Per la nostra generazione e per le seguenti -diciamo dagli anni ’60 in poi- andare a scuola è stato tutto tranne che un’avventura: spesso una comoda abitudine su quattro ruote, al limite un tragitto insonnolito e svogliato su mezzi pubblici (più o meno comodi).
L’abitudine al comfort ci impedisce di cogliere l’indubbia fortuna di avere una scuola dietro l’angolo o comunque non troppo lontano. Questo film ci porta invece a riconsiderare il tutto con occhi meno viziati dal benessere: in buona parte del mondo il percorso fino ad un edificio scolastico è una vera e propria avventura, irta di ostacoli di ogni genere.
Pascal Plisson in Vado a scuola fa vivere le peripezie quotidiane di bambini determinati a raggiungere un luogo di studio: piccoli uomini, piccole donne che accettano ogni sfida per andare a scuola e così tentare di cambiare “semplicemente” la loro vita, sfuggendo ad un destino di povertà e ignoranza.
Zahira scende con due compagne dalle montagne del Marocco fino a valle attraverso un cammino tortuoso e pieno di rischi, mentre in Kenya Jackson attraversa la savana –quella con i leoni veri- per trenta chilometri; Samuel, in India, percorre otto chilometri di strade sconnesse sulla sua sedia a rotelle spinto dai suoi due fratellini; Carlito e la sorella minore attraversano le lande della Patagonia per più di venticinque chilometri.
Lo fareste voi? Lo farei io? Da quando ho visto il film mi chiedo quanto del coraggio e della fede di questi bambini avrei al loro posto.
Nonostante racconti una realtà problematica, tuttavia, Vado a scuola resta uno spettacolo: toccante, ricco di avventure e, certo, molto emozionante. Ovviamente ne suggerisco la visione a tutti i ragazzi, ad insegnanti e scolaresche, ma ancor più ai genitori: magari smetteremo almeno un po’ di lamentarci del traffico mattutino quando accompagniamo i nostri figli a pochi metri da casa.