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Vaccini: Dr. Eugenio Serravalle scrive al presidente di Emergency

Creato il 16 febbraio 2015 da Informasalus @informasalus
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Vaccini: Eugenio Serravalle scrive al presidente di Emergency

Egregio Presidente di Emergency,
mi è stato segnalato un suo intervento sul tema vaccini nella sua pagina Facebook che mi ha indirettamente coinvolto. Per questo sono andato a leggere il post e ho trovato alcune affermazioni che m’inducono a scriverle.
La discussione nasce dalla sua affermazione che “la copertura media nazionale ha raggiunto il livello più basso degli ultimi dieci anni per quasi tutte le vaccinazioni. Ci si vaccina di meno, ci si ammalerà di più. Mentre molti si dannano, nei Paesi “a basse risorse”, per cercare di aumentare la copertura vaccinale, vedere l’Europa che torna indietro è inquietante, preoccupante, e un tantino deprimente".
Dopo queste poche righe, ha sentito il bisogno di intervenire molte altre volte, per un totale di circa 6000 battute. Come regolarmente avviene in tali occasioni, il suo post è diventato per molti occasione per la consueta palestra di insulti, di diffamazioni per chi non è allineato al pensiero dominante.
Non mi aspettavo certo una difesa da parte sua: non ci conosciamo personalmente, anche se ci siamo incrociati in una sua conferenza a Pisa, la città dove vivo, e dove ha speso parole di consenso al mio intervento sul fenomeno del disease mongering, l’invenzione delle malattie. Questo è un tema che Emergency ha a cuore (sempre che non abbia cambiato idea) e che potrebbe essere da stimolo per una riflessione su alcune vaccinazioni che sono proposte. Mi riferisco all’antinfluenzale, la cui efficacia nei bambini di età da 6 a 24 mesi è zero, all’antipapillomavirus, venduto senza prova che prevenga davvero il tumore del collo dell’utero, o all’antirotavirus, una patologia comune e di modesta gravità nel nostro Paese.
Lei afferma che ci si vaccinerà di meno e ci si ammalerà di più… ma di cosa? Questa generalizzazione è rischiosa, perché non fa altro che scatenare, al solito, sentimenti viscerali, il doversi dichiarare PRO o CONTRO i vaccini, senza ragionamenti scientifici, ma dimostrando visceralmente l’appartenenza al proprio schieramento. E allora giù, a mo’ d’insulti: Stamina, DiBella, omeopatia…
Parlar di vaccini non è come parlare di guerra, contro la quale io sono contrario senza SE e senza Ma (e per questo ho sfilato anche dietro gli striscioni di Emergency). Si richiedono toni differenti, è un argomento complesso, che riguarda direttamente la salute dei bambini, e che in Italia vede ancora l’obbligo di legge, al contrario dei regolamenti di altri 15 paesi europei (i 27 dell’UE più Norvegia ed Islanda) che non hanno alcuna vaccinazione obbligatoria. L’adeguamento dell’Italia al quadro normativo dei paesi a noi vicini per condizioni socio-economiche sarebbe quantomeno auspicabile.
Il raffronto deve sempre partire da qui: dai determinanti sociali di salute. Lei sottolinea le disparità di comportamento tra i cittadini dei Paese del Nord e del Sud del mondo; è su questo argomento che voglio soffermarmi, per avviare un confronto sulle idee, non sui preconcetti, mettendo una volta per tutte da parte quelle affermazioni per cui i vaccini siano sempre sicuri e efficaci, perché questo è smentito dalla letteratura scientifica, oltre che dalla pratica di 35 anni di pediatria.
Mi interessa un confronto sulla base di studi scientifici, ma di studi scientifici indipendenti, che sono pochi, pochissimi: non serve che le ricordi che gli studi sponsorizzati dall’industria farmaceutica riportino maggiori benefici e minori effetti collaterali rispetto agli studi non sponsorizzati, che, come scrive Cristiano Alcino: “non ci siamo limitati a tollerare un sistema in cui «l’Industria del farmaco occulta dati, inganna i medici e danneggia i pazienti», ma abbiamo completamente delegato ad essa la ricerca in ambito farmacologico, lasciando non solo che fosse ‘proprietaria’ dei risultati e ne potesse disporre in totale libertà, ma che si appropriasse delle priorità della ricerca e dei suoi metodi. Abbiamo assistito all’indebolimento degli Enti regolatori la cui opera di controllo è prevalentemente pagata con i soldi di coloro che dovrebbero essere controllati”.
Secondo il nostro Ministero della Salute, il 76% della sperimentazione clinica italiana è condotto avendo come sponsor le aziende farmaceutiche, che concentrano la loro ricerca per il 12,4% nel gruppo dei farmaci di cui fanno parte i vaccini. “Oltre a finanziare più dei 2/3 di tutti i progetti di ricerca realizzati in Italia, le industrie farmaceutiche alimentano con le loro donazioni il 50 per cento del budget complessivo delle società scientifiche. Queste, pur di avere i finanziamenti, sono disposte ad accettare le condizioni, i protocolli, i contratti forniti dalle industrie. Con questo sistema scompare la ricerca indipendente e libera da condizionamenti: molto spesso, prima di pubblicare uno studio, c’è l’obbligo per contratto di presentare preventivamente i risultati allo sponsor. Che in alcuni casi ha perfino il potere di bloccare la pubblicazione” (Marco Bobbio Azienda Ospedaliera San Giovanni Battista di Torino).
