Magazine Economia
di Fabio Bolognini
Contrariamente alla maggioranza dei commenti che presagiscono il crollo dell’impero Unicredit dopo tre sedute drammatiche di borsa che hanno distrutto quasi il 40% del valore del titolo, io credo che Unicredit risorgerà come la fenice, l’uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. Rinascerà perché l’aumento andrà in porto, anche grazie agli impegni del maxi-consorzio di collocamento, e a quel punto Unicredit sarà una delle banche più capitalizzate in Europa, al riparo da quasi tutti i problemi e in condizione di respirare e pensare.
E’ altrettanto certo che il tonfo dell’azione segna uno spartiacque tra la ‘vecchia’ Unicredit aggressiva e
arrogante nella politica di acquisizioni italiane ed europee, ancora più simile al precedente AD, Alessandro Profumo, che non all’attuale Federico Ghizzoni. La nuova banca sarà diversa ma non per questo peggiore. E mi spiego.
Prima di tutto l’aumento di capitale di 7,5 miliardi crea la tempesta perfetta per scrollarsi di dosso l’ingombrante presenza di una pletora di fondazioni bancarie che Profumo aveva convinto a suon di dividendi in crescita alla perdita delle rispettive casse di risparmio, ma che non avevano mai mollato la presa neppure sul bancone che ne era scaturito post-fusioni. Ora le fondazioni sono senza soldi e devono pure rendere conto ai referenti del territorio della loro scellerata politica mono-investimento, che si spiega solo con l’ostinazione nel cercare potere e influenza. Le fondazioni, che hanno defenestrato Profumo, non saranno più ingombranti in futuro.
La maxi-svalutazione che ha richiesto l’aumento di capitale segna amaramente la fine dell’illusione che acquistare banche in Italia o all’estero sia solo un’operazione di M&A, di finanza straordinaria. Le fusioni bancarie richiedono pazienza, intelligenza e uomini capaci di condurre integrazioni efficaci. Unicredit non ne aveva abbastanza per deglutire in serie HVB, BankAustria, Capitalia e le banche nell’Europa Centrale. Ha sopravvalutato le proprie forze e sottovalutato l’arrivo dei venti gelidi e contrari della crisi, ha sottovalutato la zavorra del portafoglio crediti di pessima qualità incorporato da Banca Roma e Banco di Sicilia, con i crediti concessi allegramente a immobiliaristi, alla AS Roma, a Fon-Sai.
Le lezioni che Unicredit ha preso saranno la guida per il futuro, mentre altre banche meno capitalizzate continueranno ad arrangiarsi nascondendo errori e sofferenze nelle pieghe del bilancio invocando la clemenza dell’EBA a cui Ghizzoni coraggiosamente non si è appellato, primo segnale di una dignità superiore. Unicredit ha avuto il coraggio di svalutare il goodwill che non c’è più, le altre banche stanno ancora facendo giochini. Unicredit avrà un Tier 1 sopra il 9% mentre le altre banche saranno costrette davvero a cedere banche e ridurre i crediti. Probabilmente Unicredit sarà la banca meno timida nel fare cessioni senza guardare al ‘perimetro del potere’, liberandosi di tutto ciò che non porta valore o risultati. La recente costituzione per scorporo di Unicredit Business Integrated Solutions, che raggruppa tutti i servizi ICT, backoffice e immobiliari, appare come l’anticamera di una cura dimagrante per concentrarsi sul core business più che una mera scelta di efficienza e riduzione dei costi (-16%). Mi aspetto che verrà sganciata dal corpo centrale prima o poi.
Unicredit rinascerà come la fenice non solo grazie alle bastonate e alle lezioni prese, non solo grazie al senso di urgenza che il mercato gli sta trasmettendo con scariche elettriche, ma perché ha qualità che altre banche non hanno ancora. Capacità manageriali superiori e più giovani, una visione più fine dei segmenti di clientela e più propensa all’innovazione, uomini in rete mediamente più preparati grazie alla specializzazione acquisita nel periodo S3. Il filtro all’ingresso di nuove sofferenze è stato rafforzato prima e meglio rispetto a tutti gli altri gruppi bancari anche se molto resta ancora da fare. Con il tempo Unicredit dimostrerà di avere una maggiore capacità di intercettare i problemi per tempo e questo credetemi non è poco perché crisi e fallimenti non sono affatto finiti.
Probabilmente rinascerà con una compagine azionaria diversa, liberata dalle pastoie e delle ingerenze delle fondazioni, probabilmente più public company o alla fine dell’aumento di capitale con una presenza importante di investitori esteri, quelli che misurano solo i risultati e le competenze, quelli che non tollerano manager che parlano e non consegnano fatti, di cui il settore bancario è ancora popolato. Ai vecchi azionisti -grandi e piccoli- questa fenice lascia amaro in bocca, per i nuovi penso possa rivelarsi molto interessante.
Due incognite
Federico Ghizzoni, CEO Unicredit
Ci sono due incognite che possono ancora ferire a morte Unicredit e impedirne la rinascita. Una molto ravvicinata si chiama Ungheria, dove la posizione del gruppo è vulnerabile al recente precipitare degli eventi che si sta sviluppando. L’altra si chiama leadership. Se è vero che Ghizzoni, scelto grazie a compromessi tra gli azionisti coinvolti nell’omicidio Profumo, sta pagando ingiustamente le colpe della campagna di Russia del suo predecessore è altrettanto vero che non ha ancora trasmesso internamente ed esternamente uno stile di leadership inossidabile, non è diventato rapidamente una fonte di ispirazione per le sue truppe scelte. Potrebbe essere ritenuto non all’altezza della rinascita da parte del nuovo ponte di comando, potrebbe trasformarsi in un semplice e umile traghettatore tra l’era-Profumo delle conquiste estere (Pioneer, HVB) e il ‘new normal’ di una banca grande che deve trasformarsi in una "grande banca". fonte
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