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Usain Bolt torna e colpisce! Ross sui 400m

Creato il 05 agosto 2012 da Olimpiazzurra Federicomilitello @olimpiazzurra

 

Usain Bolt torna e colpisce! Ross sui 400m

 

Uno Usain Bolt da incorniciare. Un pittore dipinge una delle sue tele migliori. La più bella da tre anni a ‘sta parte. Da quel mondiale di Berlino 2009 in cui fece spalancare la bocca a mezzo Mondo con un fantascientifico 9.58, una prestazione che sembrava inarrivabile e che invece mai come oggi è stata così vicina. Il giamaicano è tornato. Quello vecchio, per diventare quello nuovo. Si impadronisce di nuovo della scena, riprende lo scettro dell’atletica, si conferma l’icona più limpida, fulgida e potente di tutto lo sport. Un fulmine che squarcia il cielo di Londra. Si lascia alle spalle i piccoli acciacchi stagionali, le sconfitte con Yohan Blake ai trials, le paghe prese in allenamento e trionfa. Non se n’era mai andato via certo, ma è comunque un “ritorno” stupendo.

In un teatro da favola, in un Olimpico stracolmo, su una pista velocissima, sotto i riflettori di tutto il pianeta. Lo show che tutti si aspettavano è stato un cioccolatino delizioso, da scartare metro dopo metro, da gustare falcata dopo falcata. Il tempo di reazione migliore del lotto (0.165), segno che gli spettacolini prima dello start non lo deconcentrano più di tanto. Una partenza di livello, sopra la sua media. Una macchina di 191cm messa in moto nel più breve tempo possibile. Un lanciato di quelli che non perdonano. Bruciante. Ammazza gambe. Stroncante. Un tuffo finale, come mai ci aveva abituato. Tutto nel frullatore. Esce un pazzesco 9.63, nuovo record olimpico. Migliore del crono di Pechino (9.69), dove vinse il suo primo oro olimpico. Si fa un regalo anticipato per le ventisei candeline che spegnerà il 21 agosto. Secondo uomo a riuscire in un bis consecutivo nella gara per eccellenza. Entra nella storia affianco al mito di Carl Lewis che trionfò a Los Angeles 1984 e a Seoul 1988 (dopo la squalifica per doping del canadese Ben Johson). Con un metro e mezzo a favore di vento è letteralmente volato, staccando tutti gli avversari. Doveva esserci il grande duello col connazionale Blake. Non se ne è vista nemmeno l’ombra. Si credeva che l’iridato incutesse timore a sua maestà. Non ci è riuscito. Non è arrivata nessuna pressione. Anzi. Ha fatto arrabbiare Bolt e non c’è stato niente da fare. È argento con 9.75. Bye bye sembra dirgli il compagno di allenamenti, che poi finisce per abbracciarselo e per portarselo sotto alla bandiera per festeggiare insieme. Brucerà tantissimo al 23enne che eguaglia sì il suo personal best, ma non arriva là dove la testa e il cuore avrebbero voluto. Non è partito al meglio nei primi 30-40 metri in cui doveva sfruttare le sue leve più agili e più corte rispetto a quelle del rivale (rende 15cm abbondanti al campione). Era pronosticato un podio interamente giamaicano, ma non sono riusciti a piazzare il tris, che non è arrivato a causa di un infortunio di Asafa Powell. Accreditato come l’arbitro dell’evento, il trentenne, verosimilmente all’ultima uscita a cinque cerchi, è crollato agli ottanta metri probabilmente a causa di uno stiramento (chiuderà per onor di firma in 11.99): terminerà una bella carriera con tanto di primati mondiali senza nemmeno una medaglia olimpica (quinto sia ad Atene che in Cina). I due milioni e mezzo di abitanti dell’isola delle magie hanno dovuto cedere il bronzo allo statunitense Justin Gatlin, campione otto anni fa, che ha dovuto realizzare il suo personale (9.79) per riuscire ad agguantare il terzo gradino. Con certi tempi avrebbe vinto miliardi di titoli e invece… Stelle e strisce anche al quarto e quinto posto (Gay e Bailey): sarà una staffetta 4×100 da stropicciarsi gli occhi. Come lo è stata questa finale: in sette sotto i 10”, in quattro sotto i 9.80.

 

Nell’altra gara più attesa, quella dei 400m, gli Stati Uniti si rifanno. Sanya Richards-Ross, si leva di dosso la fama di buona staffettista e poco più, e si toglie la più grande soddisfazione della carriera. Lei emigrata dalla Giamaica a dodici anni (lo zampino i caraibici ce lo devono mettere sempre…), che ha sofferto della sindrome di Behcets con gravi danni al sistema immunitario, riesce ad agguantare quell’oro che a Pechino le era sfuggiyo (fu solo terza). È il terzo titolo dopo le vittoriose 4×400 di Atene e dei Giochi cinesi. La ventisettenne, che ha come motto “Se credi di correre più veloci, allora lo farai”, non poteva smentirsi e vola verso il metallo più pregiato in 49.55. Un bel finale, in rimonta, di prepotenza e di grande spinta, senza farsi innervosire dalla russa che l’aveva affiancata a metà tracciato. Forse un po’ contro il pronostico che vedeva favorita l’iridata Amantle Montsho, venuta dal Botswana per portare uno storico titolo al suo Paese e poi deludentissima quarta (49.75). Christine Oghurougu, con sangue africano nelle vene, cercava di bissare il successo di quattro anni fa. Voleva dare una gioia immensa al Regno Unito, dopo il favoloso tris di ieri sera con Farah, Ennis e Rutherford. Non ci riesce perché davanti Sanya vola e la ventottenne deve sprintare per l’argento (49.70), superando sul filo di lana l’altra americana DeeDee Trotter (bronzo in 49.72). Tutto angloamericano, tutto black.

