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di PasqualeAllegro
Cariscrittorucoli di provincia, desidero riportare quialla vostra eloquente letteraria attenzione, la seguente classica frase fattache, in lungo e in largo attraversando la penisoletta nostra bagnata dalMediterraneo quale culla di alta diffusione culturale, recita così: “In Italiaci sono più scrittori che lettori”. Naturalmente il fenomeno è diffuso anchetra le lande culturalmente popolose di Lamezia Terme. Dal fatto che effettivamente ci si trastulli poco poco nella lettura e dal dato eloquente che si elargisca un po’troppo arbitrariamente autoreferenziali doti scrittorie, senza tenerconto di cosa alla gente interessi veramente leggere, segue un’attenta analisie un importante resoconto contro ogni vostra improvvisata e distrattaconsiderazione.Ebbene,ammettiamolo pure, ciò che conta maggiormente è, primadi tutto, rincorrere la felicità sprizzante che sprigiona dopo l’agognatapubblicazione, dopo di che ci si ringalluzzisce in estenuanti presentazioni(ma, uffa, a volte quanti relatori si susseguono, manco si presentasse unnostrano Madame Bovary), fino allaprova del nove, quella delle vendite... E qui caliamo un velo pietoso, anzi pietosissimo.Inlinea di principio, cari nostri sensibili artigiani della parola, universalmentequello che conta è la gioia di scrivere e di farsi leggere. Eh sì, è inutilenascondere la propria incapacità e inesperienza, o peggio una vera e propriamancanza di talento, dietro la diafana maschera di uno snobismo deliziosamenteaffettato, perché tanto lo sappiamo che rendere pubblico qualcosa significa sempre“buttar fuori”, giammai “custodire dentro”. Premesso, a proposito, chepersonalmente ritengo che l’attività discrivere possa essere anche disgiunta dalla necessità di essere letti a tutticosti, ciò non spiega però il perché si crogiolano sempre più scrittori e si pasciono sempre menolettori; cioè, perché mai sempre più gente sente il desiderio di pubblicare esempre meno gente ha voglia di leggere?Ma il veropunto della questione è: perché molto spesso coloro che scrivono e pubblicanoun libro, non sono dei lettori? E badate, non mi riferisco all’accanimentoterapeutico nei confronti di pagine inermi, ma penso ad una semplice e normaleattitudine che azzarderei ritenere quasi “congenita” all’esperienza artistica:sforzatevi di immaginare ad esempio un fotografo che non osserva o un pittoreche non contempla...Carilettori d’informazione, ora mi riferisco a voi. Per puro caso conoscete lesublimi influenze di questi innumerevoli Sciascia e Camilleri che occupano glispazi e gli ambienti di largo respiro culturale che offrono le librerie e gli auditoriumnostrani? Persino il Teatro Grandinetti pullula di aspiranti Tolstoj, i quali,il più delle volte, non conoscono affatto la fonte e le inondazioni dellapropria aspirazione.Non hannotitoli? No, non si tratta di una banale discriminazione curriculare, piuttostomi esprimerei in termini di personalità artistica. È evidente che in questomodo viene loro a mancare una tappa fondamentale all’interno di un percorsopersonale e artistico di notevole rilevanza.Quando micapita di intervistarli, alla semplice domanda Cosa legge? mi rispondono, a volte anche con aria di sufficienza, E dove lo trovo il tempo di leggere?.Certo, dove lo trovano il tempo, presi come sono a spargere per l’aere dell’arte le loro elucubrazioniestetiche di inafferrabile efficacia letteraria.Scrivere èterapeutico. Le prime versioni di quella forma di scrittura conosciuta come diario, nel quale confinare i propristati d’animo e i propri inenarrabili segreti, già erano in voga alla fine delSettecento. Ma da qui a pensare di dover sopportare, noi tutti, il peso disozzure date in pasto al sentimento conciliante di uno spirito altrimenticondannato ad essere tacciato di mancato campanilismo, mi pare alquantoingrato: si chiede decisamente troppo alla nostra solidale pazienza.Sono effettivamentenumerosi i nostri concittadini che coltivano l’hobby della scrittura. Che sianopuerili imbrattatori di pagine, usurpatori dell’inchiostro, assaltatori diindifesi personal computer, o tanti piccoli Baricco in erba, poco importa. È talmentegrande la brama di scorgere il proprio nome sulla copertina di un libro, dipotersi recare dai propri amici (tanto alle loro spalle, oh, quanto nediranno!) e schiaffare sotto il loro naso il libro fresco fresco di stampa, chequest’esercito della