Magazine Lavoro
Anche nel 2002, alla vigilia della manifestazione, si era scritto di un sindacato isolato, senza speranza di risultati. Toni spesso sarcastici e irridenti che sparirono quasi di colpo il giorno dopo, quando anche gli osservatori ultramoderati presero atto di un movimento potente che non si poteva ignorare. Tanto è vero che l'obiettivo di quella giornata fu raggiunto. Non passò il tentativo di cancellare un elemento importante dello Statuto.
Ora l’offensiva ritorna moltiplicata nell’ambito di una serie di misure che non rappresentano una risposta equa e seria alla crisi economica. L’articolo otto del decreto, ora emendato, certo non nomina formalmente quella norma anti-licenziamenti. Con una furbata l'estensore del provvedimento decide però che nel futuro sarà data via libera a contratti aziendali d'ogni specie, sorpassando così i contratti nazionali, e calpestando le leggi. Tali contratti potranno essere sottoscritti dalle associazioni sindacali più diverse e potranno interessare le materie più diverse comprese quelle che vengono chiamate, con uno sgradevole eufemismo, "flessibilità in uscita". Ecco: sono i licenziamenti facili. Il gioco - un gioco mascherato - è fatto. L'articolo 18 ritorna in scena sotto camuffate spoglie. Accompagnato (nell'articolo nove) da misure che gridano vendetta come l'instaurazione di reparti confino per disabili.
Fatto sta che molti hanno alzato il velo e si è scoperto che oggi la partita è ben più pesante rispetto a quella del 2002. Perché questo articolo otto, nipote dell'articolo diciotto, se passasse, inserito in una manovra che peserà sulle condizioni non solo materiali del mondo del lavoro, avrebbe una funzione devastante sull'intero diritto del lavoro. Finirebbe non solo col cancellare il contratto nazionale, ma introdurrebbe una vera e propria giungla nei rapporti di lavoro a scapito delle stesse imprese. E assesterebbe un colpo pressoché definitivo a ogni ipotesi di ripresa del processo unitario tra Cgil, Cisl e UIL.
Eppure proprio poche settimane fa, il 28 giugno 2011, era stato raggiunto un accordo fra le tre Confederazioni, che pareva aprire una nuova strada sostenendo, tra l'altro, nuove regole di rappresentanza e democrazia sindacali, capaci di coinvolgere i lavoratori e impedire accordi separati. Era un intesa unitaria che al governo non piaceva e che è stata disdettata dall'articolo otto.
Non c'è stata solo la Cgil di Susanna Camusso a dare l'allarme, ad alzare quel velo. Tra i primi a svelare l'arcano c'è stato l'ex ministro del Lavoro del governo Prodi Cesare Damiano nonché i dirigenti Pd Stefano Fassina e Emilio Gabaglio. Una presa di posizione decisiva era poi venuta da un gruppo di eminenti studiosi dei problemi del lavoro, appartenenti a diverse culture politiche come Aris Accornero, Gian Primo Cella, Umberto Romagnoli, Lorenzo Bordogna, Mimmo Carrieri, Donata Gottardi, Fausta Guarriello, Franco Liso, Luigi Mariucci, Franco Scarpelli, Valerio Speziale, Lorenzo Zoppoli.
Nomi pesanti che dovrebbero far riflettere tanti amici e compagni della Cisl e della Uil.
La richiesta dei citati studiosi era quella di ritirare del tutto quel testo che nulla ha a che fare con i problemi della crisi economica e di quella "crescita" così invocata dalla stessa Confindustria. Sarebbe necessario, invece, diceva l'appello, "riprendere spirito e metodo del 1992-1993" e recepire l'accordo interconfederale del 28 giugno.
La Cgil non può dunque dirsi sola a questa prova dello sciopero generale. Un quotidiano, il "Riformista", ha riportato dichiarazioni di studiosi e intellettuali come Domenico De Masi e Luca Ricolfi che hanno finito col condividere i motivi della protesta. Il gioco "lucido e scaltro" per usare un verso di Paolo Conte, usato dal centrodestra sta suscitando dissensi e rivolte. Le sortite autoritarie del ministro Sacconi contro i "bastardi anni 70", gli anni dell'unità e della riscossa sindacale, hanno sollevato contestazioni all'assemblea delle ACLI e persino a Vittorio Veneto, accanto alla città natale del ministro. Ora l’attesa è per lo sciopero generale.
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