Israele-USA :::: Redazione :::: 17 novembre, 2011 ::::
Francesco Brunello Zanitti, ricercatore dell’IsAG, è stato intervistato lo scorso 11 novembre da Mauro Missana, direttore di “Radio Onde Furlane”, a proposito del suo libro Progetti di egemonia. Neoconservatori statunitensi e neorevisionisti israeliani a confronto. “Radio Onde Furlane” è una testata giornalistica indipendente con sede a Udine che da trent’anni lavora ogni giorno a favore della tutela e della conoscenza della lingua friulana e per un’informazione libera e indipendente. La maggior parte delle trasmissioni sono in friulano. Oltre ad essere ascoltata in tutta la regione Friuli-Venezia Giulia, “Radio Onde Furlane” raggiunge anche i numerosi emigranti friulani presenti in Argentina, Canada e Australia, grazie ai collegamenti streaming presenti sul sito ufficiale dell’emittente.
Seguono l’audio e la trascrizione dell’intervista.
Prima parte:
Seconda parte:
I Kosovni Odpadki (gruppo musicale di Gorizia; i loro testi e suoni hanno la particolarità di rappresentare le diverse comunità linguistiche regionali: italiana, friulana e slovena n.d.r.) con “Yerushaliam”, un pezzo che si presta molto bene alla presentazione del libro che abbiamo oggi in analisi. E’ di un giovane storico che si chiama Francesco Brunello Zanitti. “Progetti di egemonia”, un libro molto attuale anche se è uscito qualche mese fa. Neoconservatori statunitensi e neorevisionisti israeliani a confronto. Il periodo storico di riferimento è rappresentato in particolare dagli anni ’70, decisivi per capire a livello geopolitico quello che sta succedendo nel presente, anche le piccole rivoluzioni. E’ tutto strettamente collegato. Tutto quello che succede nel mondo lo vediamo attraverso la televisione, ma Francesco Brunello Zanitti ha cercato di spiegarlo in questo libro, edito dalle Edizioni all’Insegna del Veltro. Prima di tutto partiamo dall’interesse per la storia, perché tu sei uno storico che fa parte di un istituto che pubblica una rivista, “Eurasia”. Spiegaci meglio.
Il volume “Progetti di egemonia. Neoconservatori statunitensi e neorevisionisti israeliani a confronto” è edito dalle Edizioni all’Insegna del Veltro, come ricordato giustamente dal direttore Missana, per conto dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, un’associazione culturale che ha come obiettivo la promozione della conoscenza, dello studio e dell’applicazione della geopolitica. In particolare, io sono ricercatore per l’area Asia Meridionale, contribuendo, inoltre, alla rivista di questo istituto, “Eurasia”. La mia ricerca si concentra soprattutto su questioni legate all’India, al Pakistan e all’Afghanistan. In questo libro ho invece considerato un altro aspetto della politica internazionale e della geopolitica.
Ecco, una questione importante di questo libro che mi ha stupito è che i neoconservatori statunitensi non sono sorti strettamente “a destra” ma sono nati “a sinistra”, delusi dalla cosiddetta “sinistra americana”. Parlare di “sinistra e destra americana” è difficile nel senso italiano. Il fatto è che il movimento sorse da esponenti delusi, ad esempio economisti, alcuni di origini ebraica. Allo stesso tempo esiste una sorta di delusione anche nello Stato israeliano per la classe dirigente politica. Come nascono il neoconservatorismo statunitense e il neorevisionismo israeliano? E quando si possono trovare i maggiori punti di contatto e perché?
