Essere Cristiani e praticanti aiuterebbe nel momento del bisogno. Detto così potrebbe sembrare una banalità ma indubbiamente non lo è se ad evidenziarlo è uno studio dei ricercatori dell’Università del Missouri pubblicato sull’autorevole “Journal of Religion, Disability & Health”.
Il gruppo di ricercatori di psicologia della salute ha infatti constatato con entusiasmo come gli ultimi risultati ottenuti confermino per l’ennesima volta l’idea che «la religione possa aiutare ad attenuare le conseguenze negative derivanti da un male cronico». Lo studio ha evidenziato come la frequenza ad attività religiose e spirituali è associata ad una migliore salute mentale per le donne e mentale e fisica per gli uomini affetti da una malattia cronica o disabilità.
Per le prime, il miglioramento è collegato a esperienze di spiritualità e perdono quotidiano, che suggerisce implicitamente come vivere anche in semplice coerenza con il Vangelo, toccando la pienezza misericordiosa della fede aiuti nel lungo e doloroso percorso contro le patologie croniche. Per gli uomini –evidenzia la ricerca- un ruolo primario è costituito dal supporto pastorale e della comunità.
Dai risultati dello studio, emerge anche, in contrasto con quanto sostenuto da altre pubblicazioni, che entrambi i sessi approfondiscono l’esperienza di fede e comunitaria in egual misura, nonostante gli uomini siano mediamente considerati meno “religiosi” o “spirituali” delle donne. «Per quanto le donne sono generalmente più religiose o spirituali degli uomini, abbiamo constatato come entrambi possano aumentare il loro affidamento alle proprie risorse religiose o spirituali nell’affrontare il peggioramento di una malattia o di una disabilità» ha commentato Brick Johnstone, uno degli autori della ricerca. La notizia è stata ripresa da ScienceDaily.com.
Nicola Z.