Spero che Emergency condivida queste denunce, che partecipi a questo dibattito e che non affidi la propria informazione sull’efficacia delle politiche vaccinali a siti (vedo riportato il solito link nella sua bacheca) finanziati esplicitamente da Farmindustria.
M’interessa ricordare che diseguaglianze, mancanza di risorse, istruzione carente, lavoro precario o poco sicuro, in una sola parola, povertà hanno un impatto diretto ed immediato sulla salute. La giustizia sociale è a tutti gli effetti una questione di vita o di morte. Essa influenza il modo di vivere della gente, e con esso la probabilità di ammalarsi e il rischio di morire prematuramente. E’ dimostrato che la durata della vita di ognuno è fortemente connessa alla classe sociale di appartenenza e negli ultimi decenni le differenze tra classi sociali nella durata della vita sono addirittura aumentate. Un mondo più giusto sarebbe quindi un mondo più sano: sono le conclusioni cui è pervenuta la Commissione sui determinanti sociali di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel suo rapporto del 2008 .
Nei Paesi che lei chiama “a basse risorse” le «malattie della povertà», derivano principalmente da sottoalimentazione e malnutrizione, dai rapporti sessuali non protetti, dalla mancanza di acqua potabile e servizi igienici, dal fumo dei combustibili solidi (legna, carbone, letame), usati in ambienti chiusi per cucinare e riscaldarsi. Si stima che in tutto il mondo muoiano in media ogni giorno oltre 26.000 bambini sotto i 5 anni: più di un terzo muore di solito a casa senza avere accesso a servizi sanitari di base e a beni di prima necessità che potrebbero salvare loro la vita. Oltre l’80% di tutte le morti di bambini nel 2006 (9,7 milioni) si sono verificate nell’Africa Subsahariana e nell’Asia meridionale, due regioni che, insieme al Nord Africa ed al Medio Oriente non sembrano avviate a raggiungere il quarto Obiettivo di Sviluppo del Millennio (OSM 4) che prevede la riduzione di 2/3 della mortalità infantile entro il 2015. Un bambino nato nell’Africa Subsahariana nel 2006 ha 1 probabilità su 6 di morire prima di compiere 5 anni.
Le cifre sulle cause della mortalità infantile dimostrano inequivocabilmente che l’assenza di acqua potabile e di servizi igienici sono tra i principali responsabili dei decessi di bambini tra 0 e 5 anni: alle malattie diarroiche che ne sono la conseguenza si stima vadano attribuiti il 17% dei decessi (circa 2 milioni di bambini all’anno), ben più di quanti non ne faccia morire l’AIDS (3%). Ciò dà un’idea dell’incidenza che può avere sulle probabilità di vita della popolazione infantile la semplice costruzione di un pozzo per l’acqua potabile, e di servizi igienico-sanitari adeguati.
Come stupirsi, quindi, che su bambini denutriti e dall’organismo debilitato dalla mancanza di fonti di acqua potabile il morbillo provochi il 4% delle morti? In un simile contesto, ha senso rispondere tramite i vaccini contro il morbillo? Non è paragonabile a fornire pillole che attenuino i morsi della fame a chi di fame sta morendo, anziché fornirgli cibo? Solo gli interventi per migliorare le condizioni di vita costituiscono l’antidoto, il vaccino davvero efficace per ridurre l’insorgenza delle malattie e per contrastare la riduzione della speranza di vita. Occorre ridurre le disparità sociali, permettere l’accesso a cure a tutti, indipendentemente dalla loro capacità economica. Non basta vaccinare tutti i bambini del mondo per vincere le battaglie contro i virus e i batteri. Occorre rilanciare una politica della salute sui determinanti sociali, il contesto ambientale e le iniquità presenti tra la popolazione. Anche la lettera di suo padre dalla Sierra Leone, ricordando Maccacaro, denuncia il differente destino dei malati di Ebola, nei Paesi ricchi o in Africa.
“La deleteria combinazione di politiche sbagliate e condizioni economiche negative è in gran parte responsabile del fatto che molte persone nel mondo non godono della buona salute che sarebbe biologicamente possibile. Sono le condizioni di vita quelle che determinano la salute delle persone” scrive l’OMS. In conclusione è “l’ingiustizia sociale che uccide le persone”.