salvezza, questa orda di nuovi autori – protagonisti dellanouvelle vague dell’editoria a bassafedeltà - non si preoccupa affatto di ciò che potrebbe essere più indicatoscrivere in base alle proprie capacità; l’unica preoccupazione è quella discrivere, scrivere e scrivere ancora, senza tener conto delle proprieattitudini e dei limiti che ognuno necessariamente possiede e cheopportunamente deve riconoscersi. E poi, un minimo di conoscenze tecniche dibase, no? Approssimativi al potere! E’ una questione di sei politico e disessant’otto della letteratura...Fatto stache di questo diffuso fenomeno ne approfitta, con notevole successo, la piccolaindustria libraria, quella composta da quell’agglomerato di piccoli editori chenon ha evidentemente né le qualità né la volontà di diffondere e vendere ciòche pubblicano. Del resto, la maggior parte di questi pseudo sfruttatori disogni ha scoperto questo nuovo modo di guadagnare facendosi pagare le spese dipubblicazione da chi scrive. A questopunto, sarebbe sensato, all’interno di una logica etica di mercato spruzzata dicondizioni deontologiche editoriali, che queste piccole case editriciselezionassero il materiale e pubblicassero solo il meglio, che dedicassero pertanto le proprie energie asostenere la pubblicazione e la diffusione di chi possiede effettive capacità letterarie.Altrimenti dovremmo ritenere ormai passata a miglior vita la metodologiaclassica di selezione delle opportunità; quell’acume editoriale, che comportaanche rischi da parte dell’editore dioperare delle scelte qualitative, finirebbe per l’essere consideratoalla stregua di un antiquato comodino tarlato: se ne riconosce il valore, manon se ne legittima la prosecuzione dell’utilità. Filosoficamente poi,se tutto è bene niente è bene; allora, di conseguenza, se tutti possonoscrivere nessuno è scrittore. Da ciò la confusione che alberga nelle poverementi dei non addetti ai lavori.Attualmentesono numerose le case editrici che operano commercialmente, cosicché,producendo esse troppi libri, il mercato è in questo momento storico alquanto intasato.Certo non si discute che si possano trovare buoni libri – a volte ottimi - anchenelle piccole case editrici locali, ma bisogna evidenziare purtroppo il fatto chequesti corrono il rischio di perdersi nel marasma dell’incongrua bancarella allestitada incompetenti editori che, incondizionatamente, pubblicano testi finanziatidagli stessi autori. Cosa fare?Come difendersi? Per prima cosa, è auspicabile che queste piccole etichetteeditoriali si riconoscano dal loro stile, dalla propria linea editoriale, che,come lettori, si possa venir riconquistati, che si possa di nuovo conciliare lapropria fiducia a quel determinato nome e marchio. A ciò si aggiunga, da partedi questi neofiti dell’editoria, una buona dose di efficacia comunicativa chestia al passo con i tempi. Eccoperché, in fin dei conti, i cosiddetti “lettori forti” preferiscono unlibro pubblicato da una grande casa editrice, di quelle ovviamente famose. Illettore insomma si fida di una strategia editoriale che difficilmente pubblicaqualcosa di oggettivamente illeggibile (al massimo è troppo popular), perché non corre il pericolodi imbattersi in qualcosa di autoprodotto e che di conseguenza non haaffrontato l’esame della critica.Altraquestione, e qui mettiamo in discussione anche il settore culturale del nostrogiornale, sarebbe augurabile unpizzico in più di “spietatezza” da parte della critica letteraria locale, conla speranza che una recensione, ad esempio, sia frutto di un’imparziale analisidel testo in questione, piuttosto che un “favore” all’amico inopportunamentededito al mestiere dello scribacchino.Ritornandoalla questione degli scrittorucoli autoctoni,chiediamo dunque un atto di clemenza: tenete un diario, pubblicatelo pure seciò soddisfa la vostra volontà di potenza,ma abbiate sempre e soprattutto l’accortezza di esaminare oculatamente laproposta letteraria che vi verrà avanzata dalle piccole case editrici. E poi, viprego, leggete, leggete e leggete.Perché se èvero che leggere un libro rende migliori, è altrettanto vero che a noi, poverevittime delle vostre entusiastiche espressioni letterarie, se non dovesse valernela pena, ciò può fare anche un po’ incavolare per aver perso del tempo prezioso.E a voi, per aver perso un bel po’ di soldi e aver copiosamente ingrossato ilmercato del macero.
da "Il Lametino"
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