Sono trascorsi un sacco di mesi dall’ultima volta che abbiamo parlato degli Yellow Mythos qui sul blog. Lunghi mesi che però non hanno impedito al sottoscritto di continuare a fantasticarci sopra, elaborando teorie, tentando collegamenti tra piccoli frammenti, spesso separati da enormi distanze in termini di tempo e di spazio. Credo di non aver mai incontrato prima d’ora un argomento di cui si conosce così poco e che appare essere così restio dal farsi conoscere. Va anche detto che in questi mesi, mentre io ero in pausa, ci sono stati gli episodi della serie televisiva True Detective che hanno contribuito, molto più del mio piccolo blog, a diffondere un briciolo di cultura “Yellow”… ma io non li ho ancora visti e probabilmente passerà un po’ di tempo prima che mi decida a farlo. Preferisco invece andare avanti per la mia strada come se non esistessero, ricominciando esattamente dal punto in cui mi ero interrotto.
Gli Yellow Mythos: c’è qualcuno che si ricorda da dove eravamo partiti? Riassumere in poche righe i post precedenti mi sembra eccessivo: vi invito pertanto a recuperare perlomeno il primo della serie, nel quale c’è scritto più o meno tutto ciò che è bene sappiate. Fatto? Ok, passiamo oltre. C’è invece qualcuno che si ricorda almeno dove eravamo arrivati? Nell’ultimo articolo avevamo affrontato alcuni spunti scaturiti da un racconto, scritto da Robert W. Chambers nel 1895, dal curioso titolo de “Il riparatore di reputazioni”; spunti che ci avevano portato a ritenere che fosse stato addirittura Oscar Wilde il primo vero, e probabilmente inconsapevole, creatore della mitologia “King in Yellow”. Tantissimi erano però i mondi che il racconto di Chambers aveva spalancato.
Innanzitutto ci eravamo lasciati con una domanda: erano davvero le origini del “Re in giallo” quelle a cui avevamo assistito nel finale di “Repairer of Reputations”, oppure erano solo i vaneggiamenti di un pazzo? Hildred Castaigne è stato senza dubbio un narratore inaffidabile. Tutto ciò che ci ha raccontato è da prendere decisamente con le pinze. Tutta la vicenda a cui abbiamo assistito, lo stesso mondo da lui descritto (quel distopico 1920 dove il suicidio non solo è ben visto, ma anche gestito dal Governo per mezzo di apposite installazioni, le cosiddette “Camere Letali”) potrebbe essere un semplice frutto del suo delirio. Quali sono quindi i “punti fermi” dei quali possiamo essere certi? Tutto ciò che precede lo scatenarsi della sua follia, mi azzarderei a dire. Tutto ciò che precede l’istante che, lo ricordiamo, si può fissare nel preciso momento in cui Hildred Castaigne, durante un periodo di convalescenza derivato da una caduta da cavallo, si imbatte nel famigerato libro “Il Re in Giallo” e, sciaguratamente, decide di affrontarne la lettura. Ricordate l’episodio? Lo avevo descritto qui. Cosa sappiamo della vita di Hildred prima del “Re in giallo”? Solo due cose: 1) che era appena caduto da cavallo e 2) che il dottore che lo aveva in cura si chiama John Archer.
Tutto questo ci dice altre due cose: 1) che Hildred scrisse queste righe quattro anni dopo la caduta da cavallo, quindi evidentemente molto tempo dopo la lettura del libro e 2) che John Archer era più interessato alla mente di Hildred piuttosto che alle ferite o alle contusioni riportate a seguito della caduta.
Se è vero che il narratore ci racconta i fatti a posteriori (molto a posteriori), verrebbe subito da pensare che la follia (se di follia si può parlare) si fosse già fatta largo nella mente di Hildred e che, di conseguenza,tutto quello che oggi leggiamo non è assolutamente credibile. Ma si può davvero parlare di follia? Proviamo a rileggere con un occhio critico il passo sopra riportato. Sembra davvero il delirio di un pazzo? A me sembra un discorso coerente, perfettamente lineare. Il discorso di una persona perfettamente a suo agio nella logica e ben lontana dai deliri di onnipotenza di cui abbiamo trovato riscontro in altri momenti del racconto.
Proviamo a rileggerlo e confrontiamo quanto abbiamo letto con il seguente passo, che troviamo ne “Il riparatore di reputazioni” solo qualche pagina più avanti: “Il dottor Archer, essendo chissà come entrato in possesso del segreto della Successione Imperiale, ha cercato di privarmi del mio diritto, asserendo che una caduta da cavallo di quattro anni fa aveva fatto di me un minorato mentale; ebbe l’ardire di confinarmi in casa nella speranza di farmi impazzire o di avvelenarmi. Non l’ho dimenticato. Sono andato a trovarlo ieri sera e il nostro colloquio è stato definitivo.”
Se prima Hildred gli disse “sorridendo” che “sperava di trovare una buona occasione per pareggiare i conti” ma che egli “non gliene diede nessuna”, in seguito il nostro narratore ci spiazzerà con un drastico “Non l’ho dimenticato. Sono andato a trovarlo ieri sera e il nostro colloquio è stato definitivo.”
Quell’ultima parola, quel “definitivo”, riferito al colloquio tra i due, lascia spazio a innumerevoli congetture. Cosa significa definitivo? Il narratore non lo spiegherà mai ma, mi viene da pensare, l’aver sorvolato su un fatto così importante potrebbe non essere affatto casuale. Poche righe prima Hildred, accennando a suo cugino Louis Castaigne e della di lui promessa sposa Constance, scriveva “dentro di me sapevo che tutto sarebbe finito bene e che avrei provveduto al loro futuro, così come intendevo fare per quello del mio buon dottore, John Archer.” Hildred avrebbe quindi provveduto al futuro del dott. Archer? In che senso?
Un senso possiamo intuirlo, anche se non viene detto esplicitamente, in una frase buttata lì per caso verso la fine del racconto, quando ormai non c’è alcun dubbio che il narratore non sia più la stessa persona pacata che era all’inizio del racconto. Una frase che dice: “Quindi gli raccontai come avrebbero ritrovato il dottor Archer, in cantina, con la gola squarciata, e gli risi in faccia nel ripensare a Vance e al suo coltello e all’ordine firmato da me.”
Leggendo “Il riparatore di reputazioni” quasi non ce ne accorgiamo, talmente numerosi sono gli spunti con i quali abbiamo a che fare, ma è evidente che c’è stato un omicidio. Una sottotrama buttata lì, seminascosta dall’imponente riflettore puntato sugli avvenimenti principali, ci dice senza ombra di dubbio che qualcuno ha tagliato la gola al dottor Archer e che quel qualcuno non può che essere Hildred Castaigne, il futuro successore al trono della dinastia imperiale d’America, il futuro (ma questo lo diciamo sottovoce) King in Yellow.
Ma è davvero andata così? Chi può dirlo? Nulla si può dare per scontato nella aggrovigliata matassa degli Yellow Mythos. John Archer si direbbe morto, ma allora chi è quel dottor Archer che ritroviamo in un racconto scritto un secolo più tardi, nel 1981? E chi è quella Constance Castaigne a cui il dottor Archer darà filo da torcere in quello stesso, incredibile racconto? Per saperlo dovrete attendere il prossimo appuntamento con gli Yellow Mythos su The Obsidian Mirror.