Passo davanti alla tv accesa e mi fermo. Ancora. Ancora notizie tremende sulla violenza alle donne da parte di uomini, soprattutto mariti e conviventi oppure ex.
Uomini con cui queste donne hanno condiviso delle relazioni affettive (che di affettivo probabilmente avevano solo il nome, visto che l’amore è ben altro).
Sono gravemente ferite o muoiono massacrate sotto le mani o le armi di chi le considera solo “cose”. Non esseri umani, ma cose. Oggetti da utilizzare, gestire e manipolare: usa e getta. E questo non è amore.
Ieri e oggi, si sono ancora verificate azioni violentissime contro le donne (e a noi non importa l’appartenenza etnica).
No, io a queste notizie non faccio l’abitudine.
No, io non sorvolo come se ormai fosse un cancro inevitabile della nostra società.
No, io non mi abituo per niente.
E la notizia che mi ha particolarmente colpito riguarda la violenta azione compiuta a Genova: Yamila, una cubana di 41 anni, è stata gettata fuori da un’auto in corsa e poi colpita con tre spari alla schiena. Ora è ricoverata in gravissime condizioni. L’autore del gesto (un italiano) è il suo amante o fidanzato o come volete chiamarlo. Poi ha chiesto scusa: roba dell’altro mondo…. come se avesse rubato un vasetto di marmellata!
Questa dinamica così violenta mi ha fatto tornare in mente una scena a cui ho assistito qualche tempo fa nella mia città, vicino a casa.
Ero appena uscita dal cancello, quando sul marciapiede ho visto una ragazza bionda stesa per terra, rannicchiata. Non si lamentava, era immobile. Intorno c’erano molte persone preoccupate, donne e uomini. Qualcuno aveva già chiamato l’ambulanza. Anche più di una. Immediatamente ho chiesto notizie sullo stato della ragazza. Un signore anziano mi ha detto di aver assistito alla scena: era stata gettata fuori da un’auto in corsa, che poi aveva proseguito per la sua strada. La ragazza aveva solo pronunciato qualche frase in una lingua straniera, probabilmente dell’est.
Nessuno di noi ha tentato di muoverla per non creare danni alla colonna vertebrale. L’abbiamo solo coperta. L’ambulanza è arrivata subito e l’ha portata via.
Io ho telefonato all’ufficio immigrati della mia città chiedendo immediato intervento di assistenza. Ho chiesto di essere informata. Ma non ho potuto più avere informazioni sulla ragazza, non essendo una parente.
E mi sono chiesta più volte come fare per aiutare situazioni simili. Italiane o straniere non importa.
A regola, una donna vittima di violenza dovrebbe potersi rivolgere a un vicino CENTRO ANTIVIOLENZA (sottolineo il “vicino”): lì dovrebbe trovare valido aiuto di fronte ai primi, anche piccoli, segnali di violenza, di limitazione alla propria libertà personale, di sopraffazione da parte del proprio marito, fidanzato, compagno, convivente.
Beh…. nella mia città c’è il CENTRO DONNA. Ho provato a telefonare, ma ultimamente non risponde nessuno, mai. E’ chiuso a doppia mandata. Mi sono informata: non ci sono fondi pubblici per farlo funzionare, non ci sono soldi per aiutare le donne.
E quando qualche ragazza mi prende in chat su facebook chiedendomi come fare per avere aiuto per andarsene via di casa o per riprendersi i figli affidati al marito violento… cosa le devo rispondere? Le devo rispondere di darsi pazienza, perché noi donne, in fondo, siamo USA E GETTA?
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