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Vado a vivere a cuba - 2 -

Creato il 13 luglio 2010 da Astonvilla
VADO A VIVERE A CUBA - 2 -
Come portare a Cuba 1100 chilogrammi di effetti personali e vivere felici
Meno male che l'ufficio di immigrazione mi aveva rilasciato un certificato provvisorio in cui si
diceva che avevo cominciato le pratiche per ottenere la residenza: mi sarebbe stato molto utile
almeno per ritirare tutta la mia roba che stava ancora là nei magazzini della dogana aeroportuale
dell'Avana.
La richiesta del certificato penale riuscii poi a mandarla "brevi manu" tramite alcuni amici
italiani che erano venuti a trovarmi a Niquero (finora sono stati gli unici "coraggiosi" che hanno
osato oltrepassare la città-confine di Manzanillo...). Ciò avvenne una graziosa domenica pomeriggio
d'aprile. Ero a casa da solo da alcuni giorni perché mia suocera era stata operata alla cistifellea
nell'ospedale di Bayamo e quindi Maribel e i suoi fratelli si erano recati là. Stavo lavando i piatti
quando bussarono alla porta: mi recai ad aprire a dorso nudo, in ciabatte e bermuda, con le mani
insaponate, e nella mia manifestazione di sorpresa i tre "pionieri" mi immortalarono sulla soglia in
una foto che è rimasta nella storia ufficiale di Niquero.
Per andare a prendere la roba all'Avana dovemmo organizzare un nuovo viaggio con il solito
camion noleggiato da una impresa agricola locale. Siccome il costo del noleggio non era proprio
basso (2000 pesos, circa 100 dollari) pensammo di spargere la voce per il paese, in modo da fare il
viaggio d'andata con un po' di passeggeri: con il ricavo dei biglietti avremmo ammortizzato la
spesa. E' vero che 100 dollari non sembrano molti per un viaggio di oltre 800 km e ritorno, ma
quando si vive a Cuba (così come in ogni altro paese povero) si fa in fretta ad entrare nell'ottica
dell'economia locale, cosicché anche 10 pesos (mezzo dollaro) per un pacchetto di sigarette ti
sembrano tante se paragonate agli stipendi medi, che sono di 200 pesos.
Avevamo organizzato tutto meticolosamente, avevamo preparato da alcuni giorni una lista
d'attesa dove la gente si iscriveva e pagava, avevamo recuperato delle panche da mettere sul
cassone del camion per far sedere i passeggeri, avevamo dato appuntamento per una certa ora prima
della partenza, fissata per le 15 di un sabato pomeriggio... ma il camion quel giorno non arrivava.
Dopo mezz'ora niente; un'altra mezz'ora e ancora niente. La gente in attesa cominciava ad
innervosirsi e anche noi. L'amministratore dell'impresa agricola che ci aveva affitato il camion era lì
con noi e pure lui era nervoso e preoccupato. Si andò in cerca degli autisti nelle rispettive case, ma
non c'erano, erano già usciti da tempo, dissero i loro familiari. Un signore si lamentava del ritardo,
perché nella valigia aveva del pesce congelato che voleva portare a suo fratello a l'Avana, ed in
effetti si cominciava a vedere dell'acqua che usciva dal bagaglio, dovuta all'inizio di scongelamento
(ma come si fa a pensare di portare del pesce congelato in una valigia per 800 km??).
Alla fine si intravede il camion arrivare ma, come qualcuno aveva già sospettato, non era vuoto:
nel cassone coperto c'erano già una ventina di persone in piedi che occupavano per metà lo spazio
disponibile. Era chiaro che erano dei "clandestini", nel senso che non avevano regolarmente
prenotato presso di noi. Il mistero si svelò subito: i due autisti (gli stessi dell'altra volta) avevano
pensato bene di fare un giro di raccolta per Niquero, caricando amici e conoscenti che dovevano
andare nella capitale, facendosi pure pagare! A questo punto si scatenò un putiferio: la gente da
sotto che gridava, noi che intimavamo ai clandestini di scendere, che così non potevamo viaggiare,
che c'era posto per tutti ma prima dovevano scendere. Niente. Non si muovevano di un dito,
aggrappati ai sostegni ci guardavano come per dire: perché costoro si agitano tanto?
Dopo tante insistenze finalmente si decidono a scendere. Intanto l'amministratore discuteva
seccato con i due autisti, i quali dal canto loro reagivano con veemenza, accampando il diritto di
guadagnarsi qualche quattrino con il trasporto di quel gruppo di malcapitati. L'unica cosa che mi fu
chiara è che dei due autisti era meglio non fidarsi troppo e che erano degli irresponsabili. Ormai
però li avevamo "assunti" e ce li dovevamo tenere fino al ritorno.
