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Undici settembre

Creato il 10 settembre 2010 da Letteratitudine

[torrigemelle.jpg]Ritorna l’undici settembre.

Ripropongo il post (con le stesse domande… per me ancora attuali). Chi vuole può lasciare le proprie considerazioni (magari ri-leggendo i vecchi commenti).

È strano. A volte l’11 settembre 2001 mi sembra ieri. Altre volte mi sembra di pensare a un avvenimento lontanissimo, accaduto una vita fa.

È così anche per voi?
E quelle immagini…

Quelle immagini terribili degli aerei che trafiggono i grattacieli, pensate che abbiano mantenuta intatta la loro atrocità?

O le trovate un po’ sbiadite (magari perché, alla fine, ci si abitua a tutto)?

Di seguito, le riflessioni sull’undici settembre degli scorsi anni.

Massimo Maugeri


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UNDICI SETTEMBRE 2008

UNDICI SETTEMBRE
Ne approfitto per segnalarvi questo volume edito da Alet (la copertina la vedete qui accanto):

Di seguito riporto due pezzi:
- un articolo di Mario Calabresi apparso su Repubblica.it di ieri (si potrebbe intitolare così: guardare al terrorismo, ascoltando le vittime
- le dichiarazioni del Presidente Napolitano tratte da La Stampa.it di oggi.
Vi invito a leggerli e – se vi fa piacere – a commentarli.

Massimo Maugeri
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Onu, dall’11 settembre a Beslan: le parole delle vittime del terrore
di MARIO CALABRESI

NEW YORK - Una donna africana con un vestito rosso e un braccialetto di gomma azzurra parla lentamente e piange: “Osama Bin Laden ha usato la mia vita e ha il sangue dei miei colleghi per presentarsi al mondo, per farsi conoscere”. Si chiama Naomi Kerongo, viene da Nairobi, dieci anni fa mentre andava a lavorare venne investita dall’esplosione dell’ambasciata americana in Kenya. Morirono 200 persone, lei si salvò ma quando uscì dall’ospedale, dopo due anni, aveva perso il lavoro, la casa e i suoi cinque figli vivevano in una baracca.

Anche Ingrid Betancourt, la donna che ha passato 2321 giorni nella foresta colombiana ostaggio delle Farc, e che le è seduta di fronte, ha il braccialetto azzurro. Sopra c’è scritto “Remember” e “Hope” e ci sono due numeri: 9/11. “Ricorda e spera”: è il motto che ha scelto Alex Salamone che aveva sei anni quando il padre John fu ucciso alle Torri Gemelle nel 2001 e decise che voleva inciderlo su un pezzo di gomma azzurra che tutti quelli che gli volevano bene avrebbero indossato. Da allora decine di migliaia di americani ce l’hanno, da ieri lo hanno messo al polso anche il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, la maestra della scuola di Beslan che vide i suoi scolari massacrati, lo sposo che perse 27 amici e parenti nell’esplosione dell’hotel in cui stava festeggiando il suo matrimonio, un attore australiano che vagò per giorni sulla spiaggia di Bali per cercare i resti di sua madre e della sorellina di 13 anni, e altre 23 persone arrivate da tutto il mondo.

L’Onu da anni discute per trovare una definizione di terrorismo, un’impresa che appare impossibile per le divisioni tra Israele e i Paesi arabi, ma all’unanimità i 192 governi che siedono nel Palazzo di Vetro hanno trovato il modo di fare un passo in avanti: riconoscere le vittime.

Così a metà dell’estate ho ricevuto insieme ad una cinquantina di persone una lettera di Ban Ki-moon che invitava a partecipare al primo “Simposio di supporto alle vittime del terrorismo”. Un meeting supportato da Italia, Spagna e Gran Bretagna. A me hanno chiesto di raccontare come un figlio che ha perso il padre (il commissario Luigi Calabresi ucciso il 17 maggio del 1972) può ritrovare la forza di vivere e di coltivare la memoria.