Innanzitutto bisogna tener presente che tra Stati Uniti e Israele c’è sempre stata una speciale relazione. Neo-conservatorismo statunitense e neo-revisionismo israeliano hanno enfatizzato questa relazione molto importante. Il neoconservatorismo nasce, come giustamente ricordava, da un periodo di crisi per gli Stati Uniti; sorse dal Partito Democratico perché si era in una situazione in cui gli Stati Uniti si trovavano in una fase di crisi morale dopo la sconfitta in Vietnam. Esisteva in un certo senso la volontà di riprendere per il paese un ruolo di primo piano a livello globale e allo stesso tempo si vedeva in Israele l’unico garante della democrazia nel Vicino Oriente. La speciale relazione tra Stati Uniti e Israele è stata enfatizzata con l’ascesa al potere del gruppo neoconservatore, durante la presidenza di Ronald Reagan, ma successivamente soprattutto con la presidenza di George W. Bush. Ho cercato di analizzare le origini storiche e ideologiche di questi due movimenti che sono molto diverse. Analizzando il pensiero di questi due gruppi politici e gli scritti si possono trovare numerose analogie; a questo proposito ho utilizzato come fonti gli articoli pubblicati su riviste specializzate, ad esempio “Commentary”, la rivista principale dei neoconservatori.
Ho notato che hai utilizzato molto anche Internet.
Sì, su Internet si possono trovare diverse fonti per comprendere il pensiero dei due gruppi. Come dicevo, si trovano degli interessanti punti in comune. Per esempio, un forte nazionalismo. Come si può vedere dagli eventi politici avvenuti nel corso degli ultimi trent’anni, molto più marcato nella destra israeliana rispetto al neoconservatorismo. Poi ci sono le tendenze espansionistiche e militariste connesse a un’idea di egemonia regionale nel Vicino Oriente per Israele e un’egemonia mondiale per quanto riguarda gli Stati Uniti. C’è l’idea poi di considerare le proprie nazioni come eccezionali e assolutamente necessarie.
Questo è un punto in comune molto interessante.
Sì, è un punto in comune molto importante. L’eccezionalismo statunitense è sempre esistito fin dal XIX secolo e in un certo senso fin dalla nascita degli Stati Uniti, i quali sorsero in contrapposizione al Vecchio Continente. Questo eccezionalismo però a seconda dei periodici storici è prevalso o meno, ha avuto una maggiore forza o meno. Con i neoconservatori l’eccezionalismo raggiunge forse il livello più alto.
Ma questo ha provocato una sorta d’isolamento. Si legge anche nel tuo libro questa idea di credersi i migliori. Ci sono diversi articoli all’interno di “Progetti di egemonia” che sono chiari quando presentano l’eccezionalità statunitense e la debolezza, ad esempio, dell’Europa. Di eccezionalità a livello politico e militare. In questo saggio si parla spesso di utilizzare la forza militare per risolvere precise questioni, quasi chirurgicamente. Da quello che è scritto nel tuo volume si comprende chiaramente quale sia stata l’escalation che c’è stata negli ultimi dieci anni se si pensa all’Afghanistan, all’Iraq. Si capisce anche questa spinta a riguardo dell’Iran e della Siria. Si capisce perché si sono verificate alcune rivoluzioni, tanto legate a questo dualismo Israele-Stati Uniti che non si capisce alla fine se vi è solamente una grande alleanza oppure quanto prevalga l’interesse nazionale.
In un certo senso l’eccezionalismo, soprattutto secondo la mia opinione nel caso israeliano, comporta una sorta d’isolamento a livello internazionale. Se si pensa, infatti, alle critiche che sono state fatte nei confronti dell’amministrazione Bush dopo l’intervento in Iraq, oppure alla percezione dell’America nel mondo musulmano dopo lo stesso intervento in Iraq. Questo eccezionalismo e il voler intervenire ad ogni costo in territori del mondo per i propri interessi con allo stesso tempo l’idea comunque di voler esportare un determinato modello culturale e un sistema di valori, tutto ciò comporta alla fine anche un isolamento di Stati Uniti e Israele a causa dell’adozione di politiche unilaterali.
Per quanto riguarda il caso siriano, iraniano e le rivolte arabe degli ultimi mesi sono interessanti da notare due punti fondamentali. Innanzitutto che nonostante l’amministrazione Obama non abbia legami con il neo-conservatorismo, in un certo senso c’è ancora latente questa idea di voler intervenire in determinate aree per difendere degli interessi geopolitici molto importanti. Per quanto riguarda Israele non è corretto affermare che lo Stato ebraico difenda in ogni caso l’operato statunitense, per quanto concerne, ad esempio, le rivolte arabe. Israele è molto allarmata per quello che è accaduto in Egitto o in altri territori del mondo arabo perché si è perso quello status quo che in un certo senso favoriva gli interessi strategici israeliani.