Partimmo con due ore di ritardo, ma partimmo e questo era già tanto in un paese dove i trasporti
sono affidati al caso. Ovviamente i turisti stranieri non possono godersi queste gioiose situazioni,
perché loro viaggiano in costosi pullman con aria condizionata, bar, TV e tutte queste comodità,
quindi non possono gustarsi il piacere di un viaggio fatto di notte sul cassone di un camion con il
tubo di scarico che ti carbonizza la faccia e le vie respiratorie. Normalmente chi va a Cuba per fare
del turismo "avventuroso" adora fare delle esperienze del genere, anzi si stupisce del perché i
cubani che viaggiano sul cassone di un camion abbiano delle facce disgustate e si lamentino tanto, e
dice: "Voi sì che state bene, niente stress da vita moderna, non come noi in Italia!".
Incredibilmente la domenica mattina arrivammo a L'Avana sani e salvi, con la schiena un po'
rotta, ma senza altri problemi. Il nostro scopo principale era dunque quello di andare all'aeroporto a
prendere tutti gli scatoloni del mio trasloco, che giacevano là da un mese. Speravo anche che non ci
fossero altre complicazioni.
Il lunedì mattina si fece quest'operazione e tutto andò stranamente liscio: dovetti pagare "solo"
270 dollari per la movimentazione delle scatole dall'aereo verso il magazzino, mentre la giacenza di
30 giorni mi venne scontata grazie a quell'esposto che feci la volta prima. A dire il vero non so
nemmeno io come ho fatto a sdoganare 1100 (millecento!) kg di scatoloni senza pagare neanche un
centesimo: forse quella volta la fortuna fu dalla mia parte. Quando la funzionaria della dogana che
mi stava assistendo mi chiese: "Qualcosa da dichiarare" ci pensai qualche istante, poi timidamente
dissi: "Mah, una torcia elettrica e un fornello...", "Valore?" A questo punto ricordai che sotto i 100
dollari non si sarebbe pagato nulla e dissi: "Circa 60 dollari","Ok, va bene così". (E' vero, sono stato
porprio un bastardo! Però, accidenti, almeno una volta ogni tanto anche io ho diritto a un po' di
giustizia, no? E poi in effetti non è che avessi articoli nuovi, era tutta roba usata che stava a casa
mia, mobili, libri, piatti, posate, la bicicletta, ecc...)
Avevamo deciso di lasciar passare la giornata per riposare e per riprendere il fiato prima di
affrontare il faticoso viaggio di ritorno, previsto per l'indomani: gli scatoloni furono "parcheggiati"
in casa di parenti, la stessa casa dove dormivamo anche noi. I due autisti, intanto, dimoravano a
casa della sorella di uno dei due in qualche lontanissimo quartiere de l'Avana. Almeno così noi
credevamo...
Ma il martedì mattina il camion non arriva (è una scena che avevo già visto...!). Cerchiamo di
contattare gli autisti, ma costoro risultano introvabili: la sorella di uno dei due dice che non sa dove
siano (o forse lo sa ma non lo dice) e per tutta la giornata di martedì non si hanno notizie di loro.
Trascorriamo la giornata in casa aspettando che si degnino di telefonare, invano.
Il mercoledì trascorre praticamente nello stesso modo, per cui alla fine decidiamo di andare alla
polizia per chiedere aiuto, ipotizzando che forse i due hanno avuto un guasto al camion o un
incidente e quindi in questo caso la polizia doveva esserne al corrente. Al commissariato, però, non
ci prendono molto sul serio: "Eh, ma chi l'ha detto che sono scomparsi?" chiede con sufficienza
l'agente che ci sta di fronte. "Be', sono due giorni che non abbiamo notizie, avevamo appuntamento
ieri mattina... e nemmeno i parenti sanno dove si trovino..." rispondiamo. "Sì, ma magari loro sono
andati in giro in cerca di donne e voi venite qui a pensando che sono scomparsi..." ribatte il tipo,
infastidito dalla nostra preoccupazione secondo lui eccessiva. Nulla da fare, quindi: essendo la
"caccia alle donne" un'attività sacra giriamo i tacchi e usciamo.
Giunti a casa scopriamo che è appena arrivata una telefonata dalla sorella di uno degli autisti
dicendo che per quanto ne sa si trovano a Batabanó (il porto di Isla de la Juventud!) e stanno per
arrivare qui. Ma che diavolo sono andati a fare sulla Isla?, ci chiediamo. Comunque ci conferma che
la partenza è fissata per il giorno dopo. Forse questa è la volta buona, pensiamo.