E’ nato un esperimento per provare a sensibilizzare i governi, a costruire una rete globale e ad indicare dei diritti e delle necessità (mediche, psicologiche, economiche) che hanno valore universale. “Per molti anni ci siamo occupati più della voce dei terroristi che di quella delle vittime”, esordisce il segretario generale dell’Onu, che chiede uno sforzo per riconoscere i bisogni delle vittime e per combattere la “spersonalizzazione che cancella la memoria di chi è stato ucciso”.

Uno sforzo che secondo Ingrid Betancourt, arrivata a New York insieme alla figlia, deve partire dai mezzi di comunicazione: “Non lasciamo che le vittime diventino solo un’altra statistica, è cruciale che i media raccontino la distruzione del terrorismo sulle vite umane, che raccontino quell’istante in cui si perde tutto, si entra in un’altra dimensione”.

Per ore si intrecciano storie solo apparentemente lontanissime tra loro. Un ragazzo indiano, che viene da un piccolo villaggio agricolo, parla del padre ucciso nel 1995 da un gruppo estremista mentre aiutava i contadini predicando la non violenza. E della mamma “in agonia mentale da 13 anni”. Il suo racconto, anche se non lo può immaginare, è uguale a quello di molti figli delle vittime delle Brigate Rosse quando parlano delle madri rimaste vedove. Ma non c’è mai compiacimento, ma una dignità fortissima, come sottolinea Arnold Roth che il giorno di Ferragosto del 2001 ha perso la figlia Malki, 15 anni, saltata in aria quando un kamikaze entrò nel ristorante di Gerusalemme dove stava mangiando: “Le vittime del terrorismo non sono persone migliori di altre, ma sono state rubate alla società, rubate alle vite che avevano”. Parla di chi è morto, ma anche di chi è sopravvissuto, e della necessità di andare avanti senza coltivare il rancore, per questo ha dato vita ad un associazione che porta il nome della figlia e assiste ragazzi disabili di tutte le religioni.

Carie Lemack, la ragazza di Boston che ha regalato a tutti il braccialetto azzurro, ha perso la madre Judy l’11 settembre: “Era uscita quella mattina all’alba per un viaggio di affari a New York, era sul volo American Airlines numero 11, e la sua vita è finita al World Trade Center. Le vittime vanno ricordate per quello che sono state, per la vita che hanno avuto, non come un nome su una lapide”.

E’ quello che aspettavo di sentire e che cerco di spiegare: “Il terrorismo, ad ogni latitudine e in ogni tempo, ha bisogno di trasformare le persone che colpisce in dei simboli, spersonalizzandole. Ma le vittime non sono oggetti, palazzi, monumenti, automobili o aeroplani, ma sono persone che stavano andando a lavorare, correvano da un medico, facevano la spesa in un mercato, aspettavano un autobus, portavano i figli a scuola. Sono donne e uomini che stavano vivendo la loro vita e non erano in guerra con nessuno. Per aiutare le società a capire quanto sia mostruoso togliere la vita ad un essere umano in nome di un’idea, di qualunque tipo, bisogna restituire alle vittime la loro identità. Devono tornare ad essere persone”.

Laura Dolci aveva un bambino di tre settimane quando il marito Jean Kanaan morì nell’esplosione del quartier generale dell’Onu a Bagdad nell’agosto del 2003. Parla del suo isolamento, ma scopre che non è sola e cerca speranza per crescere il figlio.

Passano le storie e si vedono anni di titoli di giornale, immagini sepolte nella memoria che ci hanno riempito di angoscia ma poi sono scivolate via: le bombe a Londra sugli autobus e nella metropolitana, le stragi in Algeria, la scuola di Beslan, il sangue sulla spiaggia di Bali, le vittime dell’Ira e dell’Eta in Irlanda del Nord e Spagna, il nostro terrorismo e perfino il gas Sarin nella metropolitana di Tokio. Un professore giapponese che partecipa ai lavori, Nozomu Asukai, specialista negli studi sulle malattie psicologiche da stress post traumatici sostiene che le vittime del terrorismo hanno traumi simili a chi resta sotto un terremoto.

