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Valle Reale, quando l’imprenditoria è virtuosa

Da Iltaccuvino

Quella di Leonardo Pizzolo è di quelle storie che mi piacerebbe raccontare quotidianamente, perchè andando a Valle Reale, in una valle incastrata a pochi passi dal centro di Popoli e dalle sue sorgenti di acqua naturale,  si incontra una realtà che unisce uno spirito aziendale serio e sano con la valorizzazione di un territorio e  la produzione di vini fortemente identitari.

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Leonardo, patron dell’azienda, viene da Verona e mi viene spontaneo chiedergli come mai è finito nel profondo dell’Abruzzo. La risposta sta in un’attività familiare, centrata su un allevamento di trote proprio situata a Popoli, cui erano annessi terreni e vigneti. Dalla passione per il vino, maturata in Veneto al fianco dello zio, imbottigliatore, scaturisce la sua idea di scendere in queste terre, rimettere in piena produzione i terreni e avviare un’impresa per produrre dei vini propri. Comincia così nel 1999 la sua avventura abruzzese, trasferendosi in loco per seguire direttamente il suo progetto. Partiva da 11 ettari già di proprietà familiare, e affitta una cantina a Scafa per avviare le prime prove. Nel 2003 realizza la cantina a Valle Reale, dal recupero della vecchia stalla. Mano a mano amplia anche il parco vigneti, piantando filari nel 2001, poi nel 2002, acquistando anche un vigneto di Trebbiano a Capestrano, una zona storicamente legata al vitigno, raggiungendo così una quota di 49 ettari, quella ritenuta adeguata per una attività economicamente sostenibile.

Nel 2000 la prima vendemmia, nel 2002 i primi risultati apprezzabili, e nel 2003 l’annata torrida gli porta via un terzo delle piante, problema oggi scongiurato grazie all’impianto di irrigazione di soccorso. Il percorso procede alla ricerca di un’identità, partendo da vigneti sviluppati partendo da selezioni massali operate sui vecchi impianti a pergola di trebbiano e montepulciano, ma in un decennio in cui spopolano gli esperimenti che chiamano in causa le lavorazioni di cantina (barrique, macerazioni, anfore, ecc) Leonardo cerca di tirare fuori il carattere esile dei suoi vini, nati da un territorio di montagna, in una valle chiusa, fresca e ventilata, esclusa dagli influssi marittimi.

Nel 2007 parte col suo esperimento più importante, prendendo le uve di Capestrano, pigiodiraspandole e lasciandole in vasca di acciaio, senza lieviti nè interventi. Dopo 18 giorni parte la fermentazione spontanea, che termina due settimane dopo. Lascia poi il vino ad affinare sulle fecce fini, e fiducioso nel 2008 ripete la medesima prova. Nel 2009 l’assaggio delle prime bottiglie da fermentazione spontanea convincono decisamente, e il 2008 ottiene la conferma anche dai riconoscimenti delle guide. I vini si manifestano eleganti, fini e dal grande futuro. La strada è ormai segnata, rimangono però da mettere a punto le tecniche, perché le fermentazioni spontanee come è noto possono prendere derive strane, fermarsi, e in alcuni casi portare risultati non troppo apprezzabili. Inoltre giungevano critiche dai colleghi, con molti a sostenere che il risultato non era frutto di lieviti indigeni ma dovuto piuttosto all’ambiente di cantina. Leonardo è persona caparbia, e produce in fermentazione spontanea due vasche identiche, una affianco all’altra, una con uve trebbiano del vigneto di Popoli, l’altra con trebbiano di Capestrano. Il primo esce fuori agrumato e teso, Capestrano all’opposto è generoso di frutta e fiori, piu ricco e complesso. Certo cambiano i territori, ma anche i lieviti che si sviluppano sulle uve.

