Quando ho visto le millemila pagine che Style, il settimanale del Corriere, ha dedicato al green side della Unilever, mi sono chiesta se certi pezzi sono pagati dal committente (e quindi rientrano in un puro servizio pubblicitario a pagamento) o se sono invece frutto della libera iniziativa del giornalista che è convinto di scrivere un pezzo di informazione.
Se la verità cade nel primo caso, non si può commentare: tutti devono tirare a campare, anche se dal CorSera ci si aspetterebbe qualcosa di più.
Se la verità invece cadesse nel secondo caso, mi piacerebbe segnalare alla redazione che la Unilever, nel piccolo hub di Casalpusterlengo (LO), ha un pre-accordo con una società denominata Elcon Italy Srl per cedere una parte del proprio terreno in favore della costruzione di un bruciatore per rifiuti farmaceutici e tossico-nocivi. Ora, sebbene esistano diverse disquisizioni sul fatto che si tratti di un inceneritore vero e proprio o di un semplice trattamento acque (inspiegabilmente dotato di un camino, perché le acque, si sa, volano), se qualcuno si prendesse la briga di leggerne le emissioni si domanderebbe con che faccia la Unilever cerchi di far coincidere la sua politica di sostenibilità ambientale con una simile porcheria.
Certo, business is business: sappiamo bene che la Unilever in nome di questa filosofia si è ripetutamente resa criticabile negli anni, quindi non ci sarebbe niente di cui stupirsi.
Se non per la faccia tosta, ecco.
Quella faccia tosta con cui promuove le giornate della famiglia e dell’ambiente, e poi ci piazza un camino sopra la testa che butta fuori polveri di ogni tipo, in una terra che detiene il primato per incidenza tumorale (lo abbiamo già detto mille volte, lo so).
E in tutto questo, dove si trova il giornalismo del Corriere della Sera? L’indagine sparisce di fronte alla marchetta? Non c’è scampo di fronte al “business is business”?
Ho anche un’altra domanda da porvi: nel momento in cui un uomo decide di fare l’imprenditore, per quale motivo sceglie di costruire inceneritori, quando non sono minimamente necessari? Perché un imprenditore non sceglie di entrare nel settore smaltimento rifiuti (se proprio la monnezza gli piace tanto) a minore impatto o a impatto zero, come suggerito in questo articolo di Margherita Bologna?
E dall’altra parte: un’azienda come la Unilever, perché tra tutte le soluzioni possibili prende in considerazione la peggiore? Perché tra tutti i contatti possibili, la Unilever sceglie di accogliere un inceneritore?
Qualcuno ha risposte che non contemplino il pessimo livello della nostra imprenditoria e del nostro sistema?
Proprio senza vergogna, nevvero???