Aleta Gasinova, insegnante, che nel settembre del 2004 entrò nella scuola di Beslan per stare con le sue due figlie Amina e Saneta (che avevano 7 e 9 anni) non riesce ancora a trattenere i singhiozzi: “Era impossibile aiutare gli scolari e non c’è nulla di peggio che non poter aiutare i bambini”. Ne morirono 396.

Torna in mente il bagliore dell’hotel Radisson di Amman: era il novembre del 2005 e tutto il mondo vide una festa di matrimonio squarciata dall’esplosione di un kamikaze. Ashraf era lo sposo: “Non sono una vittima, sono un sopravvissuto. In quello che doveva essere un giorno di felicità ho perso mio padre, i genitori di mia moglie e i miei migliori amici”. Scuote la testa in continuazione e sullo schermo passano le foto della sposa con l’abito bianco e poi in un letto d’ospedale con la testa bendata.

I delegati di tutti i Paesi ascoltano in silenzio, Ban Ki-moon ha spiegato di “aver fatto di tutto perché la politica non inquinasse l’evento”. Non ci sono contestazioni, ma l’ambasciatore palestinese ci tiene a prendere la parola: “Sentiamo la vostra pena e siamo con voi, ma anche con le migliaia che non sono qui, anche con le vittime palestinesi. Perché uccidere ogni civile innocente è terrorismo”. E racconta la sua spoon river, fatta di bambini palestinesi uccisi o rimasti orfani per i missili israeliani.

Vicino al nome di ogni partecipante una data e un’ora, quella in cui “la vita è cambiata per sempre”: “Niente ci può riportare al giorno prima dell’esplosione - conclude Naomi Kerongo - non ci possono restituire le vite, le persone o quello che eravamo, ma si può provare a ricordare, a ricostruire e a sperare”.

(10 settembre 2008)

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Napolitano ricorda l’11 settembre: “Moltiplicare sforzi per la sicurezza”

ROMA - Occorre moltiplicare gli sforzi per consolidare le basi di una vasta convergenza e cooperazione per la sicurezza collettiva, nel rispetto di principi irrinunciabili e di regole efficaci». È l’esortazione che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lancia dal Quirinale, nel corso della cerimonia di commemorazione del 7° anniversario degli attentati dell’11 settembre a New York e a Washington. Il capo dello Stato guarda in particolare «ai luoghi non ancora resi immuni dall’insidia del fondamentalismo aggressivo; all’Afghanistan divenuto oramai l’epicentro del confronto diretto sul campo con la principale centrale terroristica; al rischio di processi di proliferazione nucleare o di nuove tensioni e crisi in diverse regioni divise e inquiete» e avverte: «dinanzi ad una simile minaccia, che non conosce confini, che colpisce o può colpire dovunque nel mondo, decisivo è l’impegno della comunità internazionale, da costruire ancor meglio e da consolidare sulle basi più larghe». Per quanto riguarda, poi, più in particolare l’impegno del nostro Paese, Napolitano assicura che «l’Italia ha fatto, sta facendo e intende fare la sua parte, anche attraverso una consistente multiforme presenza in missioni internazionali in aree cruciali, a cominciare da quella afghana. È uno sforzo -sottolinea- grazie al quale l’America dopo l’11 settembre ci sente, ne siamo certi, più che mai vicini».

Infatti, «la solidarietà e l’impegno condiviso di lotta di fronte alla sfida del terrorismo hanno ulteriormente unito l’Italia e gli Usa, questi nostri due Paesi già così profondamente legati da tanti vincoli storici, umani e politici». Napolitano esprime questa convinzione, ricordando «una ferita tragica e dolorosa, cui siamo stati e siamo chiamati a dare una risposta davvera solidale: la più larga risposta comune, a garanzia della sicurezza e di un avvenire migliore per tutti i popoli». Il presidente della Repubblica, rievocando l’11 settembre, ricorda che in quel giorno «la comunità internazionale prese drammaticamente coscienza di una minaccia che fino a quel momento non aveva potuto individuare e valutare in tutta la sua sconvolgente portata: la minaccia del terrorismo internazionale. Quel giorno, la campana suonò non solo per l’America e per gli americani: suonò per tutti i Paesi e i popoli che nel corso di una lunga storia avevano conquistato la libertà o anelavano alla libertà, intesa come libertà dalla paura e come condizione essenziale di un autogoverno e di uno sviluppo indipendente». Proprio da lì, osserva il Quirinale, «nacquero una nuova visione del problema della sicurezza mondiale e un impegno comune a fare i conti con il terrorismo inteso come comune nemico, identificandone la fisionomia, colpendone i santuari e tagliandone le radici».

