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Quello che si sta consumando in queste ore alla Camera dei Deputati è solo l'ultimo atto di una delegittimazione del Potere Legislativo in corso in Italia da almeno venti anni, dalla fine cioè della Prima Repubblica.
A noi giovani studenti di Giurisprudenza, trent'anni fa, alla prima lezione di Diritto Costituzionale, l'esimio professore insegnava: la Repubblica italiana si fonda sulla distinzione di tre poteri: quello esecutivo che spetta al Governo, quello legislativo che riguarda il Parlamento e quello giudiziario rappresentato dalla Magistratura.
Senza questa netta separazione non esiste lo Stato di diritto, non esiste la democrazia. Uno Stato dove a prevalere è un potere sugli altri due diventa un'altra cosa, chiamatelo Stato di polizia, dittatura, governo del principe o come volete voi.
E l'Italia di oggi è ancora una democrazia? Viviamo in una repubblica parlamentare oppure di fatto stiamo già vivendo in una repubblica del presidente (in questo caso del Consiglio)? Perché la differenza non è formale, ma sostanziale.
La nostra opinione è che da almeno vent'anni in Italia praticamente tutte le forze politiche, consapevolmente o meno, abbiano progressivamente minato la reputazione e la credibilità del Parlamento, candidando all'assemblea più importante della nazione e facendo eleggere in liste bloccate personaggi di basso profilo sia morale che professionale. Questi omuncoli, questi quaquaraquà hanno operato guardando più agli interessi particolari dei singoli gruppi di potere che li hanno candidati rispetto a quelli generali della nazione.
Come conseguenza di questa miope scelta, operata con l’intento di avere un Parlamento più docile, più disponibile a seguire le indicazioni del Potere esecutivo, le aule parlamentari si sono rivelate sempre meno idonee a svolgere il compito loro affidato nella Costituzione e questo vuoto di fatto è stato occupato dagli Esecutivi che si sono succeduti, venendo però a modificare l'assetto e l'equilibrio dei tre poteri voluti dai Padri della Patria.
Arriviamo infine ai giorni nostri dove un Governo non scelto dal voto popolare decide di modificare le principali regole della vita democratica e lo vuole fare imponendo al Parlamento un'inutile discussione in aula. Le principali norme e regolamenti che dovrebbero modificare un aspetto sostanziale della nostra democrazia vengono solo formalmente trattate dai parlamentari i cui Gruppi risultano condizionati dalla maggioranza politica espressa dall'Esecutivo, facendo venir meno il potere costituzionale delle Camere di scrivere, discutere e licenziare le leggi in totale autonomia e libertà.
Inoltre l'attuale riforma costituzionale che elimina il bicameralismo perfetto (di per sé un fatto positivo che permetterà di ridurre di molto i tempi per arrivare al termine di un procedimento normativo), ma di fatto lascia in essere solo una Camera con la potestà di esercitare il Potere legislativo, in pratica aumenta ancora di più la sfera d'influenza del Potere Esecutivo. Quest’ultimo verrebbe a trovarsi con un potere spropositato rispetto agli altri due e concentrerebbe nelle mani del premier di turno una forza enorme non contro bilanciata adeguatamente dagli altri Poteri.
In democrazia quando l'equilibrio dei poteri viene in qualche modo alterato, non si preannunciano tempi sereni... Certo, tutti noi sappiamo l’estremo bisogno di riforme che ha il nostro Paese e che aspetta da troppo tempo. Ma la fretta, si sa, è una cattiva consigliera. E allora prima di imboccare una strada pericolosa, irta di curve ed in discesa, forse è meglio fermare l’auto e fare un passaggio elettorale per capire cosa desiderano gli italiani. Quindi eleggere possibilmente un Premier che abbia il consenso degli elettori ed un Parlamento dove siedano deputati e senatori che non devono dire grazie ai tre/quattro segretari di partito che li hanno fatti eleggere e poi ripartire lasciando che il Parlamento, e non il Governo, predisponga le riforme costituzionali, possibilmente a larga maggioranza, e le porti a compimento.
Utopia? Forse, ma l’alternativa si chiama oligarchia (se va bene) o dittatura.
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