Ricerco la felicità. Non la mia. La tua. M’interessano le felicità quotidiane: un caffè con un amico, una telefonata inaspettata, tornare a casa la sera, aprire il frigo e invece di un pomodoro trovarne due.
Un lutto, il buio, la paura e la ricerca della felicità. Ma quella degli altri.
E’ successo a Valerio Millefoglie, musicista e scrittore, nato nel ’77 a Terlizzi, nel Barese che, dopo la morte di suo padre, avvenuta nel 2009, ha scelto un percorso originale per riempire la sua anima e tornare a vivere. Lo descrive nel suo ultimo libro, pubblicato di recente da Einaudi, dal titolo: “L’attimo in cui siamo felici”.
Ma vediamo cosa l’artista si è inventato dopo l’evento doloroso, per ripartire e godersi di nuovo attimi di gioia.
Valerio, cosa è successo dopo la morte di suo padre?
Ciò che succede a tutti, che in qualche modo devi rinascere. È come tornare feto, ma questa volta rinasci dalle ceneri. In quel momento mi sono aggrappato a quello a cui mi aggrappo sempre, anche quando le cose vanno bene. E cioè alle idee e al cercare di realizzarle.
Quando ha cominciato a pensare che avrebbe potuto riempire il suo vuoto attraverso gli altri? Insomma, come le è venuta l’idea di cercare la felicità degli altri per stare meglio?
Ho sempre lavorato, cercando le storie in giro, prima che nella mia testa. Mi piace incontrare le persone e farne dei personaggi. L’idea di una sorta di “comizi di felicità” è nata dopo l’uscita del secondo libro. Ero insoddisfatto, anche dei risultati ottenuti, non mi riempivano, e così vedevo negli altri quello che sembrava mancarmi. Ho deciso di distribuire un questionario molto semplice su cui far appuntare a totali sconosciuti gli attimi felici nell’arco di una settimana. Poi ogni incontro – e intervista – è diventato una cartella clinica delle felicità, che nel libro cura il protagonista dal lutto.
Non le è mai venuta la tentazione di cercare, al contrario, le infelicità degli altri per condividere e sopportare meglio il suo dolore? Molte volte confrontarsi con gli altri aiuta ad accettare più facilmente la propria sofferenza e a ridimensionarla.
Le infelicità sono più facili da trovare, perché le giornate di tutti ne sono disseminate. Dico infelicità per intendere anche fastidi, incombenze o mancanze di sorprese, che trasformano tutto in abitudine. Nell’abitudine si ha difficoltà ad accorgersi che, comunque, ci sono degli attimi felici. La mia ricerca era indirizzata a quelle felicità apparentemente minime, come ammirare un tramonto sul lago. Poi, se approfondisci con le domande, scopri che ad ammirare il tramonto è una coppia di gemelli, che abita nella stessa casa. Entrambi si recano al lago, ma separati, e osservano l’orizzonte, sognando la compagnia di qualcuno. Poi risalgono verso casa, sempre percorrendo strade diverse, e una volta a casa, nella camera da letto, si chiedono: “Com’è andata oggi?”. Le felicità e le infelicità traspaiono sempre. Sono disegni che s’intrecciano.
Dove ha cercato la felicità degli altri?
Ho distribuito in bar, scuole, trattorie, tram, librerie, ovunque, un volantino di ricerca volontari per la sperimentazione della felicità su se stessi. Sono stato poi in carcere e in una stazione centrale per sottoporre il questionario a detenuti e senza tetto, per capire se la felicità fiorisce anche dal cemento e dalle sbarre. Ne ho parlato in radio, chiedendo agli ascoltatori di candidarsi. Ho visitato una fiera d’imprenditoria funeraria, ho incontrato un mago prestigiatore, ma anche pensionati e impiegati. Man mano è andato a delinearsi un percorso su due binari: gli incontri degli sperimentatori della felicità alternati al racconto dei giorni in ospedale e della burocrazia della morte, dal funerale al riprendere la vita di tutti i giorni.
