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Di tutto ciò che si può proferire su Medem, mi pare che non ci possa piovere se dico che il suo cinema sia ad alto tasso di riconoscibilità, il che, a prescindere dalla sostanza che forma e impregna le varie pellicole, è un elemento che va sottolineato poiché è indicatore di un attenzione (e perché no, anche di un amore) verso il proprio lavoro in modo da creare un discorso sempre aderente su se stesso, poi se nel caso di Medem quel continuo tracimare di concetti porta un po’ di confusione è un altro discorso, ma il fatto che potrei capire già al secondo sguardo quando un film è suo oppure no mi sembra un ottimo punto di partenza.
Nello specifico gli stilemi rintracciabili anche in Cows sono i seguenti: innanzi tutto il marchio di fabbrica pressoché inconfondibile è quello che vede un contesto più o meno realistico (e qui lo è molto, come mai nella carriera medemiana) portato con maestria su un piano sempre più immaginifico, a tratti connotato a mo’ di fiaba – lo spaventapasseri, l’ambientazione rurale, la gara dei ceppi degna di un racconto dei fratelli Grimm – ma sempre accompagnato da un sottofondo storico, concreto, assolutamente crudo (il carro di cadaveri nudi che attraversa il bosco) con la Guerra che fa da sfondo praticamente a tutta l’epopea della famiglia.
Un altro tratto distintivo, e forse il vero punto di interesse per Medem, è l’amore. Sai che novità direte voi, eppure l’interpretazione che il regista dà del sentimento ha una sincerità inconfondibile scevra di patetismi ma allo stesso tempo traboccante di eros, in un magico equilibrio. L’amore per l’autore è conteso (Tierra,1996), sofferto (Gli amanti del Circolo Polare, 1998), labirintico (Lucía y el sexo, 2001), e tali prerogative si presentano anche in Vacas laddove è la relazione fra due ragazzi che pian piano prende il sopravvento all’interno della narrazione. Lo stile del racconto così “fluviale” non mette, a volte, nelle condizioni di recepire quelle emozioni che si vuole far scaturire, tuttavia le modalità con cui la storia è impostata risultano talmente originali da meritare uno sguardo.
Infine la caratteristica determinante ed anche la più rischiosa ai fini della fruizione spettatoriale è la tendenza a moltiplicare le componenti filmiche. Medem sdoppia i personaggi facendoli interpretare dai medesimi attori in un gioco che perde contatto con la realtà, Medem ripropone strutturalmente l’escamotage dell’occhio che guarda in un buco, che sia il buco del culo di una vacca o l’obiettivo di una macchina fotografica ante litteram, Medem fa e disfa a suo piacimento arrivando a costruire il quasi solito film squinternato in cui continua a mancare a qualcosa. Dico quasi perché essendo il primo la tendenza a raddoppiare i vari elementi è depotenziata da un comprensibile timore di osare troppo, il che dà un tono sicuramente più lineare alla pellicola ma non altrettanto affascinante come avverrà in futuro.
Ad ogni modo l’epilogo è notevolissimo, talmente bello da mitigare tutto quello che c’è prima e con ogni probabilità in grado di farmi conservare un buon ricordo del film.
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