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V. Woolf, Al faro,

Da Silvy56
V. Woolf, Al faro,
Il cespuglio di jacmanna era di un viola intenso, la parete bianco abbagliante. Non era onesto secondo lei manomettere, alterare quel viola intenso e quel bianco abbagliante, perché li vedeva così, per quanto avesse capito da Paunceforte, quand’era venuto a trovarla, che ora andava di moda fare tutto pallido, semitrasparente. E poi oltre il colore c’era la forma. Quando guardava, vedeva tutto in modo chiaro, netto; ma quando prendeva in mano il pennello, le cose cambiavano. Nel battito d’ala tra la visione e il quadro si impadronivano di lei dei dèmoni che spesso la portavano alle lacrime e rendevano il passaggio dal concepimento all’opera tremendo, com’è tremendo per un bambino un corridoio scuro. Così si sentiva a volte – in lotta contro il rischio terrificante di perdersi d’animo. Doveva dirsi: “Ma questo è quello che vedo, quello che vedo è questo” e tenersi stretto al cuore un patetico resto di visione, che mille forze cercavano di strapparle. Era allora, in quel varco gelido e ventoso, quando cominciava a dipingere, che le si imponevano con forza anche altri pensieri, il senso della propria inadeguatezza, della propria insignificanza, la sua casa dalle parti di Brompton Road, dove abitava col padre; e doveva sforzarsi molto per non seguire il suo istinto (grazie a dio finora c’era riuscita) e buttarsi ai piedi della signora Ramsay dicendole – ma che poteva dirle? “Sono innamorata di lei”? No, non era vero. “Sono innamorata di tutto questo”, doveva dirle, indicandole la siepe, la casa, i ragazzi? Era assurdo, era impossibile. Non si può dire ciò che si pensa. Cosi ripose in ordine i pennelli nella scatola, uno a fianco all’altro, e disse a William Blankes: «S’è fatto freddo all’improvviso. Sembra che il sole scaldi meno» e si guardò intorno, perché c’era ancora abbastanza luce, e l’erba era d’un verde morbido, intenso, e sulla facciata della serra la passiflora s’arrampicava viola, e i corvi lanciavano grida gelide dall’alto del cielo azzurro.

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