Quanto accadde l’11 settembre di sette anni fa a New York, con il «disvelamento della matrice fondamentalista islamica dell’attacco alle Torri Gemelle» presentò esplicitamente «Al Qaeda come centrale del terrore: risultò chiaro -afferma Napolitano- che si trattava del più insidioso nemico non solo dell’Occidente, dell’America e dell’Europa; ma si trovarono esposte alla minaccia le più diverse realtà statuali, sociali e culturali anche in altri continenti, le realtà più aperte al futuro e gli interessi di fondo dello stesso mondo islamico». Proprio per questa analisi, il presidente della Repubblica sottolinea con forza che «troppo comoda per le centrali organizzatrici e ispiratrici del terrorismo e radicalmente falsa è la rappresentazione di uno scontro tra civiltà e religioni inconciliabili, non già distinte e diverse ma irrimediabilmente contrapposte. In gioco -replica Napolitano- sono invece le ragioni della pace, della vita, dei diritti umani, del progresso civile, contro una feroce logica di violenza e di sopraffazione, una miscela distruttiva di fanatismo, di intransigenza, di regressione».
(11 settembre 2008)

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UNDICI SETTEMBRE 2007

Sono trascorsi sei anni, ma sembra ieri. Ne parleranno tutti i quotidiani, i telegiornali e network del mondo: da Nord a Sud, da Oriente a Occidente.

Il crollo delle Torri Gemelle. La tragedia collettiva più massmediatica di tutti i tempi.

In questi giorni sono fioccate ulteriori pubblicazioni sull’argomento: libri che appoggiano o che rigettano la tesi della cospirazione. Ve ne propongo alcuni.

- Le altissime torri. Come al-Qaeda giunse all’11 settembre di Lawrence Wright, Adelphi, Milano, pagg. 590, euro 28,00

- La cospirazione impossibile di Massimo Polidoro, Piemme, Casale Monferrato, pagg. 366, euro 16,50

- Zero. Perché la versione ufficiale sull’11/9 è un falso di Giulietto Chiesa e Roberto Vignoli, Piemme, Casale Monferrato, pagg. 412, euro 17,50

- Terrore al servizio di Dio. La “Guida spirituale” degli attentatori dell’11 settembre 2001 di Tilman Seidensticker e Hans G. Kippenberg, Quodlibet, Macerata, pagg. 140, euro 14,50

- 9/11. Il rapporto illustrato della Commissione americana sull’11 settembre. Tutto quello che accadde prima, durante e dopo di Sid Jacobson e Colòn Ernie, Alet, Padova, pagg. 133, euro 15,00

Vi propongo inoltre il video dell’edizione speciale del TG1 andata in onda quel giorno, dove avrete modo di riascoltare - tra l’altro - una parte della diretta della CNN tradotta in simultanea da Monica Maggioni.

Infine vi propongo questo film-inchiesta di Massimo Mazzucco. Un video agghiacciante - con scene forti - che circola da tempo sulla rete e che sposa la teoria del complotto. Si chiama Inganno globale e dura un’ora e mezzo circa. Se avete tempo date un’occhiata (magari con un po’ di distacco, per non farvi influenzare troppo; ma guardatelo).

Poi vi chiedo un commento, un vostro commento sulla catastrofe.

E due domande finali. Cosa ne pensate delle teorie del complotto? E cosa è davvero cambiato, se qualcosa è cambiato, in questi sei anni?


Tags: 11 settembre, attentato, Monica Maggioni, new york, terrorismo, TG1, torri gemelle, undici settembre

Scritto venerdì, 10 settembre 2010 alle 10:40 pm nella categoria INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, LETTERATITUDINE TV. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.


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