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Uno strano incontro

Creato il 08 settembre 2014 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr
Uno strano incontro

Quello che vi presento oggi è il racconto scritto da un amico di Napoli: un incontro breve e intenso con una lucciola, “una di quelle” come la definisce lui stesso, ma che porta a una profonda riflessione. La società nel suo insieme è responsabile di questo fenomeno e sono responsabili i clienti che con la loro richiesta stimolano un mercato sempre più vario. Un intrigante miscuglio fra il ribrezzo dettato da atavici pregiudizi per le donne che si vendono e un brivido di intrigante desiderio…tutto da leggere.

"Uno strano incontro" di Giuseppe Campagna.

Avevo fatto male a non cambiare la gomma, uscendo dall‘officina del cliente, avevo notato che la ruota anteriore sinistra mi stava procurando una sorpresa a tempi brevi. Solo undici chilometri mancavano affinchè mi immettessi sull’Appia, ma il volante “tirava” sempre di più. Dovevo sostituirla, non vi era altro da fare. Accostai il più a destra possiibile e fermai al centro del faro di luce emesso da un lampione. Erano le ventuno. La Strada, come tutte le provinciali, aveva un aspetto squallido e, pur non essendo un uomo impressionabile, quella sostituzione sarebbe stato meglio poterla effettuare sulla strada statale, bene illuminata, nel tratto che da Casagiove porta a Santa Maria. Stavo già armeggiando col crik, quando un fruscio mi fece trasalire, mi sollevai dalla posizione curvata e,attraverso i vetri della macchina, la vidi. Non potevo sbagliarmi, era “una di quelle”. Contrariamente al suo ruolo, alla profonda scollatura ed al trucco smodato, in un buon italiano mi chiese di accenderle una sigaretta. “Certamente” le risposi , riprendendomi dalla sorpresa. Fu con la luce dell’accendino che potei fissarla meglio: venticinque o trent’anni, bei lineamenti, bruna alla maniera andalusa. “Vi ho forse spaventato? “ mi chiese dopo aver inspirato una profonda boccata di fumo. Tergiversai: “E’ questa benedetta gomma, non ci voleva proprio, da dove sei sbucata?” le chiesi. Ignorò la mia domanda e proseguì: “Andate verso Santa Maria? “. “ Ci arrivo quasi. Prendo l’ autostrada a Caserta Nord “, Tra un’operazione e l’altra del cambio gomma continuavo a guardarla di sottecchi. Si, effettivamente era una bella figliola, peccato che appartenesse a quel mondo. Intanto l’ultimo bullone non aveva alcuna volontà di venire fuori ed io a bassa voce incominciai ad imprecare contro quei benedetti aggeggi pneumatici con i quali i gommisti avvitano i perni. Fu a questo punto che lei girò dalla mia parte e si chinò simulando di darmi una mano. La profonda scollatura ora metteva a nudo il seno di una scolaretta; un brivido mi percorse lungo la schiena. Fu il bullone a cavarmi d’ impaccio, si era deciso a venir fuori. Ora la macchina aveva ripreso a correre veloce ed io, di tanto in tanto, distraendomi per piccoli attimi dalla guida, guardavo la mia accompagniatrice. “Si vede – debuttò – che siete una persona per bene, non avete tentato di approfittare della situazione, oppure non vi piaccio?” La sua voce era calda, una piega maliziosa del viso smentiva la verità della sua ultima domanda. Le dissi sorridendo che a mio avviso nessun uomo che fosse stato tale avrebbe potuto pensare che lei non potesse piacere. Quando riprese a parlare i suoi occhi fissavano intensamente la cenere della sigaretta: “E’ per il mestiere che faccio? “ , ma lo sapete che quando un uomo mi interessa lo faccio con tutta me stessa? “. Fu quello l’unico vero momento durante il quale mi sentii tentato; ma non mi è mai interessato quel tipo di rapporto. Lo sballottare della macchina, per la strada leggermente dissestata, procurò che le gambe accavallate fossero abbondantemente scoperte, lei, con profonda femminilità sorrise compiaciuta e finse di riparare, lo fece solo in parte. “Che ne sapete di me?" Sbottò improvvisamente con un tono carico di risentimento. “Dolcezza,” le dissi assumendo con la voce l’ atteggiamento di chi è avvezzo a certe compagnie, ti sto dando solo un passaggio, non devi assolutamente pensare di dovermi niente. Il tono “snob” della mia voce non aveva sortito alcun effetto: sperai vivamente che non mi raccontasse la storia della sua vita. Le mie sorprese, però, quella sera non si dovevano limitare a quanto mi era accaduto perché di lì a poco il pneumatico che avevo sostituito era completamente a terra. Ora era soltanto la luna a rischiarare la strada, le facevano da concerto le mie imprecazioni, mi era impossibile pensare ad una qualunque soluzione. La mia accompagnatrice mi creava un problema ulteriore; era già difficile, data l’ora ed il posto, che il conducente di una delle rare macchine che passavano avesse accolto i miei cenni di aiuto, figurarsi quindi quando intravedevano la persona che mi accompagnava. Stavo per dirle di entrare in macchina, ma fu lei che con tono deciso chiese a me di rientrare nell’abitacolo. Avevo intuito le sue intenzioni e la cosa non mi entusiasmava per niente, servirmi del suo adescamento per riuscire ad ottenere per qualche chilometro un qualsiasi