La bellezza dello Utah, anche ad occhi ciechi e ad orecchie sorde, non può essere indifferente. E’ una bellezza universale, una Claudia Schiffer della natura, un Brad Pitt dei canyon.
Quando poi vedi tantissime cose diverse, tutto le stesso giorno… Beh, ti riempi il cuore e la testa di immagini che sarà difficile dimenticare… E questa è la cronaca di una delle giornate credo più belle mai passate in viaggio (e nella top 10 ci metto posti come la Muraglia Cinese e Angkor!). Se Gianni sognava di essere in questa zona per festeggiare il suo compleanno, adesso ne capisco pienamente il perché.
Prima di tutto la strada che da Torrey porta alla Goblin Valley fatta prestissimo al mattino, quando a ancora l’aria è pulita, una strada nera che taglia come un coltello caldo nel burro un paesaggio che varia dal grigio al rosso intenso ad un tenue giallo, il tutto puntellato da verdi cespugli che non ho bel capito come sopravvivono.
E’ splendida. E non sai dove fotografare, filmare, instagrammare e cerchi di fare tutto insieme ed il risultato è che hai foto del cavolo e filmate tutte storte fatte con la mano con cui tenevi il telefono perché nell’altra avevi la reflex. E tutto mentre guidi.
E poi arrivi in questo posto surreale nella zona di Green River, nel vasto deserto di San Rafael (e a circa 15 km da Hanksville): la Goblin Valley state park, una distesa a dir poco incredibile di statue naturali che la natura ha creato non si sa bene come scavando nella roccia. Il nome deriva dal fatto che i profili di queste “protuberanze” (si possono chiamare così?) al tramonto –e non – ricordino i profili dei Goblin, e cioè i mostriciattoli malvagi cugini degli orchi.
La vallata si divide in tre, ma fondamentalmente è un enorme spiazzo con formazioni diverse, attraverso le quali si può camminare e passeggiare senza un percorso preciso, perché tanto la macchina si può parcheggiare su un piccolo promontorio ed è impossibile perdersi (anche perché le dimensioni sono limitate).
Prima di dare qualche info in più, intanto che ho l’attenzione di chi legge, vorrei spostare l’attenzione su di un particolare: il climbing, ovvero l’arrampicarsi sulle formazioni.
Mentre ero là mi veniva in mente uno dei mantra di mia madre di quando ero piccola “guardare e non toccare è buona cosa da imparare” che di regola si tramutava in “mettiti le mani nel naso al posto che tocchettare tutto” (che non era un bel modo di dire visto che da piccola le dita nel naso me le mettevo anche io): fate le foto, sedetevi su qualche angolo non troppo pericolante, godete di quel posto, ma evitate di fare i coglioni. Vagando su internet ho visto un video di un ex scout (o così c’è scritto) che si esalta tantissimo a spaccare un pezzo di quel capolavoro della natura… Gli fosse almeno caduto sui maroni! E invece no, ecco tre stronzi (e questo è un eufemismo) che ridono rovinando quello che la natura ha creato in tanti secoli. Per fortuna che non c’ero io!
Chiusa parentesi.
Le formazioni rocciose sono di Entrada Sandstone (pietra arenaria, quindi una formazione derivante dalla sabbia), e pare siano erosioni di un altopiano in cui poi – sempre pare – si è formato un mare. Oppure sono solo il risultato di vento e pioggia. Fatto sta che sono davvero affascinanti.
Bellissimi fungoni di roccia, ma basta un’oretta per vedere la valle (ci sono anche alcuni trail ma… bastava anche solo la vallata).
Una delle tappe semi sconosciute ed ignorate ma assolutamente imperdibili è il Little Wild Horse Canyon, un percorso per buona parte da fare in mezzo a dei strettissimi slot Canyon e che decisamente non ha nulla a che invidiare al celeberrimo Antelope Canyon, ma con il vantaggio che non c’è un’anima ed il percorso è decisamente vario.
La camminata completa è un loop ed è di circa 8 miglia, il livello di fatica è medio basso (solo non lo consiglio a persone troppo voluminose… a parte gli scherzi ci sono dei passaggi veramente stretti), ed è da fare – come ogni altra camminata nello Utah – tassativamente con dell’acqua e magari un paio di barrette rigeneranti nello zaino.
Noi abbiamo fatto un paio di km, in cui abbiamo in più step incontrato un padre ed un figlio che si facevano una camminata insieme. O meglio, il padre trascinava il figlio sedicenne a camminare (dall’Ohio? Iowa? Non mi ricordo più!), che ad un certo punto ha girato i tacchi ed è tornato alla macchina perché si rompeva le palle. Povero padre entusiasta… Era peggio di me, giuro. La parte migliore è stata la chiacchierata con lui, convinto che quelle pile di sassi in equilibrio che ha fotografato in maniera compulsiva non erano opera della natura. Sì, era convinto che in qualche modo cadessero dall’alto (WTF!?) e “rallentassero” per poi impilarsi perfettamente, pronti a farsi fotografare. Io e Gianni abbiamo lasciato gli insulti e lo svelamento del mistero alla famiglia al suo ritorno a casa. Povero.
E’ di una bellezza stupefacente, davvero. Anche qui è importante guardare il meteo (soprattutto perché non ci sono rangers), il rischio di flash fload è alto (quando siamo andati il primo pezzetto era completamente allagato e lanciando un sasso… Beh, abbiamo capito che era piuttosto profondo), e una ragazza che abbiamo incontrato nella prima parte del percoso ci ha decisamente spaventati. Ma si sa, gli americani non hanno un buon rapporto con gli agenti atmosferici.
