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Unite contro la ricerca di idrocarburi in Mediterraneo: quattordici associazioni sottoscrivono il patto

Creato il 20 marzo 2012 da Crono @Amaraterramia
Unite contro la ricerca di idrocarburi in Mediterraneo: quattordici associazioni sottoscrivono il patto Ente nazionale protezione animali (Enpa), Animalisti Italiani, Sea Shepherd conservation society Italy, The Black Fish, Centro studi cetacei, Ketos, Aeolian dolphin research, Centro ricerca cetacei, Comitato parchi Italia, Federazione nazionale Pro Natura, Pro Natura Mare Nostrum, Bottlenose dolphin research institute, Istituto per gli studi sul mare, Lega italiana dei diritti dell'animale e California State University at Northridge. Sono le associazioni che hanno sottoscritto un patto contro le attività di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi nel Mar Mediterraneo ed hanno inviato un documento (Ricerca di idrocarburi in Mediterraneo e impatto sull'ecosistema marino e sulla vita dei Cetacei) ai ministeri interessati ed ai principali Enti preposti al monitoraggio del settore marittimo; nel rapporto è possibile leggere che: «da diversi mesi, numerose compagnie e società petrolifere italiane e straniere avanzano istanze per richiedere permessi di ricerca di idrocarburi nei mari italiani, con particolare interesse per l'area del bacino Adriatico e del Canale di Sicilia. Le attività di ricerca di idrocarburi prevedono diverse fasi, ognuna delle quali legata ad un particolare impatto ambientale».
La prima fase, quella della prospezione geosismica, prevede, nella la maggior parte dei casi, l'utilizzo di una sorgente energetica ad aria compressa, meglio conosciuta come air-gun, che «genera una violenta onda d'urto che si propaga nel fondale e successivamente viene riflessa, mostrando in questo modo la presenza e la natura di idrocarburi nel sottosuolo». Le associazioni scrivono ne rapporto: «è noto che molte specie appartenenti all'Ordine Cetacea sono particolarmente sensibili a forti emissioni acustiche, quali quelle generate dai sonar militari e dagli air-gun, le quali vanno sommate al rumore di fondo sottomarino e a quello generato dal normale traffico marittimo». Zifii (Ziphius cavirostris) e Capodogli (Physeter macrocephalus) sono tra le specie più sensibili e questo tipo di emissione acustica che può far impaurire e stordire gli animali «sino ad indurli a un'emersione rapida ed improvvisa senza adeguata decompressione, con conseguente morte per la "gas and fat embolic syndrome", ossia morte per embolia. L'esposizione a rumori molto forti inoltre può produrre anche danni fisiologici (emorragie) ad altri apparati, oltre a quelli uditivi, fino a provocare effetti letali».
Se viene trovato petrolio o gas si passa alla seconda fase: la trivellazione di un pozzo esplorativo e poi alla costruzione di una piattaforma permanente di estrazione, «che implicherà attività di stoccaggio e trasporto di idrocarburi con strutture a terra e ulteriore traffico navale annessi - si legge nel rapporto. In aggiunta potrà essere costruito un impianto di raffinazione a terra o a mare, nel caso fosse necessaria la desolforazione degli idrocarburi estratti, spesso caratterizzati, specie in territorio italiano, da scarsa qualità. Le attività associate a queste ulteriori fasi si protraggono per decenni e costituiscono una ulteriore fonte di inquinamento acustico, per l'attività di trivellazione del fondale e un'ulteriore fonte di inquinamento ambientale, per i fanghi e fluidi perforanti utilizzati (miscele a base di oli minerali, gasolio, idrocarburi, acqua e materiali sintetici, i quali risultano saturi di BTEX - benzene, toluene, ethyl-benzene, xylene, metalli pesanti - mercurio, arsenico, vanadio, piombo, zinco, alluminio, cromo, bario, berillio, cadmio, rame, nichel, argento e ferro, oltre a piccole quantità di materiale radioattivo, come gli isotopi 226 e 228 del radon [4-6]) e per le perdite inevitabili di idrocarburi durante l'estrazione. Nel caso in cui si verificassero eventuali incidenti e scoppi (molto frequenti anche in Italia) la situazione sarebbe disastrosa. Pertanto la contaminazione ambientale causerà magnificazione e bioaccumulo lungo tutta la catena trofica al cui apice si trovano i cetacei, sentinelle della salute dell'ecosistema marino».