Nel frattempo anche sui rossi si introducono le fermentazioni spontanee, prima nel 2008 sul San Calisto, dalla vigna più vecchia, poi sul Sant’Eusanio l’anno seguente, anche sui rosati dal medesimo vigneto. Mantiene però allora fermentazioni guidate da lieviti selezionati sulla linea base, per avere la certezza dell’esito sui vini che garantiscono il sostegno economico della struttura aziendale, che oggi conta una trentina di dipendenti.

Quello dei lieviti e delle fermentazioni è un tema che lo appassiona, e Leonardo affronta ripetuti viaggi in Borgogna, cercando di scoprire quanti più segreti sulle tecniche utilizzate dai viticoltori naturali. Nel 2011 è la visita da Roulot ad accendere un faro. Il produttore, da sempre legato a fermentazioni spontanee, gli mostra come storicamente siano identificate nei suoi vigneti delle aree in cui si sviluppano particolari lieviti, in ognuna differenti. Dalle diverse aree ricava un pied de cuve, e le vasche di fermentazione vengono attivate con un primo piede, e in caso di arresto si interviene riattivando la fermentazione con un piede differente, in modo da avere la certezza di portare a secco il vino.

Pizzolo e il suo team non possedevano però una mappatura storica dei lieviti indigeni di Valle Reale, così hanno dovuto mappare battezzando diversi angoli, fino a selezionare nel 2011 circa 6-7 aree specifiche dalle caratteristiche diverse e trovandosi a fine vendemmia con 15 vasche di trebbiano tutte differenti, ottenute dalle diverse parcelle del vigneto, ognuna attivata col suo piede. Alla fine le vasche migliori di Popoli e Capestrano vanno da sole, e il trebbiano d’Abruzzo base si ottiene per la prima volta nel 2011 da un blend di vasche tutte da lieviti autoctoni. Cosi si completa il percorso di cantina, estendendo le fermentazioni spontanee a tutta la linea, che ne guadagna in termini di profondità e carattere, oltre che di coerenza.

Non finiscono però i progetti aziendali, perchè in questo Leonardo è un vulcano di idee. Sta ristrutturando una vecchia struttura dove ricaverà una sala da pranzo dove mangiare quotidianamente insieme a tutto lo staff, e un piccolo spaccio annesso dove vendere i vini ed i prodotti dell’orto biologico, dove sta coltivando le varietà originarie abruzzesi. In campagna non manca di sperimentare anche sul fronte della biodinamica, con 8 ettari già convertiti.

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Immancabile un giro in cantina, dove salta all’occhio e al naso la pulizia, quasi da sala chirurgica. Acciaio per le fermentazioni e l’affinamrnto dei bianchi, botti Garbellotto in rovere di Slavonia per i rossi, con anche qualche tonneau vecchio. Tanti gli assaggi work in progress che mi sottopone, partendo dai trebbiano 2014 dei suoi due cru, già così diversi ora, citrico e ancora percorso di note erbacee il Popoli, più rotondo e disponibile con note di frutti e fiori gialli il Capestrano. Poi tanti esperimenti, dalle botti troncoconiche borgognone alle barrique, mentre ancora in fasce è il Montepulciano Vigna del Convento 2014, in affinamento in una botte da 25 hl, oggi ancora nervoso, vivo di acidità e frutto, con le sferzate di erba e sottobosco tipiche, e un frutto centratissimo di ciliegia. Questo cru sostituirà il San Calisto, il cui vecchio vigneto tradizionale a pergola, segnato dalle fallanze, sarà sostituito da più adatti filari a spalliera, ideali per il clima fresco della zona, che non necessita il riparo della pergola abruzzese.

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In sala degustazione parliamo tanto e assaggiamo altrettanto, partendo con il Trebbiano Vigneto di Popoli 2010. Il suo colore è appena velato, ancora in attesa di chiarificarsi completamente (inutile dirlo non filtra e non chiarifica i vini). Il naso è un diamante di mille sfaccettature, con agrume di lime e un susseguirsi di note verdi di finocchietto, menta, salvia ed artemisia. Al palato ha l’eleganza del brillante e la sua affilatezza, fine e interminabile nel suo finale mediterraneo di mandarino ed erbe aromatiche. Grande e ancora con una vita davanti.