In effetti il giorno dopo i due si presentano; devo dire che ho fatto fatica a controllarmi, per non
litigare e per evitare di complicare la situazione. Alla sera si parte; carichiamo sul camion tutti gli
scatoloni, non senza fatica, e verso l’ora di cena siamo in cammino. Già, l’ora di cena... Noi
avevamo un pranzo al sacco, ma i due autisti evidentemente no e, dato che sono sempre stati
abituati a farsi i propri comodi senza avvisare, anziché prendere la strada per l’oriente cubano
imboccano una strada secondaria che porta non si sa dove. Ci fermiamo poco dopo in una casa
sperduta in una frazione della periferia dell’Avana e ci dicono di rimanere sul camion che loro
tornano subito. Il “subito” in questo caso è durato 45 minuti (ma cosa sono di fronte ai due giorni
che abbiamo atteso prima?) e scopriamo che la casa era quella della famosa sorella di uno dei due e
la “breve” tappa si era resa necessaria per permettere ai due di rifocillarsi, prima del lungo viaggio.
E noi ad aspettare sul cassone come degli ovini...
Di notte la strada scorreva sotto le ruote del nostro maledetto camion che, essendo stato
progettato per trasportare delle merci e non degli umani, amplificava anziché ammortizzare ogni
buca del terreno; a ciò bisognava anche aggiungere il maldestro stile di guida adottato dagli autisti i
quali, avendo il volante dalla parte del manico, probabilmente si stavano divertendo sulla nostra
pelle dirigendo questa sadica coreografia.
Durante il viaggio bucammo per ben “tre” volte: era ovvio, dato che avevamo “due” ruote di
scorta. A Cuba vige un particolare corollario della legge di Murphy, secondo il quale il numero
delle volte che le ruote di un veicolo si bucano è sempre uguale al numero delle ruote di scorta
tenute a bordo, più una. La terza volta dovemmo quindi fermarci ad una stazione di servizio per far
riparare le gomme e perdemmo un po’ di tempo prezioso.
Riprendemmo il cammino e qualcuno riuscì anche a dormire alla bell’e meglio. Non io, che
soffrivo abbastanza freddo, anche perché avevo prestato il mio piumino ad un ragazzo che
viaggiava con noi e che aveva addosso solo una maglietta con le maniche corte, e perciò ero rimasto
solo con una felpa e un k-way di nylon. Sembrerà strano ma di notte anche a Cuba fa freddo,
specialmente viaggiando a bordo di un camion. Il tipo col mio piumino, invece, se ne stava beato
nelle braccia di Morfeo. Oltretutto non riuscivo a trovare una posizione decente che mi permetesse
di dormire almeno mezz'ora ogni tanto; alla fine riuscii a trovare un equilibrio appoggiando i gomiti
sulle ginocchia e tenendo la testa tra le mani e seguendo così l'ondeggiare del camion potevo anche
assopirmi fino alla buca successiva, quando un salto improvviso mi faceva scivolare la testa e
dovevo perciò ricominciare da capo. Anche gli altri non è che stessero meglio. Nel camion pieno di
scatoloni ognuno si era dovuto cercare uno spazietto libero dove fare il nido... C'erano anche due
anziani, uno zio e una zia di Maribel, li guardavo ed erano i più sereni di tutti noi che avevamo
almeno 40 anni di meno. Certo!, pensavo, loro ne hanno viste di peggio nella loro lunga vita, cosa
vuoi che sia un viaggio in un camion!
Il giorno dopo arrivammo finalmente a Niquero: mi sembrava veramente che un incubo fosse
terminato. Quando mi soffiai il naso veniva fuori solo nera fuliggine (i gas di scarico del camion!).
E meno male che durante tutto il viaggio mi ero messo un bavaglio davanti alla bocca... Un freddo
così non me lo ricordavo da tempo. A proposito, dov’è il ragazzo col mio piumino? Se ne era già
andato, mollando il piumino su un sedile e senza nemmeno ringraziare... Pazienza, l’importante era
essere arrivati.
Ecco cosa significa organizzare un trasporto di questo tipo a Cuba, come è diverso rispetto ad un
paese come il nostro, dove una cosa così è di una semplicità assurda (basta pagare un’impresa di
traslochi!). Farlo una volta sarebbe anche divertente, se lo si prende come un’avventura da
raccontare, ma inserendosi nella realtà quotidiana tutto questo diventa molto, molto più deprimente.
Se noi, italiani in vacanza, in una situazione come questa ci divertiamo, i cubani invece non si
divertono affatto.
CONTINUA......

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