«Uomini contro Donne» potrebbe essere una trasmissione tv, visto che quella congiunzione messa al posto dell’avverbio “contro” è lì soltanto per marcare un incontro/scontro tra diversità. “Uomini contro Donne” potrebbe essere un pezzo scintillante presentato sul palco di Sanremo da qualche voce femminile emergente, o da qualche navigata interprete in cerca di rilancio che magari finirebbe al primo, al secondo o al terzo posto.
Con i titoli dei giornali, i servizi dei tiggì, gli speciali di approfondimento che scavano nel metatesto e che analizzano il messaggio: chissà poi perché son sempre i messaggi più chiari ad avere bisogno di analisi e vivisezioni. E invece no, pare che “Uomini contro Donne” sia davvero un tema politico, laddove per politico s’intende quell’arte sublime che convoglia coscienze, paure, deliri, aspirazioni e consensi. Perché da alcuni anni l’universo sembra avere due facce: una rosa, carica di Forza, l’altra blu, carica d’Amore. L’Amore che soffoca la Forza, il blu che soffoca il rosa. L’escalation determinata dal martellamento mediatico sul tema del femminicidio (parola che Word correttamente sottolinea con la matita rossa) ha aperto la breccia ad una vera e propria campagna politica e sociale. Insomma, la violenza sulle donne che da sempre accompagna il bagaglio retroculturale del normotipo e che mai ha osato sollevarsi con questo impeto sulle pagine dei giornali, ora pare un’urgenza. Un’incombenza. Un pericolo. Un’ossessione.
Strano perché nel 2013 uno mai si sarebbe aspettato di trovarsi di fronte a un problema così pieno di polvere. Il progresso, dicono. Siamo saliti di uno scalino, dicono. Insomma, si sale di un gradino dopo essere scesi di una decina, ma è tutto relativo: perché “è arrivata l’ora”, dicono. E se è arrivata l’ora, non si può più stare con le mani in mano: la donna va protetta, va tutelata, va difesa. Chi deve tutelarla? Tu. Da chi deve essere difesa? Da te. Che poi viene automatico chiedersi, come già qualcuno ha fatto, “ma devo fare tutto io?”Eh sì, è così. Il tuo Jeckyll deve fare i conti anche con Mr. Hyde, lo spartiacque va valorizzato in te, negli altri, nel mondo. C’è il bene, c’è il male. C’è il rosa e c’è il blu. C’è l’uomo e c’è la donna.
C’è l’uomo e c’è la donna, c’è l’uomo e c’è la donna. Da quando? Da sempre, dicono alcuni. Da un certo punto, dicono altri. Da quel giardino, da Adamo ed Eva, dal serpente tentatore. Dall’albero della Conoscenza, quello del frutto proibito. Un uomo, una donna. In mezzo al giardino, un albero che divide il Bene e il Male.
«1 Il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che Dio il Signore aveva fatto. Esso disse alla donna: “Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?” 2 La donna rispose al serpente: “Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; 3 ma del frutto dell’albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete”».
In mezzo al giardino, dicevamo. E il resto del giardino? Gli altri alberi? I ruscelli, i campi fioriti?Del resto del giardino ci è dato sapere soltanto di un altro albero, quello della Vita. Esso non è altro che «la “scala di Giacobbe” (vedi Genesi 28), la cui base è appoggiata sulla terra, e la cui cima tocca il cielo. Lungo di essa gli angeli, cioè le molteplici forme di consapevolezza che animano la creazione, salgono e scendono in continuazione. Lungo di essa sale e scende anche la consapevolezza degli esseri umani».
La differenza con l’Albero della Conoscenza è sensibile: tre rami, non più due.
«I tre pilastri dell’Albero della Vita corrispondono alle tre vie che ogni essere umano ha davanti: l’Amore (destra), la Forza (sinistra) e la Compassione (centro). Solo la via mediana, chiamata anche “via regale”, ha in sé la capacità di unificare gli opposti. Senza il pilastro centrale, l’Albero della Vita diventa quello della conoscenza del bene e del male. I pilastri a destra e a sinistra rappresentano inoltre le due polarità basilari di tutta la realtà: il maschile a destra e il femminile a sinistra, dai quali sgorgano tutte le altre coppie d’opposti presenti nella creazione».
