Magazine Cultura
L’INTERVISTA
Dopo l’album live di pochi mesi fa, con la forte riproposizione dell’anima prog dei New Trolls, nasce questo nuovo disco fatto di inediti, dove tu e Maurizio Salvi avete firmato liriche e musica. Esiste una concettualità nei brani proposti? Quale il messaggio profondo in un momento così difficile per la nostra società? Più che una linea concept dell’intero album che, tuttavia, conserva precisi messaggi sociali, direi che ogni brano vive di una propria dimensione concept, soprattutto in riferimento al momento attuale di crisi in Italia che riflette, tutto sommato, una crisi più profonda nell’essere umano in genere. Quando le certezze, gli schemi su cui hai contato per anni, giusti o sbagliati che fossero, vengono scossi o crollano, è allora che incominci a farti domande: è solo il primo passo per rialzarsi e guardare avanti, sperando di non commettere altri errori. Brani come “La luce di Vermeer” è un esplicito messaggio contro la pena di morte, ma anche contro i giudizi facili dei benpensanti e la situazione delle carceri in Italia. “Rispettare può salvare” non è un semplice invito alla pace come quello che possono fare i politici o le organizzazioni internazionali, spesso accompagnato da forze armate… In fondo il Bambino di Betlemme già esule e perseguitato nei suoi primi giorni di vita, non rispecchia altro che la situazione attuale: anche oggi vivrebbe in una quotidianità segnata dalle armi o dai compromessi politici. Ma c’è sempre la speranza di una stella: sta a noi trovare il coraggio e la volontà di seguirla. Un messaggio più esplicito lo abbiamo dato in “Sporca politica”. Tutto sommato direi che la linea concept dell’album sta nell’aver dato voce a tutti: riflessivi, arrabbiati, stanchi. Per esperienza, quando la protesta è accompagnata dalla musica ha infinite possibilità in più di raggiungere il bersaglio… Qualche considerazione rispetto alla line up. Nel corso del vostro concerto genovese, nel luglio scorso, Alessandro Del Vecchio era all’inizio della collaborazione e al basso c’era Fabri Kiarelli, ora sostituito da Anna Portalupi. Come funziona la “macchina” con i nuovi innesti? Gli elementi chiave del gruppo siamo Maurizio Salvi ed io. Fabri Kiarelli è un ottimo musicista, ma i suoi molteplici impegni di lavoro non sempre lo rendevano disponibile per le nostre attività in studio, che richiedono per forza di cose una situazione stabile, se vuoi la garanzia di un risultato efficace. Lo stesso discorso può essere fatto per Anna Portalupi, bravissima bassista ma, anche lei, impegnata su più fronti; il discorso dell’articolazione della band, quindi, a parte gli elementi fondamentali, è sempre una costruzione “in itinere” a cui, per quanto possibile, cerchiamo di dare la necessaria stabilità che vede Maurizio e me come punti di ancoraggio.
Ascoltando l’album si ha l’impressione di un ritorno a certe vocalità che hanno contraddistinto il marchio New Trolls, sin dagli inizi. Trattasi di DNA? Precisa scelta? Attaccamento alle proprie profonde radici? Se vogliamo partire dalle radici più profonde bisogna tornare ai Jet di Genova, la prima formazione in cui ho suonato, insieme a Franco Gatti ed Angelo Sotgiu, i futuri Ricchi e Poveri: eravamo davvero un gruppo vocalmente molto in gamba. Poi i New Trolls, che sono stati una parte determinante della mia vita: nel bene e nel male hanno comunque lasciato una loro impronta che non posso e non voglio rinnegare. Al di là delle specifiche scelte musicali credo che, comunque, il DNA musicale ti formi per tutta la vita e dia una connotazione specifica al lavoro, rendendolo veramente “tuo”. Come nasce l’opportunità di ospitare Fergie Frederiksen? Che giudizio puoi dare della vostra collaborazione, dal punto di vista umano? Ho conosciuto Frederiksen in studio, mentre registravamo “Do Ut Des”: era in Italia per la realizzazione di un video legato al suo ultimo CD e Alessandro Del Vecchio era il suo produttore. Fergie ascoltò in studio il nostro lavoro, in fase di realizzazione, e si innamorò letteralmente di “Oltre il cielo”. Non ho fatto altro che cogliere l’attimo, pregando Del Vecchio di realizzare un testo in inglese che potesse adattarsi alla splendida voce di Frederiksen; ne è venuta fuori una stupenda versione, interpretata in maniera eccezionale, che dà al nostro lavoro un potente riflesso di energia e bellezza e, cosa non secondaria, un’interessante apertura al pubblico esterno all’Italia. A proposito di Art Work, mi dai qualche spiegazione sull’immagine centrale del booklet? Al centro di tutto c’è un tatuaggio, riprodotto nell’opera di una nota artista contemporanea, Raffaella Maron: rappresenta un’antichissima mappa stellare scoperta negli anni 50, durante uno scavo archeologico. Era la rappresentazione dell’idea di cosmo che l’uomo si costruiva, il desiderio di raggiungere qualcosa di superiore verso cui si sentiva immancabilmente attirato. La donna nella copertina del nostro CD è l’artista che interagisce con una sfera superiore, celeste, divina per chi lo crede. E’ la risposta ad un atto creativo che è avvenuto per primo. In fondo, anche la musica è una risposta ad un dono che si riceve e, allo stesso tempo, diventa dono per chi vuole ascoltarla.
Fare un album “nuovo” è cosa in cui raramente si cimentano i musicisti storici… difficile far quadrare i bilanci e far rientrare le spese di produzione. Qual è l’aspetto che nel vostro caso ha fatto scattare la molla: coraggio, passione o rischio calcolato? La passione e la voglia di fare qualcosa di nuovo sono determinanti, altrimenti non ti metteresti neanche a sedere a tavolino per cominciare. Credo inoltre sia anche una questione di rispetto nei confronti di chi ascolta la nostra musica e, immancabilmente, ogni volta ci dona affetto ed energie nuove; lo stesso titolo del nostro ultimo lavoro, “Do Ut Des”, è un messaggio esplicito: se dai qualcosa, alla fine riceverai altro in cambio. Noi speriamo di offrire buona musica e la risposta che ogni volta constatiamo ci rassicura che il nostro lavoro funziona. E poi la musica stessa è una risposta ai nostri momenti di scoraggiamento o di crisi: non viene mai da sola e, certamente, anche se di musica viviamo non è mai qualcosa di calcolato, ma un rischio che accettiamo volentieri di correre da una vita. Come promoverete in fase live il vostro album? L’aspetto promozionale, anche in rete e, soprattutto nelle radio, credo sia naturalmente necessario per portare a conoscenza del nostro lavoro il maggior numero possibile di persone; ma la fase live, i concerti sono determinanti: il disco, il tuo “biglietto da visita”, se così possiamo chiamarlo, ti mette sul palco: ma lì sei tu che suoni e comunichi direttamente con chi ti ascolta, senza nessun supporto, social network o schermo di alcun genere. Nonostante il momento di crisi confidiamo in un numero di date tale da offrire a tutti la nostra musica e ricevere, in cambio, l’energia che si trasforma in nuova forza creativa.
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