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“Valperga”– Mary Shelley XVIII

Creato il 16 gennaio 2012 da Marvigar4

Dante Gabriel Rossetti - Beata Beatrix

Mary Shelley (1797-1851)

VALPERGA

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La vita e le avventure di Castruccio, Principe di Lucca

Traduzione integrale di Marco Vignolo Gargini dall’originale in inglese Valperga; or the Life and Adventures of Castruccio, Prince of Lucca

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Capitolo 18

Caduta di Beatrice.

Castruccio non rimase inattivo in tutto questo trambusto. Ma, alla fine del combattimento, compreso che Obizzo era impegnato in atti di esclusiva pacifica sovranità, si precipitò al palazzo del vescovo, molto sorpreso di non vederlo tra i nobili che attendevano il principe. Il vecchio vescovo era malato: era stato scosso terribilmente dagli eventi del giorno precedente e la sua salute per un po’ ebbe a soffrirne. Castruccio fu introdotto nella sua camera, dove il vescovo dormiva tranquillamente su di un magnifico divano. La figlia adottiva, la bella Beatrice, lo vegliava e quando vide Castruccio arrossì profondamente, mentre, malgrado ogni sforzo, un sorriso di gioia si diffuse sul suo volto espressivo.

«Non è molto malato», disse a voce bassa rispondendo a Castruccio, «la febbre gli è passata del tutto. È debole, ma sta recuperando. Adesso dorme dolcemente: guardate i suoi reverendi capelli sulle tempie, guardate i suoi occhi, indeboliti dall’età anche se quando si aprono irradiano benevolenza e affetto: guardate che sorriso gentile sulle sue pallide labbra. Ora dorme: affetto, benevolenza, virtù ineguagliabile e saggezza suprema, tutto è cullato dal dolce sonno. Sono stata a contemplarlo per più di un’ora. Respira regolarmente come un bimbo che dorme dopo aver poppato, e il suo petto si solleva piano, con serenità. Il riposo di quest’uomo buono è una visione paradisiaca, rasserena le passioni sfrenate e sparge rugiada fresca di sana meditazione sulle eccentriche fantasie giovanili.»

Parlava sussurrando, ma il suo volto era tutto animato. Il vecchio vescovo si mosse e lei, mettendo un dito sulle labbra, tacque. «Beatrice, bambina mia», disse il vescovo, «Ho dormito tanto e profondamente, e mi sento abbastanza bene. Chi è quello straniero? Porta notizie del marchese? Sì, rammento che questo è il giorno… Sono stranamente confuso, adesso ricordo di aver sentito del suo successo prima d’addormentarmi.»

«Padre, è Castruccio che, dopo aver rimesso il nostro principe al suo posto di comando, fa visita alla vostra camera d’ammalato.»

Castruccio rimase parecchie ore a parlare con il vescovo, gli fece un resoconto degli avvenimenti del mattino, mentre Beatrice ascoltava con tutta la sua anima negli occhi, ma, pur attenta alla narrazione, guardava con dolce passione l’amico malato, voltandosi a vedere il viso accalorato di Castruccio, e ancora, avvicinatasi al padre adottivo, sistemava qualche cuscino o faceva qualcosa che evidenziava la sua cura meticolosa.

«Com’è bella!» pensò Castruccio, «e che ne sarà di lei?». Con lo sguardo fissò la lamina d’argento sulla sua fronte. «Sì, è l’Ancilla Dei, una fanciulla votata a Dio e alla castità, anche se i suoi occhi sembrano invasi dall’amore. I colori cangianti e rigogliosi del suo volto, la forma, che è tutto ciò che l’immaginazione può concepire in quanto a perfezione, non assomigliano a quelli di una suora. Ah! Beatrice, se ti dovessi consacrare a Dio, dovresti nascondere la tua bellezza superiore con veli spessi e dietro a triple grate. Ma lei è una profetessa, qualcosa di più che umano… una personalità inaccessibile persino al pensiero.»

Così Castruccio cercava di districare le sue perplessità, fissando sempre la fanciulla che, alzati gli occhi improvvisamente e incontrando lo sguardo di Castruccio sulla sua lamina, arrossì tanto che le punte delle dita divennero rosee. Poi, lamentandosi con voce esitante che la lamina le faceva male, se la sciolse e i suoi capelli di seta, non più trattenuti, caddero sul suo collo.