Gli opposti, dunque. Il maschio e la femmina: «Jachin, il pilastro di destra che congiunge Hokmah a Netzach è il pilastro della misericordia». Questa è la scala maschile, di colore bianco, ove per l’esoterismo scorre la magia baccanale dell’ebbrezza, dove la propria coscienza è alterata dalla nudità delle proprie emozioni.
Il pilastro di sinistra è invece di colore nero, ed è la Boaz, il pilastro della forma, dell’intelligenza e dello splendore, ma anche del rigore: è il pilastro degli aspetti femminili, e qui la progressione del simbolismo esoterico attribuisce la modifica della propria coscienza a cambiamenti dovuti allo studio e alla conoscenza.Il pilastro bianco è caratterizzato da aspetti attivi, quello nero è invece dominato da aspetti passivi.
In sostanza, la dicotomia maschio/femmina è qualcosa che appartiene a ognuno di noi, e che trascende dalla ben più banale lotta tra uomo e donna: «L’insegnamento principale contenuto nella dottrina cabalistica dell’Albero della Vita è quello dell’integrazione delle componenti maschile e femminile, da effettuarsi sia all’interno della consapevolezza umana che nelle relazioni di coppia. Spiegano i cabalisti che il motivo principale per cui Adamo ed Eva si lasciarono ingannare dal serpente fu il fatto che il loro rapporto non era ancora perfetto. Il peccato d’Adamo consisté nell’aver voluto conoscere in profondità la dualità senza aver prima fatto esperienza sufficiente dello stato d’unità Divina, e senza aver portato tale unità all’interno della sua relazione con Eva. Il serpente s’insinuò nella frattura tra i due primi compagni della storia umana, e vi pose il suo veleno mortale».
L’integrazione può avvenire attraverso un metabolismo che permetta di assimilare la dualità e quindi integrarsi in un unico processo. La realtà delle cose però è ben diversa, e tutta la rappresentazione della realtà si muove per esacerbare la dualità, in ogni campo: destra/sinistra, ricco/povero, nero/bianco, dittatura/democrazia, male/bene, uomo/donna:«Dopo il peccato, l’Albero della Vita fu nascosto, per impedire che Adamo, con il male che aveva ormai assorbito, avesse accesso al segreto della vita eterna e, così facendo, rendesse assoluto il principio del male. Adamo ha dovuto far esperienza della morte e della distruzione, poiché lui stesso aveva così scelto. Tramite tali esperienze negative, il suo essere malato si sarebbe potuto liberare dal veleno del serpente, per ridiventare la creatura eterna che Dio aveva concepito. Analogamente, tutte le esperienze tragiche e dolorose, che purtroppo possono succedere durante la vita umana (Dio ci preservi da ciò), sono tuttavia occasioni preziose per rendersi conto della distanza frappostasi tra lo stato ideale, del quale conserviamo una memoria nel super-conscio, e lo stato attuale».
Detto questo, che senso ha continuare a perpetrare questa contrapposizione? Non rimane che auspicare la distruzione di qualsiasi dualità presente all’interno e all’esterno di noi. Riconoscere le componenti peculiari, capire che è la componente maschile quella più irrazionale, quella demonizzata dall’informazione attraverso curiose e orribili espressioni (“delitto passionale”, “raptus”), mentre quella femminile si esprime attraverso la conoscenza, lo studio e la razionalità.
Ecco, se proprio dovessimo usare quella mostruosa parola, forse dovremmo dire basta al “femminicidio” che quotidianamente esplode dentro di noi, nel quotidiano. Davanti allo specchio, al bar con gli amici, in famiglia. Perché non esiste un Adamo come opposizione ad Eva: tutti siamo Adamo, tutti siamo Eva. Resta da capire chi ha avuto il copione del serpente.