Per quanto concerne la bomba atomica iraniana è un altro discorso.
Si discuteva a suo tempo anche dell’Iraq. Io non discuto nulla, non è comunque che mi fidi a livello personale dell’Iran e della sua politica interna. Però stranamente…
Essendo comunque uno Stato sovrano alla fine la politica autonoma statale non si può decidere dall’esterno. Si può legittimamente avere un’opinione contraria al nucleare civile, però quando uno Stato autonomamente decide la sua politica interna diventa difficile decidere per questo Stato cosa è opportuno fare.
Più che un problema militare (è improbabile che l’Iran attacchi lsraele con un bombardamento atomico poiché si troverebbe la risposta immediata e molto più forte dello Stato ebraico e degli Stati Uniti) si tratta, secondo me, di un problema geopolitico. Un’eventuale bomba atomica iraniana scatenerebbe una competizione regionale molto forte che è già evidente.
C’è il Pakistan ad esempio.
C’è il Pakistan, ma soprattutto l’Arabia Saudita, la Turchia e naturalmente Israele. E’ molto forte la competizione tra mondo sunnita guidato dall’Arabia Saudita e universo sciita guidato dall’Iran. Eventualmente una bomba atomica iraniana scatenerebbe una corsa al nucleare nella regione, poiché l’Iran, unitamente ad avere un potere deterrente nei confronti degli Stati Uniti e d’Israele, aumenterebbe la propria influenza regionale e questo non va bene per Israele, ma soprattutto per l’Arabia Saudita e i paesi arabi delle vicinanze.
Che bello che era il mondo una volta, quando c’erano solamente l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti che avevano il nucleare.
La situazione adesso è più complessa. Se si pensa, dal Nord Africa al Vicino, Medio Oriente e Asia Meridionale, vi è tutta una zona dove c’è una forte competizione tra diversi attori regionali (Iran, Arabia Saudita, Turchia, Israele, Egitto, India, Pakistan n.d.r.), ma anche globali (Stati Uniti, Cina).
C’è questo competitore nuovo che è la Cina, anche a livello militare non solo dal punto di vista economico. Quindi questo neoconservatorismo si è sviluppato soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino. Noi eravamo a quell’epoca tutti contenti, vedevamo queste persone che saltavano sul muro che divideva Berlino. Ci sono anche dei film come “Goodbye Lenin” che ci spiegano tante dinamiche di come si vivevano le cose dall’altra parte. Noi ne sapevamo poco, loro non sapevano nulla di quello che succedeva a noi. Il neorevisionismo israeliano e il neoconservatorismo americano nascono quando crolla il muro, cercando di capire chi deve avere la maggiore influenza.
In realtà no, sono nati alcuni decenni prima. Il neoconservatorismo nasce negli anni ’70, mentre il neorevisionismo si collega al sionismo revisionista di Jabotinsky che è addirittura degli anni ’20.
Jabotinsky che era nato a Odessa.
Sì, Jabotinsky era di Odessa e aveva come obiettivo un sionismo molto più radicale rispetto al sionismo originario di Herzl. Aveva una percezione di una costante lotta tra ebrei e arabi.
Militarista in pratica.
Sì, sempre una politica aggressiva. Il neorevisionismo è diverso dal revisionismo originario perché, come ricordo in “Progetti di egemonia”, esiste il fattore molto importante rappresentato dall’Olocausto. Questo evento storico ha segnato una sorta di spartiacque per la comunità ebraica dell’Europa orientale, ma in generale per gli ebrei e per il futuro Stato d’Israele. Il neorevisionismo è molto più radicale del revisionismo perché osserva una sorta d’incapacità da parte del resto del mondo di accettare l’esistenza dell’ebreo in quanto tale. E l’Olocausto ne è l’esemplificazione. C’è dunque un ideale fortemente pessimista nei confronti del resto del mondo.