Anche all’interno dei paesi occidentali accade un meccanismo analogo a quello osservato prima sulla politica dei vaccini in Africa: anziché migliorare il sistema sanitario nazionale, renderlo realmente accessibile a tutte le fasce della popolazione, incrementare la qualità dei servizi, sono spese ingenti risorse nell’acquisto e nell’abuso di farmaci e vaccini. Un aumento senza limite del numero di vaccinazioni non raggiungerà mai lo scopo assolutamente irrealizzabile di eradicare ogni genere di malattia tra la popolazione, mentre alzerà sicuramente i costi per il cittadino del servizio sanitario, con lauti profitti delle case farmaceutiche provenienti dalle tasche del cittadino stesso sotto forma di tasse.
Nessun genitore che scegli di non vaccinare il proprio bambino lo fa a cuor leggero, né si augura che ritornino le malattie. E’ una scelta ragionata e sofferta, è la “ricerca del rischio minore”. Bisogna distinguere tra vaccino e vaccino, come occorre differenziare la pratica vaccinale, semmai personalizzandola, valutando singolarmente il rapporto rischio/beneficio, perché le reazioni avverse ai vaccini esistono, e anche se non colpiscono la maggior parte dei vaccinati, sono assolutamente, ad oggi, imprevedibili e sottostimate.
I bambini danneggiati dalla pratica vaccinale non sono un’entità astratta, non sono un’invenzione propagandistica, sono anche i nostri figli. Non riconoscerne l’esistenza, minimizzare le complicanze vaccinali, creare un vero percorso ad ostacoli per ottenere il riconoscimento del danno, ricorrere a pastoie burocratiche per negare un diritto riconosciuto dalla stessa normativa, non fa altro che ridurre la fiducia delle famiglie nella pratica dei vaccini. Esistono genitori che hanno ottenuto il riconoscimento del danno causato dalla vaccinazione e che non possono accedere ai benefici perché la richiesta d’indennizzo è stata inoltrata in ritardo rispetto ai termini fissati dai regolamenti. Sono chiamati “i fuori termini”.
Non crede che Emergency possa partecipare alle iniziative per abolire la scadenza dei termini per la presentazione delle domande per ottenere il riconoscimento? Non crede che anche Emergency possa richiedere che il risarcimento per eventuali danni da vaccino dovrebbe essere a carico delle ditte produttrici, e non dei governi? Emergency promuove il rispetto dei diritti umani-leggo sul sito: vuole impegnarsi per i diritti dei danneggiati dai vaccini?
Usare dati concreti
Nei suoi interventi sottolinea il fatto di non essere medico, mi permetta di dirle che si capisce: fare il medico significa maneggiare tutti i giorni qualcosa di estremamente prezioso che appartiene ad altri, la loro salute, avendo come interesse preciso quello di difenderla, o recuperarla, o migliorarla. E quando sbagli, ne devi dare ragione.
Ecco il punto: quando sbagli. Chi decide se sbagli o no? Ovviamente prima di tutti il paziente. Se non guarisce dopo la tua cura, hai sbagliato. Oppure, se stava benissimo e ora sta malissimo dopo che ha preso qualcosa che tu gli hai dato, hai sbagliato. Un’osservazione così ovvia e banale, e accettata dal buon senso comune nel caso di qualsiasi terapia medica, non si capisce perché sia rifiutata quando si tratta di vaccini. Se dei genitori vengono a dirti che, dopo avere ricevuto un vaccino, un bambino all’improvviso sta male, è diverso da prima, presenta sintomi di vario genere, che senso ha rispondere: “E’ un caso”, “Non c’è relazione tra il problema di suo figlio e il vaccino”?
In genere, in tutte le scienze, l’errore è salutare: serve a dimostrare che qualcosa non torna nella teoria fino a quel momento considerata vera, e che se ne può formulare un’altra di diversa e più capace di spiegare i fatti che vediamo verificarsi. Tanto questo è vero che il metodo sperimentale, cioè scientifico, viene chiamato con espressione inglese: try and error, ossia “tentativo ed errore”. Ciò nonostante, la storia della scienza è piena di esempi di teorie dimostratesi false alla prova dei fatti ma che sono state abbandonate soltanto dopo una lunghissima resistenza perché rappresentavano le teorie ufficiali di chi occupava posizioni troppo importanti all’interno delle accademie e delle università e dei gruppi di potere in genere perché costoro fossero disposti a riconoscerle false, considerata l’autorevolezza che grazie a queste avevano raggiunto nella società, per non parlare dei vantaggi.

La medicina non fa eccezione. Solo che in questo campo gli errori non sono salutari affatto, perché c’è di mezzo la salute del paziente, e anche quando risultino inevitabili sarebbe bene venissero immediatamente corretti. Il medico non può permettersi di restare attaccato a convinzioni personali perché è stato formato con quelle, o perché ha perso l’abitudine a mettere in discussione anche se stesso quando qualcosa non gli torna. Il medico deve il più possibile conservare una mente aperta e uno sguardo attento a cogliere quello che da un indizio trascurabile può diventare, se troppo frequente, un dato statistico consistente, e da lì un possibile errore della teoria che aveva fino allora abbracciato.
Cordialmente
Dott. Eugenio Serravalle
Pediatra
Presidente di AsSIS (Associazione di Studio e Informazione sulla Salute)



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