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Université mode d’emploi

Creato il 28 giugno 2011 da Margheritadolcevita @MargheritaDolcevita

Per chi non lo sapesse (ma immagino che il mio folto stuolo di lettori maialoni lo sappia) “La Vie mode d’emploi” è un romanzo (metaromanzo, iperromanzo) di George Perec, uno dei manifesti dell’OuLipo (Ouvroir de Littérature Potentielle): l’autore immagina di togliere la facciata a un condominio di Parigi, 10 piani, 10 stanze per piano, in tutto 100 vani (comprese le scale). Decide poi di muoversi attraverso queste stanze per raccontare la vita di chi ci abita. E come si muove? Con il movimento ad L del cavallo negli scacchi, senza mai fermarsi due volte nella stessa e senza mai saltarne una, tranne una, i capitoli sono 99 e non 100.

Questo uno schema di quanto scritto su e dei movimenti della “pedina” narratrice:

Université mode d’emploi

A tutto questo si aggiungono altre complicazioni (copio incollo da Wikipedia perchè non riesco proprio a dirlo con parole mie)

In ottemperanza agli obiettivi dell’OuLiPo Perec crea nel libro – tra le altre cose – un complesso sistema (al quale si riferisce come “macchina per ispirare racconti”) che genera, a partire da ciascun capitolo, una lista di elementi – oggetti o riferimenti – che il capitolo dovrebbe poi contenere o ai quali dovrebbe alludere. Nel libro compaiono 42 liste di 10 oggetti ciascuna, riunite in 10 gruppi di 4 elementi e due gruppi contenenti liste di “coppie”. Alcuni esempi:

  • numero delle persone coinvolte
  • lunghezza del capitolo come numero di pagine
  • un’attività
  • una posizione del corpo
  • emozioni
  • un animale
  • materiale di lettura
  • nazioni
  • due liste di scrittori, dei quali è richiesta una citazione.

Chiaro no?

Non ho fatto questa introduzione per niente o per far sapere quante ne so (tutto residuato liceale, altroché), è che ormai ho maturato la ferma convinzione che la mia università l’abbia progettata Perec in ottemperanza dei principi OuLiPiani.

E’ divisa in due poli, Polo 1 (non ha nome) e Polo Ranocchio (un nome ce l’ha, ma non è questo). I due Poli sono attigui e comunicano tra loro tramite alcuni piani, ma non tutti. Ad esempio il piano S (sotterraneo) è diviso e non è collegato. Il piano 1 è collegato ma solo in parte e così via. A ciò si aggiunga che le aule sono numerate per piano e poi sequenzialmente ma la sequenza continua, non si interrompe se cambia l’edificio! Per cui la stanza 1.4 è al primo piano del Polo 1 mentre la stanza 1.5 è al primo piano del Polo Ranocchio ma non sono contigue, se sei alla 1.4 e devi andare alla 1.5 devi fare le scale, andare in un altro “snodo” e risalire. E così via. Inoltre io non ho ancora capito dove finisce un polo e dove inizia l’altro.

A loro volta i due Poli danno origine ad altre diramazioni che comunicano tra loro in modo assolutamente casuale e imponderabile; l’architetto l’ha progettato giocando a dadi, parafrasando Eraclito l’architetto è un bambino che si diverte a giocare con dei sassolini e l’edificio è di questo bambino.

Inoltre i Poli ospitano sia lingue che lettere, ma non c’è una divisione netta. Aule, segreterie, presidenze, studi dei professori, tutto sparso, come in una divertentissima caccia al tesoro.

Inoltre i Poli al loro interno ospitano, e qua viene il difficile, tutta una serie di dipartimenti, che sono organi a latere, “transfacoltà” diciamo e sono dislocati, per dirla tutta fino in fondo, alla cazzo. Senza considerare il fatto che tutti i dipartimenti li hanno dismessi lo scorso anno per unirli e traslocarli altrove, ma sempre nello stesso edificio. Io l’anno scorso ho fatto un esame e la sede era “Terzo piano Polo 1 studio del professore hai presente di fronte all’ascensore dove c’era il dipartimento di anglistica ecco lì prendi le scale e arrivi all’ex dipartimento di filologia in dismissione e sei arrivata” (c’ho messo tre giorni). Non parliamo poi della disposizione delle toilette.

Stamattina ho impiegato un quarto d’ora a trovare una biblioteca in un dipartimento nel Polo Ranocchio. All’ufficio accoglienza non c’era nessuno (bella accoglienza) così dopo aver girovagato per quasi tre quarti d’ora fermando chiunque mi capitasse a tiro “Scusa sai dov’è la biblioteca Girolamo Imbeverato?” (nessuno lo sapeva. Ho girato per filosofia, per un altro dipartimento, ho dato io indicazioni a una suora -credevo fosse una visione mistica alla Fantozzi invece era una suora vera-) sono tornata all’ufficio accoglienza dove finalmente mi hanno accolto per darmi un’indicazione devo dire molto precisa “Polo Ranocchio, a sinistra, secondo piano, stanza 12, prendi l’ascensore a destra, poi giri a sinistra, prendi il corridoio dove ci sono le finestre, passi gli uffici e i bagni e sei arrivata”.

Arrivo trafelata e in biblioteca non c’è nessuno. Aspetto zelante fino a quando non arriva il tipo con il mazzo di chiavi più grande che io abbia mai visto. Mi dà il libro che ho chiesto e ritorno indietro, facendo il percorso di prima ma al contrario.

Ho un mal di gambe sovrumano, perchè, oltre all’aver camminato, i Poli, ovviamente, non sono climatizzati tutti alla stessa maniera. Il Centro Linguistico ospita una famiglia di pinguini ciuffodorati. Le aule al secondo piano del Polo Ranocchio invece hanno il clima tipico della giungla tropicale: umido e caldo. Caratteristica comune a tutti gli ecosistemi è la mancanza d’aria circolante, le finestre sono tutte rigorosamente chiuse (secondo me non si possono nemmeno aprire), non gira un filo d’aria.

Insomma la mia università è un incrocio tra un bioparco e un labirinto. Ma d’altronde immagino che unire sul serio i due Poli e fare un piano per lingue, un piano per lettere, un piano per gli uffici e uno per i dipartimenti fosse troppo difficile. Così come penso sia troppo difficile dare una mappa agli studenti per orientarsi e per non finire ogni volta di fronte ai bagni del piano sotterraneo.

Ecco la biblioteca Girolamo Imbeverato (nome finto eh!), con gli scaffali più fighi del mondo, si risparmia un sacco di spazio!

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