Usare gli avverbi è peccato mortale

Creato il 05 novembre 2012 da Scrid

Le 10 regole per scrivere narrativa di Elmore Leonard

1. Non aprire mai un libro descrivendo il Tempo. Se lo fai solo per creare atmosfera e non per descrivere la reazione di un personaggio al clima, non potrai andare avanti a lungo. Il lettore tende a sfogliare le pagine alla ricerca dei personaggi. Ci sono delle eccezioni: se ti capita di essere Barry Lopez, che conosce molti più modi di un eschimese per descrivere ghiaccio e neve, come nel suo libro “Arctic Dreams”, allora puoi fare tutta la cronaca sul tempo che ti pare.

2. Evita i prologhi perché potrebbero essere fastidiosi, specialmente un prologo, che segue un’introduzione che viene dopo una prefazione. Cose così sono normalmente presenti nei libri di non-fiction, ma un prologo in un racconto funge piuttosto da retroscena, che però può essere introdotto in qualsiasi altro punto della storia.
Nel libro “Quel fantastico giovedì” di John Steinbeck c’è un prologo, ma va bene perché fa il punto proprio di ciò che vorrei spiegare. Il personaggio dice: “Mi piacciono i libri con molti dialoghi e non mi piace avere qualcuno che mi spieghi com’è il tipo che sta parlando. Voglio immaginare io come sembra dal modo in cui parla”.

3. Non usare mai un verbo diverso da “disse” per portare avanti un dialogo. Il dialogo appartiene al personaggio, il verbo allo scrittore che ficca il naso. Scrivere “disse” è molto meno intrusivo di “brontolò”, “ansimò”, “mentì”. Una volta ho notato Mary McCarthy terminare una riga di dialogo con “lei asserì” e ha dovuto smettere di leggere per andare al dizionario.

4. Non usare mai un avverbio per modificare il verbo “ha detto”ammoniva gravemente. Usare un avverbio in questo modo (o quasi in tutti i modi) è un peccato mortale. Lo scrittore si espone sul serio con una parola che distrae e può interrompere il ritmo dello scambio.
Ho un personaggio in uno dei miei libri, che racconta della sua abitudine di scrivere romanzi storici “pieni di stupri e avverbi”.

5. Tieni i punti esclamativi sotto controllo. Te ne sono consentiti non più di due o tre ogni 100.000 parole. Se poi avete l’abilità di giocarci nel modo in cui fa Tom Wolfe, allora è possibile gettarli nel testo a piene mani.

6. Non utilizzare mai le parole “improvvisamente” o “si scatenò l’inferno”. Questa regola non richiede una spiegazione. Ho notato che gli scrittori che usano “improvvisamente” tendono ad esercitare un minor controllo sui punti esclamativi.

7. Usa gerghi e dialetti con parsimonia. Una volta che inizi a riportare i dialoghi foneticamente e a caricare le pagine di apostrofi, non sarai più in grado di fermarti. Nota il modo in cui Annie Proulx coglie l’essenza delle voci del Wyoming nel suo libro di racconti brevi, “Distanza ravvicinata”.

8. Evita la descrizione dettagliata dei personaggi alla Steinbeck. In “Colline come elefanti bianchi” di Ernest Hemingway , come appaiono “l’americano e la ragazza con lui”?
“Si era tolta il cappello e lo mise sul tavolo”. Questo è l’unico riferimento, in tutta la storia, a una descrizione fisica.

9. Non entrare nel dettaglio descrivendo luoghi e cose. A meno che tu non sia Margaret Atwood, capace di dipingere paesaggi con il linguaggio, non vorrai descrizioni che portano l’azione e il flusso della storia a un punto morto.

10. Cerca di lasciare da parte ciò che anche lettori tendono a saltare. Pensa a quello che si ignora nella lettura di un romanzo: i paragrafi troppo pesanti si distinguono dalla quantità eccessiva di parole che contengono.

La mia regola più importante è quella che le riassume tutte: se suona come scritto, allora, va riscritto.

FONTE: Guardian.Uk


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