Anche il traffico delle imbarcazioni che servono le attività petrolifere, oltre ad avere problemi di inquinamento, rumore e degrado dell'habitat, sono un forte fattore di disturbo per i cetacei. Molte specie presenti subiscono collisioni con le navi, tra le principali cause di morte di origine antropica per balenottera comune (Balaenoptera physalus) e capodoglio.
Le quattordici associazioni fanno rilevare che le aree dove sono state fatte richieste per licenze di ricerca di idrocarburi «sono zone di importanza strategica per numerose attività che caratterizzano la complessa e straordinaria vita dei cetacei (alimentazione, allattamento, riproduzione, migrazione, socializzazione, riposo, etc.), la quale viene disturbata dalle attività antropogeniche previste. Lo stress è un pericoloso fattore che causa gravi danni alla fisiologia dei cetacei, causandone anche la morte. Nella maggior parte degli episodi di spiaggiamento di cetacei i fattori di inquinamento acustico e ambientale rappresentano costanti concause responsabili della morte di questi mammiferi marini. Le istanze e gli studi di impatto ambientale (Sia) che si riferiscono ai progetti di ricerca di idrocarburi cercano di limitare il reale impatto attraverso una lottizzazione del mare (in particolare per il bacino Adriatico, un mare chiuso da considerarsi come un sistema naturale unico), senza mai valutare attentamente l'impatto cumulativo che le diverse istanze, più o meno adiacenti e numerose, possono avere sull'ecosistema marino tutto. Si ricorda infatti che, proprio per la sua natura fisica di "fluido", il mare costituisce un organismo mobile e dinamico. Dunque il tentativo di minimizzare e mitigare un impatto cumulativo risulta del tutto impraticabile. Infatti, anche a distanza di tempo e di spazio, l'effetto inevitabilmente si propaga in tutto il bacino e permane proprio per le caratteristiche stesse del mare. Soprattutto nei mari italiani dove si consente di effettuare queste attività a poche decine di miglia dalla costa (12 miglia dalle Aree marine protette e nelle 5 miglia dalle linee di base costiere italiane).
Di fatto, sperare che le conseguenze che colpiscono un'area non si estendano nelle aree adiacenti o in altre aree più distanti, dimostra come non si valuti attentamente il significato e il valore delle caratteristiche dell'ecosistema marino nel suo complesso e della sua biodiversità. Inoltre, nella logica e nel rispetto di un principio precauzionale, non bisognerebbe mai autorizzare delle attività che non prendono in considerazione tutte le conseguenze e gli impatti a breve e a lungo termine, di natura diretta o indiretta, sull'ecosistema marino e in particolare sui cetacei, gruppo di specie a rischio, protette da una regolamentazione volta alla loro salvaguardia e conservazione a livello nazionale ed internazionale. Infine, sempre in linea con un principio precauzionale, nei Sia che accompagnano i vari progetti di ricerca non viene indicato un piano di recupero della zona a seguito di un eventuale danno ambientale con annesso bilancio economico e di competenze della stessa società presentante tale progetto».
Le quattordici associazioni chiedono agli enti ed organi istituzionali preposti al monitoraggio e alla regolamentazione delle attività marine, nonché alla tutela delle specie e dell'habitat pelagici ed alla valutazione degli impatti ambientali come al rilascio dei permessi autorizzativi di «intervenire attraverso precisi controlli e circostanziati provvedimenti per una tutela dell'ecosistema fattiva e concreta. Attività che proseguono per ore e per giorni e permangono per anni possono inevitabilmente costituire un ostacolo e disturbare, compromettendo, il già precario stato di salute e di conservazione dei cetacei, specialmente se le navi, le attrezzature e gli impianti che accompagnano l'attività di ricerca ed estrazione operano in un vasto territorio nel quale i cetacei stessi vivono da sempre. Consentire queste attività senza seguire in maniera trasparente, completa e corretta tali disposizioni e senza coinvolgere una comunità tecnico/scientifica che possa intervenire nello studio, nella documentazione e nel recupero dell'habitat e degli episodi di spiaggiamento di cetacei, significa giocare pericolosamente d'azzardo con un grande rischio annunciato per l'intero ecosistema, talvolta irreversibile, che si rifletterà inevitabilmente anche sulla salute pubblica».
Altre info qui:
https://docs.google.com/document/d/1twUGTmxdTKIQ95_V6G314MiPgwC63NgEtjs3vk0Ya64
https://docs.google.com/document/d/1ypoHAyUh807sVFM5zmYMbU27rJlYgLVCuWGbBO6OgUg

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