Questo aspetto l’ho notato, leggendo il libro.
Un sentimento di pessimismo e avversione non solo verso gli arabi, ma anche verso chiunque critichi la politica estera dello Stato. In ogni caso il neorevisionismo individuava degli attacchi contro l’ebreo in quanto tale.
Quello che emerge a livello politico dal tuo libro è che una critica ad Israele è connessa all’attacco totale verso gli ebrei. Ma questo l’ho notato anche in certi programmi televisivi italiani, dove erano presenti dei giornalisti di origine ebraica che parlavano degli israeliani utilizzando il “noi”. Non si sentivano più cittadini italiani, ma quasi totalmente israeliani. Insomma il neorevisionismo interpreta totalmente questa separazione. E’ un aspetto molto interessante, anche per comprendere come opera. Il tutto è nato anche in questo caso negli anni ’70 che sono stati decisivi. Perché prima c’erano stati i laburisti per anni.
Sì, prima c’erano i laburisti al potere. Il 1977 è la data di svolta quando il Likud vinse le elezioni e inizia il programma vero e proprio del neorevisionismo, in un certo senso espansionista. Se si pensa alla guerra in Libano degli anni ’80, l’attacco preventivo nei confronti dell’Iraq del 1981 al reattore nucleare Osiraq. Quello che oggi il governo Netanyahu vorrebbe fare nei confronti dell’Iran, un attacco preventivo contro l’ipotetico programma nucleare iraniano è collegato a questo impianto ideologico connesso a un intento egemonico, una visione fortemente pessimista nei confronti degli altri e un’idea della continua presenza di una minaccia nei confronti d’Israele.
Tu hai spiegato molto bene come nasce questo movimento, soprattutto con i collegamenti con l’Olocausto. Il quale non è stato completamente accettato da una parte della popolazione europea. Si parla anche di revisionismo a proposito di questo e diventa spesso delicato discutere di questa tematica che hai citato.
In “Progetti di egemonia” considero l’utilizzo che viene fatto di questo genocidio, l’utilizzo politico. Non si discute l’evento storico, secondo me non si può discutere l’Olocausto.
Assolutamente.
Il problema è quando questo evento viene utilizzato per fini politici. Parlo alla fine di una sorta di banalizzazione: sia i neoconservatori sia i neorevisionisti parlano delle minacce contemporanee come se fossero una ripetizione dell’Olocausto, come le minacce degli anni ’30, equiparate al 1938; lo smembramento della Cecoslovacchia paragonato a un possibile smembramento d’Israele. Questo non è il modo corretto di fare storia. Ogni evento storico ha le sue circostanze e il suo particolare contesto.
Ti faccio una domanda a freddo. Quant’è paranoia e quanto calcolo politico?
Secondo me entrambi. Per un popolo che si sente minacciato è comprensibile una sorta di paura nei confronti dell’altro. Non bisogna dimenticare che esistono alcune frange all’interno dei paesi arabi che hanno come obiettivo la distruzione d’Israele. Dall’altra parte ci sono però anche calcoli politici. Secondo me esistono entrambi gli aspetti.
E anche economici. Dunque, in chiusura volevo considerare un altro aspetto. La tua ricerca si concentra molto sull’India e soprattutto su questioni geopolitiche riguardanti l’Asia Meridionale. Ci sono diversi articoli a questo proposito su internet. Tutto ciò come si collega a “Progetti di egemonia”? Cosa sta succedendo nel mondo e come spieghi tutti questi cambiamenti di potere, queste micro-rivoluzioni che isolate non vogliono dire quasi nulla? La popolazione si erge contro i propri governanti, ma in certi casi ciò fa comodo sia agli Stati Uniti che a Israele. Ma a livello globale cosa accade? Mi sembra che stiano cambiando i centri di potere ed è comprensibile questa paura.
C’è un impero che è in declino. Gli Stati Uniti hanno sempre avuto l’idea di essere un impero a livello globale. Si sta spostando il centro di potere verso Oriente, soprattutto verso la Cina, in parte minore verso l’India che è comunque lontana dal livello raggiunto da Pechino.