Quale la felicità (degli altri) che le ha fatto bene?
Mi ha reso inaspettatamente felice Marco Elettrico, la prima persona che ha risposto al mio appello di ricerca volontari. Mi ha scritto una mail dopo aver trovato il volantino alla cassa di una trattoria. Naturalmente speravo che qualcuno rispondesse, ma vedere che accadeva davvero mi riempiva di stupore e voglia di andare avanti.
La forma di felicità più strana che ha trovato?
Forse quella di XXX, una ragazza che si fa dividere la lingua in due e perde momentaneamente l’uso della parola. Quando la riacquista è felice e ripete entusiasta più volte la prima nuova parola, che non è “mamma”, ma “fattura”. Questa è la prima felicità che segna sul suo questionario, l’ultima, invece, è quando torna a parlare e a chiarirsi con il fratello dopo un periodo d’incomprensioni.
Ora come vive?
Vivo esattamente come prima. È cinico, ma si sopravvive alla morte, se non è la tua.
Il dolore è una tappa fondamentale per maturare, creare e imparare a vivere? O se ne può fare a meno?
Ho letto un articolo su una bambina che, a causa di un problema genetico, non avverte dolore. Un giorno la mamma la trova tranquilla a fissarsi il palmo della mano ustionato, senza versare una lacrima. Da allora devono proteggerla in tutti i modi dall’assenza di dolore. In mensa le mettono il ghiaccio nella minestra per evitare che la mangi, anche se scotta troppo. Magari anche senza dolore d’animo la vita sarebbe un inferno. Dovrebbero spiegarti che una certa cosa deve necessariamente farti soffrire, per poi superarla e vivere ancora.
Oggi cos’è che la fa soffrire di più? E di cosa ha paura?
Qualche notte fa mi sono svegliato con delle fitte alla gamba destra. Ho provato a far finta di niente. Poi ho incominciato a preoccuparmi, a pensare che non sarei più riuscito a cambiare la vita, perché non riuscivo più a cambiare posizione nel letto. Era un pensiero assurdo.
Ma ci sono giorni in cui non accade nulla e io, invece, vorrei che ogni giorno accadesse qualcosa da ricordare per sempre.
Dunque, infelicità come noia, terrore di giornate sempre uguali. Ma quando si subisce uno choc così grande, la morte improvvisa di un padre, tosto è chi impara a convivere con la propria malinconia o chi fa come lei, cerca percorsi nuovi per scacciarla, svuotarla di senso?
Anche stare fermi per un anno a letto è un modo di reagire. Magari dopo un anno uno si rialza e non torna più a letto per il resto della vita.
Cos’è ora per lei la felicità?
Un mese fa sono stato a registrare nello studio 1 di Abbey Road, a Londra, ed era così incredibile essere lì e sentire un’orchestra di quaranta elementi suonare un pezzo che avevo scritto lo scorso agosto nella città deserta, che in quel momento non riuscivo a essere felice come avrei voluto. E quindi lo sono ora, a volte, nel ricordo. Poi sto lavorando a un nuovo libro, che mi sta portando in posti che sembrano uscire da una favola e che, invece, escono dalla realtà. Questo mi rende felice, che la realtà diventi qualcosa di più.
Cinzia Ficco
Valerio Millefoglie (Bari 1977) ha pubblicato “Scontrini. Racconti in forma di acquisto” (con Matteo B. Bianchi), “Manuale per diventare Valerio Millefoglie” (entrambi Baldini&Castoldi Dalai editore) e “L’attimo in cui siamo felici” (Einaudi Stile Libero). Ha inciso il disco “I miei migliori amici immaginari” (quiet, please!/ EMI) che contiene “Il Lottatore Mascherato con gli Occhiali”, una canzone di wrestling non violento e sul sito di Smemoranda cura la rubrica giornaliera “Secondo Un Recente Studio”
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