Alcune informazioni: il percorso è gratuito e libero, nei parcheggi ci sono i bagni e un registro in cui chiedono di scrivere orario di arrivo e di uscita dal trail, perché non si sa mai che vi perdete e vi vengono a cercare lì. Non ci sono mappe, a parte una nel pannello espositivo, visto che i sentieri si dividono e si ricongiungono, quindi è cosa buona e giusta farsi una foto da tenere in tasca o scaricasi la mappa quando si ha una wifi (non lì, lì non c’è niente a parte un water chimico in cui non si vede il fondo e che probabilmente finisce al centro della terra). Qui qualche info in più http://www.utah.com/hike/little-wildhorse/bell-canyon-loop-trail.
Con una gioia immensa partiamo alla volta di Moab, la celebre cittadina che può vantare di avere ad un tiro di schioppo due dei parchi dello Utah più belli e famosi: Arches e Canyonlands (oltre al Dead horse point, che anche se è dentro Canyonlands è uno state park separato).
Il paese è fantastico, tutto a misura di turista e con il miglior Visitor Center mai visto: c’è tutto. Brochure di parchi, percorsi, attività… Vuoi fare rafting? Ci sono 30 tipi diversi di brochure. Arrampicata? Altrettanti. Tranquillamente davvero ci si potrebbe stare una settimana senza mai rifare la stessa cosa. Anche di più credo. Oltretutto mi affascina tantissimo il loro spirito organizzativo e la capacità di riempirti il tempo: Hai un’ora di tempo? Corri ad Arches e vai a fare un giro in macchina. Hai 4 ore? Vai ad Arches, fai il trail che porta al Landscape Arch, View Point a Delicate Arch, Courthouse viewpoint e poi vai a Canyonlands, Island In the Sky Viewpoint, Dead Horse Point e poi se hai ancora un po’ di forze vai a farti una self guide nella zona dei petroglifi (che io mi chiedo sinceramente… Ma qualcuno li va a vedere visto che provano ad infilarteli dentro in tutti i modi?). E da un’ora ad una settimana potresti farti tutto senza nessuna fatica organizzativa, perché tanto ci hanno già pensato loro.
Molliamo tutto in al Motel 6 (sembrava recentemente ristrutturato, e abbastanza pulito) e ci dirigiamo al nostro primo obbiettivo: la Potash Road.
La Scenic Byway 279 inizia appena fuori dalla US 191 più o meno 2 km dopo aver passato il Colorado River Bridge a Nord di Moab (chiamata anche the Potash-Lower Colorado River Scenic Byway): segue il corso del fiume e più si va avanti, più diventa suggestiva. Lungo la strada asfatata ci sono vari gruppi di arrampicata sempre affollati e tantissimi viewpoint per guardare i petroglifi sempre vuoti (poveri!) ed ad un certo punto diventa una strada sterrata (il primo pezzo è fattibilissimo), proseguite e lasciatevi incantare dallo spettacolo “al contrario” che si assapora da Canyonlands: se guardi all’insù, c’è il profilo del parco e tu, minuscolo, sei dentro la gola. Un paesaggio difficile da spiegare. Pazzesco.
Oltre ai rilievi rocciosi, fotograficamente parlando, sono molto curiosi i laghetti artificiali che usano per l’estrazione di fosfati (tra cui quello di potassio, da cui potash) usando il principio delle saline. Il riflesso l’azzurro intenso sono splendidi e si amalgamano alla grande con il rosso intenso delle rocce.
E’ surreale, silenzioso, bellissimo. In un punto non specificato della strada hanno girato la scena finale di Thelma e Louise (girl power a gogo!) e io ovviamente sono andata a caccia di quel punto. Non sono ben sicura di averlo trovato. Comunque sia, bisogna proseguire finché la strada lo permette (ad un certo punto buche e dislivello richiedono necessariamente un 4×4) e lasciarsi travolgere dalla bellezza. Lo Utah è davvero straordinario. E questi 7/8 km di sterrato sono davvero straordinari ed indimenticabili. Ad un certo punto è passato uno con un suv con delle gomme da trattore cingolato che dal finestrino ha cominciato ad urlarci “soooo braveeee, sooooo braveeeee!” e non ho capito se era perchè eravamo con una berlina o perché eravamo lì o più probabile perché eravamo in un pezzo di “off road” a fare le foto, e qui la natura pullula di serpenti e simili. L’orario migliore è ovviamente il tardo pomeriggio, quando i colori diventano caldi e morbidi e anche una scarpa vecchia buttata per strada diventa un soggetto meraviglioso per una foto.
Per non farci mancare nulla il tramonto abbiamo scelto di farlo in uno dei posti più spettacolari che abbia mai visto in vita mia: Dead Horse Point state Park (trad. sganciare 10 $ all’ingresso, ma almeno vale 3 giorni!). Gianni è stato ben attento a non montarmi troppo a riguardo, non ha caricato troppo le aspettative, e forse anche per quello, arrivando all’Overlook finale… Ti manca il respiro per un attimo, perché la bellezza, qui, davvero ti stende.
Non ci sono molti trail da fare, è tutto lì, a distanza di 10 passi dall’auto ti ritrovi davanti ad uno spettacolo della natura della portata del Grand Canyon. Non c’è molto da dire, perché le parole non servono.
E’ uno di quei posti in cui ti viene solo da piangere dall’emozione, perché sei lì, in un posto stupendo e con una persona fantastica. E ti senti la persona più fortunata del mondo ad avere la possibilità di godere di certi angoli del pianeta.
Alla sera abbiamo scelto di cenare alla Moab Brewery (la birra è buona e non costa tanto), dove mi son mangiata un Chile Verde Burrito, che era di dimensioni sproporzionate rispetto al mio stomaco. Oltre che buonissimo. E abbiamo brindato a Gianni che ha scelto Moab per festeggiare il suo compleanno. Niente male direi.