La cosiddetta Cindia, come la chiamano.
Certo. La Cina e l’India non hanno ancora il potere militare che hanno gli Stati Uniti, però si sta registrando questo spostamento di potere dovuto soprattutto a motivi di carattere economico. In questa fase c’è una sorta di competizione molto forte a livello globale per chi saranno le guide e le superpotenze del futuro. Stiamo attraversando una fase in cui ci stiamo spostando da un modello unipolare a guida statunitense a un modello multipolare. Questo testimonia come le teorie della “fine della storia” d’inizio anni ’90 dopo il crollo del muro di Berlino e dell’Unione Sovietica siano totalmente sbagliate perché stiamo attraversando una fase in cui emergerà una nuova competizione per avere un ruolo egemonico a livello globale.
Si dice che i tedeschi hanno perso la Seconda guerra mondiale perché avevano problemi energetici. Per esempio l’ex Jugoslavia era il corridoio di collegamento con la Romania per il petrolio. Nessuno lo ha mai considerato. I tedeschi hanno studiato diversi tipi di approvigionamento energetico alternativi già durante il periodo della Seconda guerra mondiale perché avevano problemi energetici. Quanto conterà nel futuro questa lotta per l’energia e dove si sposteranno questi equilibri?
Le lotte per l’energia saranno molto forti, ad esempio anche il caso iraniano è collegato alla competizione per il controllo dei corridoi energetici, per il petrolio e il gas naturale. Se si pensa anche all’Afghanistan e al Pakistan, si può affermare che saranno due territori attraversati da una competizione molto forte per il controllo delle rotte energetiche. L’Afghanistan e il Pakistan sono due paesi che si trovano in territori molto importanti dal punto di vista geostrategico perché sono punti di collegamento tra le risorse presenti in Asia Centrale e l’Asia Meridionale, verso l’India. Oppure verso il Vicino Oriente. Dunque si possono fornire tanti esempi di questa continua competizione, in ogni caso penso che lotta sarà soprattutto per l’area che va dal Nord Africa al Vicino Oriente fino all’Asia Centrale e Meridionale. Un ipotetico conflitto ad esempio contro l’Iran potrebbe scatenare a livello regionale un’instabilità che è già forte, ma potrebbero esserci delle problematiche ancora più significative.
Dunque ricordo che lo stesso Francesco Brunello Zanitti, lo storico che abbiamo ospitato, ha anche un blog.
Sì, un sito da dove è possibile ordinare anche il libro, http://progettiegemonia.blogspot.com/.
“Progetti di egemonia. Neoconservatori statunitensi e neorevisionisti israeliani a confronto” di Francesco Brunello Zanitti. Abbiamo parlato di geopolitica. Volevi aggiungere altro?
Sì, vorrei ricordare che l’Isag ha pubblicato altri due interessanti volumi per comprendere la geopolitica contemporanea. “Capire le rivolte arabe” del segretario scientifico dell’IsAG e redattore di “Eurasia” Daniele Scalea e del ricercatore, sempre dell’IsAG, Pietro Longo. Questo è uno studio molto importante per comprendere appunto le contemporanee rivolte arabe e avere un chiaro quadro della situazione. Un altro libro appena uscito è “Il risveglio del drago” del ricercatore e saggista Diego Angelo Bertozzi e del giornalista Andrea Fais, un libro molto importante per comprendere l’ascesa politica e militare della Cina.
Ci sono dunque altre questioni da approfondire per capire cosa sta succedendo nel mondo. E’ tutto collegato. L’Isag è un istituto di studi geopolitici di Roma con una schiera di ricercatori e anche tu collabori con “Eurasia” e si possono trovare diversi articoli sul web. E’ curioso che su Internet ci siano due persone con lo stesso nome: uno storico e un dentista. Grazie a Francesco Brunello Zanitti, avremo altre occasioni per ospitarti nuovamente.
Grazie a “Radio Onde Furlane” e a Mauro Missana per l’ospitalità.
Grazie, mandi e buona giornata.
Mandi.