 

Dai 3000m siepi poteva uscire uno dei pochi record mondiali di questa rassegna. Non è stato così. Doveva essere una delle gare più spettacolari del programma. Peccato. Tutti i big si sono controllati fino a tre quarti di gara quando il favorito Ezekiel Kemboi ha piazzato lo scatto definitivo al quart’ultimo ostacolo. Nessuno ha retto il cambio di passo del keniota che è volato via tutto solo, ha saltato l’ultima riviera, poi via agile per festeggiare come suo solito tagliando il traguardo in nona corsia (8:18.56). Argento al francese di origine marocchina Mekhissi (8:19.08), bronzo all’altro keniota Mutai (8:19.73). Era presente anche il nostro Yuri Fluriani. Un sogno vederlo tra i migliori quindici al Mondo, dopo una semifinale condotta al bacio e una qualificazione spettacolare da inserire negli annali. Oggi preso dall’emozione si è rammaricato per non essere riuscito a fare di più del tredicesimo posto (8:40.07). Ma cos’altro?Bravissimo a trentun anni a tirare fuori una prestazione del genere ai Giochi Olimpici.

 

Un altro azzurro era presente nella finale del lancio del martello: l’eterno Nicola Vizzoni, il capitano della nostra Nazionale. A trentotto anni, il ragazzone era alla sua terza finale a cinque cerchi dopo lo storico argento di Sidney e il decimo posto in terra greca (in Cina fu eliminato nelle qualificazioni). Cercava una bella prestazione. Con grinta, senza mollare. È riuscito a strappare l’ottava piazza che gli consegna il diploma effettivo di finalista (e un altro punto in cassaforte per il nostro Paese dove il bel risultato della Straneo). Una gara costante sempre leggermente sopra alla fettuccia dei 75 metri che trova il miglior risultato al quarto tentativo (76.07). Vince il titolo l’ungherese Krisztian Pars, campione europeo in carica che riscatta il quarto posto di quattro anni fa e trionfa con 80.59. Secondo lo sloveno Primoz Kozmus (79.36) che ritorna su un podio internazionale dopo il titolo di Pechino. Terzo il mai domo giapponese Murofushi, il trentottenne iridato, 78.11.

 

Aspettavamo Gianmarco Tamberi nelle qualificazioni del salto in alto. A 20 anni. Al debutto olimpico. Era accreditato del favoloso 2.31 di Bressanone che l’aveva spedito qui a Londra. Azzecca il facile 2.16 d’ingresso. Riesce nel 2.21 al secondo tentativo. L’asticella viene alzata subito a 2.26. Non ci dovrebbero essere problemi per il marchigiano che, però, risente dell’emozione e stampa tre nulli. Non era facile passare da due misure così lontane, che hanno messo in crisi anche altri campioni. Una platea del genere (che non ha mai smesso di incitarlo) non era semplice da gestire. Un vero peccato perché se fosse riuscito a superare la misura si sarebbe sbloccato e sarebbe andato molto lontano. Non va criticato questo giovanotto, vera promessa dell’atletica leggera italiana. Va protetto e tutelato. Non ha deluso. Perché lui c’era, semplicemente perché se lo era guadagnato in pedana… Ha sudato per realizzare il sogno di essere nel villaggio, nel parco giochi che sta bloccando il pianeta. Le aspettative erano ovviamente alte, ma lui ci ha provato, con tutto il cuore e con la rabbia che lo contraddistingue. Senza darsi arie. Senza nessun rimpianto. Il futuro è tutto dalla sua parte! Appuntamento a Rio, non solo per partecipare: questa è la sua grossa promessa. E siamo sicuri che la manterrà. Nessun pesce grosso è rimasto fuori dalla finale ma attenzione ai tre errori di Silnov a 2.29, misura centrata al primo colpo da Ukhov e da Grabarz e al secondo da Williams. Saranno i quattro che si giocheranno le medaglie.

 

Olga Rypakova piange lacrime di gioia al termine di un esaltante gara del salto il triplo. Eroina del Kazakhstan porta il sesto titolo olimpico alla sua Patria. Dinamica, elastica, con una grande facilità di rincorsa, riesce sempre a tenere il passo da cavallette, avendo come punto di forza nella chiusura. Il suo 14.98 al terzo tentativo vale un favoloso oro, da baciare, da mordere. Lo ottiene dopo il deludente quarto posto di Pechino e dopo l’argento mondiale dello scorso anno. A ventisette anni porta così i suoi 183cm di stangona cosacca all’apoteosi. Un trionfo che sognava fin da bambina, per poi ritirarsi e allargare la famiglia: ora Anastasya aspetta qualche fratellino o sorellina, cara mamma… Dietro lei arriva chi non ti aspetti. Certo Caterine Ibarguen non è assolutamente una sconosciuta, è bronzo mondiale, ma ritrovarla qui a questi livelli è stata una piccola sorpresa. La colombiana vola a 14.80 all’ultimo tentativo e poteva essere qualcosa in più se non avesse chiuso molto male mettendo dietro il piede destro. Lei che non c’era quattro anni e si è rigenerata completamente dopo che ad Atene aveva provato nel salto in alto. Sul terzo gradino del podio sale l’iridata Olha Saladuha, la reginetta della specialità che non è riuscita a dare il meglio di sé nell’appuntamento più importante. L’ucraina, dopo che in Cina aveva concluso solo in nona posizione, deve rimandare i sogni di gloria a Rio de Janeiro (se ci riuscirà, visto che ha già ventinove anni). Per lei un 14.79 all’ultima prova, poi superato dalla Ibarguen.

OA | Stefano Villa

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(foto FIDAL)


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