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Il Trebbiano Vigneto di Popoli 2013 è invece in anteprima, ancora non in commercio, deve completare il suo riposo in bottiglia. Dal 2010 sono cambiate alcune cose, come la vinificazione oggi a raspo intero e con pressatura a stadi statici anziché intermittente, che evita il rimescolamento degli acini e la conseguente rottura delle bucce. Il colore è già più risolto e limpido sui toni della paglia, e il ventaglio olfattivo si distende generoso, con note di fiore di cappero, pera, limone e pesca bianca. La bocca è ancora nervosa, più ricca ma sempre slanciata da una tensione che permane fino a una conclusione sapida e ricca di frutto. Conferma il grande potenziale del vigneto, mostrando come le fermentazioni spontanee lo arricchiscano di materia e sapore.

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Un altro vino immancabile è il Cerasuolo 2014, davvero notevole per complessità aromatica, con more e lamponi freschi che si alternano a note di radici e timo. Fresco e dalla beva elegante, con solo un sottile accenno tannico, lascia la bocca pulita finendo su ribes e radice di rabarbaro.

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Si va sul vino più rinomato delle terre aprutine, il Montepulciano, qui col Sant’Eusanio 2011. Uve pigiodiraspate che fanno macerazioni brevi, massimo 5 giorni, per poi affinare solo in acciaio e poi vetro. Potrebbe ingannare alla vista per un colore dalla insolita trasparenza, quasi sembra un sangiovese , ma il naso non mente con note nette di frutti scuri che si mescolano a pepe, radici e cenni di pellame. Al palato scivola elegante, con tannino setoso, un finale saporito di sapidità, pepe e frutto, con ricordi di amaro alle erbe. Mi lascio scappare un “Ti piace la Borgogna..” e Leonardo risponde sorridendo “Bevo solo di quella…” e torna con due vini che aveva aperto a pranzo, deliziandomi con due Premier Cru notevoli.

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La punta di diamante della produzione è forse il Montepulciano d’Abruzzo San Calisto 2011, che si infittisce di colore ma mantiene una bella permeabilità alla luce, con riflessi vivi di gioventù.  Si apre bene su nuance di lavanda, echi balsamici, poi frutti di more e ciliege, e ancora spezie di cannella e chiodi di garofano. All’assaggio mostra un tannino vivo ma senza spigoli, piacevole nel riempire e insieme ripulire un sorso dove la ricca stoffa si muove leggera e in armonia, con finale lungo in piena corrispondenza gusto-olfattiva. Qui maturava in tonneau vecchi, oggi convertiti a Garbellotto da 25 hl. Grande persistenza senza nulla cedere alla finezza di beva, cosa non facile da trovare in un Montepulciano d’Abruzzo,  ma il clima di montagna gioca bene il suo ruolo, snellendo i vini e regalando queste versioni davvero da provare.

In conclusione mi fa montare sul fuoristrada e facciamo un giro per i vigneti, in grande salute, passando tra le pergole vecchie del San Calisto, potate corte e con rese misere, poi a fianco del trebbiano del Vigneto di Popoli, per poi salire sulla collina per ammirare dall’alto l’intera distesa delle vigne, e scovare ler erbe spontanee del luogo come l’artemisia, il cui odore così notido era parso proprio nel trebbiano di Popoli, guardacaso confinante col bosco che sale sul colle.

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Leonardo è una persona dalle idee chiare che ha ridato vita e produttività a uno splendido angolo di Abruzzo, una terra in cui si sente a casa e di cui tiene alto il nome portando i suoi vini sulle tavole dei migliori locali del mondo. Come al solito in Italia siamo in pochi ad apprezzare il nostro patrimonio, ma confido che Valle Reale, come le altre aziende riunite sotto èAbruzzo, trovino sempre più successo per valorizzare i veri prodotti artigiani di questa regione.


Tagged: éAbruzzo, Capestrano, fermentazioni spontanee, Montepulciano, Popoli, Trebbiano, Valle Reale

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