroe contemporaneo, “l’eroe che Gotham merita, ma non quello di cui ha bisogno adesso, perché lui non è un eroe, è un guardiano silenzioso che vigila su Gotham, un cavaliere oscuro”. La prima parte del film, il viaggio di Bruce Wayne alle radici oscure del male, è il cuore della trilogia di Batman diretta di Christopher Nolan, una trilogia cupa e complessa, spettacolare e drammatica che ha rivitalizzato il mito dell’uomo pipistrello con tre film grandiosi di cui questo primo capitolo è senza dubbio il più riuscito.
Da vedere con chi se lo merita, ma anche con chi ne ha bisogno

peter-pan

Nel 1953 la Ryanair non c’era, ma rispetto ad oggi “l’Isola che non c’è” era raggiungibile più facilmente

“Le avventure di Peter Pan” (Peter Pan) di Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Hamilton Luske, USA. 1953.
Prodotto dalla Walt Disney

Genere: animazione.
Consigliato: ai bambini, agli adulti bambini, a chi pensa ancora di potere volare.
Sconsigliato a chi è troppo pesante per riuscire a volare, a chi non guarda i cartoni animati perché non è più un bambino

Dimenticali Wendy, dimenticali tutti, vieni com me dove non dovrai mai, mai pensare alle cose dei grandi.”

La storia del ragazzino che non voleva diventare grande è un grande classico per tutte le generazioni. E’ talmente entrato nel patrimonio collettivo che in giro ci sono più persone colpite dalla sindrome da Peter Pan che adulti maturi.
Peter Pan non è il migliore tra i classici Disney, ma tutti ne conoscono la storia e restano affascinati da questo bambino che credendo nei propri sogni riesce addirittura a volare e a sconfiggere i perfido Capitan Uncino. Anche gli adulti possono divertirsi riguardando le sfide con Capitan Uncino, la gelosa fatina Trilli e il vecchio Spugna. Poi come Wendy, Gianni e Michele si torna coi piedi per terra, perché il film, come la vita, prevede che si debba crescere e che essere bambini è bello finché, appunto, si è bambini. Quindi, grandi e bambini, guardiamo Peter Pan, ci divertiremo ancora una volta e magari capiremo che in fondo è meglio decidersi a crescere, senza però dimenticare che se non si crede nei propri sogni si rischia di invecchiare senza diventare adulti.

Da vedere dopo aver gettato tutte le sveglie nella pancia di un coccodrillo


Undici film cresciuti bene
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