Vivo sui treni tante ore ogni giorno. Pendolare a lunga percorrenza di quelli che, come ho già detto una volta su queste pagine, vivono tre vite: quella personale, quella professionale e quella , appunto, di pendolare. Parte di una comunità in continuo movimento, in cui le differenze si annullano diventando solidarietà, le antipatie si amplificano e le simpatie si evolvono, a volte, in solide amicizie durature, perenni e, altre volte, in illusori legami che attutiscono l’alienazione del viaggio.
Sul treno, in questi ultimi giorni, due esperienze, due episodi che confondono la realtà quella cruda con il parossismo al limite del reale, ai confini dell’impensabile, mi hanno toccato il cuore e… lo stomaco!
La realtà ha il volto di un uomo giovane, con gli occhi piccoli vicini e strabici, una incipiente calvizie e l’apertura verso il prossimo che è solo degli Umili (maiuscola obbligatoria!).La richiesta di una semplice informazione diventa lo spunto per il racconto della sua storia. Ex imprenditore edile, ora disoccupato, in attesa di due gemelli e in partenza per la Germania. Da poco ha licenziato 12 dipendenti. “Non potevo più andare avanti”, dice e gli occhi piccoli si inumidiscono. Dei 12, uno lo seguirà in Germania. Lavoreranno in una ditta che restaura castelli. Mani abili in fuga, non solo cervelli. Sua moglie vorrebbe far nascere i bimbi in Italia. Lui quasi li sogna già tedeschi…
Il paradosso irreale ha l’aspetto di un topo che scorrazza nel neon di un treno. Per quanto si parli male dei treni italiani, non è normale trovare un roditore che tranquillamente zampetta in un minuetto (il gioiellino dei treni regionali, almeno qui al sud). Provate a digitare su google “Topo treno”. Vi suggerirà “top treno” o “ capo treno”. E se insisterete vi riporterà all’episodio di una viaggiatrice con topo domestico (non ruspante come il protagonista di questa storia) o dell’avvistamento di analogo passeggero nella metropolitana di New York.
E’ evento inconsueto, rarissimo e per questo sconvolgente, sconcertante. Eppure, nonostante la sagoma imponente (da procione!) evidenziata dalla luce del neon, nonostante le zampette schiacciate contro il vetro, nonostante la lunga cosa snodata, il topo di cui trattasi non ha intaccato la calma serafica dei pendolari ( tranne 4 Eccezioni – altra maiuscola obbligatoria).
Cos’era quell’immobilismo innaturale e quello strombazzante, irritante, rumoroso, incomprensibile e inaccettabile silenzio?
Cos’erano quei sorrisini nascosti senza troppa convinzione tra i denti stretti in bocche che smaniavano di sghignazzare?
Rassegnazione cronica o patologica apatia?
Uomini, come l’imprenditore sconfitto che pur stramazzato a terra si rialza e continua a lottare in nome di una passione ed un sogno.
Treni e quindi normali e comuni viaggiatori che di fronte all’oscenità dell’impensabile tacciono o al limite sorridono.
Topi come il viaggiatore clandestino che, intuendo l’apatia di chi dovrebbe ostacolarne il viaggio, fa i suoi comodi indisturbato.
Uomini, treni e topi: storia di un Paese, delle sue speranze negate e delle sue tristi e disastrose rese.