aiuto od una gomma in prestito, mi contrariava fino a toccarmi lo stomaco. La strada ora diventava sempre più deserta, passava un’auto ogni periodo che mi sembrava un’eternità. Non mi riuscì di accettare oltre quella scomoda condizione di cacciatore che mira a distanza come l’esca venga catturata dalla preda. Fu mentre uscivo dalla macchina che vidi la lussuosa BMW, fermarsi accanto alla donna, alla guida era un uomo sui 55/60 anni, uno di quelli che hanno la ferma convinzione che l’età possa essere celata dall’accorta pettinatura, dall’abito sportivo-elegante e che lo stemma di una BMW riesca a far credere che i 60 anni siano al massimo 45. Intuii come si stavano mettendo le cose e mi avvicinai; mi accorsi dopo che il mio camminare aveva assunto un andare dinoccolato e avvertii che qualche piega nata sul mio viso mi stava dando l’aspetto che mi ritrovo quando affronto con decisione le situazioni difficili. Mentre l’uomo innestò la prima ed il rombare del motore coprì la sua ultima frase, riuscii soltanto a sentire: “... un passaggio a te lo do ben volentieri”. “Perché vi siete avvicinato – mi redarguì – sarei riuscita a guadagnarmi uno strappo per entrambi…” troncai netto e replicai: “Potevi andare, perché non l’hai fatto”. Enfatizzando ed in maniera ironica il tono della voce: “Nella buona e nella cattiva sorte”. Ora i suoi occhi chiedevano un po’ di soddisfazione per il gesto che aveva fatto di non lasciarmi solo. Chissà perché certe volte siamo cinici nei momenti meno giusti, infatti le dissi: “Sei proprio una stupida!” Se ne ritornò taciturna in macchina, mi avvicinai allo sportello dalla sua parte e con il ticchettio delle nocche la invitai ad abbassare il vetro e tutto d’un fiato sbottai: “Scusami”. Ora una largo sorriso aleggiava sul suo viso: era stupenda quando sorrideva, i fazzolettini che l’avevano aiutata a struccarsi s’erano portati via anche i segni della sua professione e convenni che incontrandola in un ufficio o a casa di amici, quella sarebbe stata un’ambita donna da conquistare. Girai intorno alla macchina, andai a sedermi al mio posto, le offrii una sigaretta e ne presi una per me. “Come ti chiami", le domandai . “Gianna” e da quanto tempo fai questo lavoro”. “Da un mese” mi rispose. “Benedetto Iddio, quasi urlai, ma non potevi fare una qualunque altra cosa, che so, la cameriera per esempio?” “Se fossi la vostra cameriera, quante volte al giorno pensereste di portarmi a letto?” Sì, aveva proprio ragione una donna fatta bene come lei e con quel viso da madonnina, o diventa una diva (prostituta col consenso del pubblico) o lavora in ufficio (scansando le solerti mani dei colleghi) o si colloca tra le schiere delle lucciole e si fa risarcire in denaro quanto madre naturale le ha elargito e gli altri tentano di portarle via. Squallido! Ma reale! Vinsi la grossa ripugnanza che si frapponeva tra i miei istintivi desideri e lei ed accostai una mano sulla sua: si voltò a fissarmi; Dio come la vita insegna agli occhi di certe creature a parlare: il suo sguardo mi scavò dentro, deglutii a fatica, una barriera fittissima era tra noi, lei l’avvertì e come per un occasionale movimento, fece scivolare via la sua mano che era al di sotto della mia. Nel suo sguardo avevo letto una convinzione assai chiara, ero un uomo piccolo, piccolo, piccolo, legato ad una balorda educazione e ad un fasullo perbenismo che teneva imprigionata la mia mediocre anima. Restammo in silenzio non so per quanto tempo, ma nella mia mente non c’era più rabbia per quell’incidente che mi avrebbe tenuto lontano dal piacevole impegno settimanale: la partitina a poker a casa dei miei amici; no, ora facevo una velocissima scorsa nella mia mente delle persone influenti di mia conoscenza che avrebbero potuto dare una mano a quella ragazza: nessuna andava bene, tutta gente che nella migliore delle ipotesi, quando avrei presentato loro quel pezzo di figliola, avrebbe pensato ad un interessamento troppo personale ed impossibilmente disinteressato. Allora fui io a rompere il silenzio e le dissi: “Se il nostro volto, il calore della nostra voce, l’espressione dei nostri occhi è veramente l’indice della nostra indole, sono certo che tu sei una persona recuperabile: cosa si può fare per te?” Mi guardò alla sua maniera, in quel modo che ti scavava dentro, non ebbe dubbi, capì che dietro la mia offerta, non c’era nessuna richiesta in cambio e quindi esclamò: “ Cosa volete che m’importi!” Lo stridio dei freni ci fece sussultare la macchina si era perfettamente accostata alla mia, l’uomo sbirciò nel nostro abitacolo, intimò con un breve deciso cenno della testa alla mia accompagnatrice di raggiungerlo: ella ubbidì. Appena fu seduta nell’auto accanto a lui, la macchina sgommando presto sparì all’orizzonte. Trassi dal pacchetto un’altra sigaretta e mentre le davo fuoco i miei occhi, alla capace luce dell’accendino rividero quei fazzolettini con i quali ella si era struccata. Possiamo certo toglierci dal viso la brutta maschera di molti affanni, ma non sempre la vita ci consente di impedire agli altri, contro la nostra volontà, di truccarci di nuovo.


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