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Utile e scoraggiante

Creato il 25 dicembre 2013 da Annalife @Annalisa
Da leggere subito

Da leggere subito

Devo fare due premesse.
La prima: se Pippo Russo vuole un regalo, un editor, una mano a portare le risme di carta o qualcuno che vada a comprargli altri capolavori, son qui.
La seconda: siccome Pippo Russo è così scientificamente preciso, mi permetto di segnalare:
- pag. 32: [attenzione: citazione di Pippo Russo che cita Faletti] «Forse, se Gerald avesse avuto qualcuno che gli diceva una frase del genere in quel modo, non sarebbe mai diventato…»
Gli riusciva troppo arduo scrivere «se Gerald avesse avuto qualcuno che gli dicesse (…)»”
A mio parere, ancora più corretto: «se avesse avuto qualcuno che gli avesse detto…»
- p.51: “Trenta milioni di euro??????”
Sempre a mio parere, un punto interrogativo basterebbe. Il punto interrogativo indica una domanda in atto. La domanda, nella scrittura, si definisce attraverso un punto interrogativo. Un punto.
Se proprio si volesse esprimere enormità di stupore interrogativo, magari due punti interrogativi, tre, forse. Non cinque o sei.
- p.127: “…come maschio attendo al piacere femminile”. Direi, forse, più o meno (:-P) “maschio attento al piacere femminile”.

Sì, lo so che sembro pignola, ma è per darvi un’idea dell’approccio con il quale lo stesso Pippo Russo mi sta deliziando con l’analisi di alcuni “grandi” autori di oggi. Le prime settanta pagine sono trascinanti, per quanto si parli di regole grammaticali, coerenza e coesione del testo e così via. Roba seria, insomma. Ma si ride. Si ride dei grandi autori e si ride di noi che li si legge, poi un po’ ci si arrabbia (voglio dire: io scrivo assai meglio degli autori citati, ma i milioni li fanno loro, ahimè).
Le prime 70 pagine, a proposito, sono dedicate a Faletti e sono quelle che io definirei una goduria. Poi, forse, con gli autori seguenti (sono arrivata a Pupo), si sente un’esagerazione, forse, più o meno (:-P), nella cattiveria critica: il povero Moccia non è solo demolito grammaticalmente, letterariamente ed eticamente, ma è pure, a tratti, svillaneggiato con costanza e ripetuta insistenza.

Tuttavia, diciamocelo, se la meritano tutti, questi grandi autori, la demolizione sistematica.
Pippo Russo parte con la presentazione di ogni autore visto da lui stesso come lettore. Perciò, premette lui, quella parte è solo un parere di lettore, de gustibus, eccetera.
Poi, però, Russo attacca (nel senso di: inizia) con una serie di osservazioni non oppugnabili: se uno sbaglia un maschile col femminile, il singolare col plurale, se copia i pezzi da altri o da sé stesso per sei, sette volte in libri diversi, se sbaglia i congiuntivi o fa citazioni a capocchia, se controlla “l’importo” della ferita invece della sua entità, se per lui, grande autore, il microfono è poco “attendibile” e la voce è “organizzata”, bene, diciamo pure che qui casca l’asino, l’autore, l’editor e pure l’editore.
Pippo Russo analizza, romanzo per romanzo, i libri di Faletti, Fabio Volo, Federico Moccia, Pupo, Giuliano Sangiorgi (ammetto, non conosco), Scurati e Piperno.
Ne rileva gli errori, anche grossolani, di grammatica e sintassi, di coerenza, e anche di buon gusto narrativo, partendo da due principi subito enunciati: ognuno è libero di scrivere e pubblicare un libro; ognuno ha il dovere di farlo nel modo più rigoroso e inappuntabile.
È illuminante la prefazione, che andrebbe riportata tutta e che parla del patto originario tra autore e lettore (che investe, quest’ultimo, tempo, denaro, facoltà cognitive e riserve emotive sul prodotto dell’autore), e della responsabilità sociale dell’autore, consistente in un’attenta manutenzione della lingua.
Naturalmente, dopo quanto esposto prima, è chiaro che gli autori citati se ne fregano di patti, di impegno e di responsabilità sociale. Se lo facciano consapevolmente o meno, è tutto da decidere. Certo è che le pagine di tranquilla, voluta e allegra esaltazione della violenza “coatta” dei protagonisti di Moccia, o quelle in cui lo stesso violento, violentissimo comportamento viene bellamente sottovalutato e implicitamente giustificato o presentato come quello davvero figo e vincente, sono da far sbigottire. Più ancora dell’uso disinvolto dell’italiano da parte di tutti gli altri “grandi” autori contemporanei presenti nel libro.
Illuminante e desolante.



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