Così passarono le ore e quando alla fine la profetessa si ritirò fu per dedicarsi alle sue meditazioni febbrili e ai pensieri accesi dalla passione, resi ancora più pericolosi dalla sua fede nella natura divina di tutto ciò che le suggeriva alla sua mente. Pregò la Vergine perché la ispirasse e, tornando nuovamente a fantasticare, compose una sottile tela, che credeva di materia celeste, ma che era, in effetti, tolta alle ali impetuose dell’amore. In ginocchio, gli occhi rivolti al cielo, provò la stessa commozione che aveva provato prima e che aveva considerato una divina ispirazione. Sentì lo stesso trasporto incontrollabile e la stessa invasione di visioni immaginose, che lei pensò di ottenere all’istante dall’invisibile raggio della profezia celeste. Sentiva la sua anima, così com’era, svanire ed incorporarsi in un’altra e uno spirito più divino che bisbigliava alla sua mente la verità e la conoscenza e poi, sfuggendo lentamente, lasciare la sua natura umana, agitato, gioioso, ed esausto… questi erano i suoi sogni… ahimè! Per lei erano la realtà.

La mattina dopo incontrò ancora Castruccio nella camera del vescovo. Adesso lei lo guardava senza timore e, se la modestia candida della sua natura non l’avesse trattenuta, le sue parole sarebbero state sincere come credeva innocentemente che fossero ispirate. Ma, pur restando in silenzio, i suoi sguardi esprimevano il suo cambiamento. Il giorno prima le sue maniere erano state pazienti, concentrate e riservate. Adesso lei era spontanea, gli occhi brillavano e un’espressione allegra era diffusa in ogni tratto. Le sue maniere verso il suo guardiano erano tenere, né l’espressione affettuosa della sua voce era diversa quando parlava con il suo ospite: Castruccio cominciò ad ascoltarla. Gli ricordava i toni d’Eutanasia, che per un po’ aveva dimenticato, e, guardando Beatrice, pensò, «Com’è bella, e come diversa!»

Passarono parecchi giorni. Beatrice diventò imbarazzata, sembrava che volesse parlare a Castruccio e non osasse: quando si avvicinava arrossiva e si ritirava, e si sarebbe riavvicinata ancora, ma invano. Articolava le modalità del suo approccio, modificava di continuo le parole che avrebbe detto, ma, se l’occasione per dirle si presentava le veniva meno la voce, la memoria di ciò che stava per dire le mancava, e la presenza di una terza persona le toglieva la possibilità di parlare quando le tornava in mente il discorso che voleva fare, e l’occasione perduta era inutilmente rimpianta. La notte cercò consigli dal cielo e si lasciò andare alle sue consuete estasi; le dicevano sempre le stesse cose, finché alla sua mente confusa e ribelle sembrò come se lo spirito che la dominava le rimproverasse la sua esitazione, la poca fiducia nelle promesse celesti e la riluttanza a seguire la via indicata.

«È così, oh! È proprio così», pensò, «così sono diretta dal Potere che spesso mi ha rivelato il suo volere. Posso penetrare i suoi disegni nascosti? Posso fare di più che eseguire i suoi ordini? Non mi sentivo così quando in preda al trasporto profetico ho predetto eventi lontani che dovevano sicuramente accadere? Quando ho previsto tanto tempo prima la morte di Lorenzo, quel bel bambino nel pieno della salute, quando tutti mi chiamavano una falsa profetessa? Eppure è morto. E adesso, il ritorno del marchese? No, non sono approvata dal cielo? Non sono sfuggita alla malvagità dei miei nemici grazie ai suoi miracolosi interventi? Oh! Non scruterò più con argomenti sfrontati, propositi che sono regolati da mani più potenti delle mie. Mi rassegnerò a seguire la guida di ciò che mi ha sempre ben diretto e che adesso indica la strada verso la felicità.»

Il mattino dopo, con le guance rosse, gli occhi pesanti, tremolanti e imbarazzati, Beatrice cercò Castruccio. È impossibile che non ci sarebbe stata più tenerezza nei suoi modi verso questa bella ragazza; la sua storia, le strane e romantiche contemplazioni e impulsi, e la grande intimità che era cresciuta fra loro, bastarono. Lui la considerava anche una suora e questo lo faceva sentire più libero nell’avvicinarla, dal momento che temeva di non essere mal interpretato, mentre allo stesso tempo gli offriva un’elevazione e un colore insolito all’idea che si era fatto di lei, che gli faceva vedere ogni suo movimento con interesse. Lei si avvicinò e lui disse scherzosamente: «dov’è il marchio, profetessa? Non siete più la Fanciulla di Dio? Per alcuni giorni avete messo via il diadema consacrato.»

«Ce l’ho ancora», rispose, «ma l’ho tolto dalla mia fronte. Ve lo darò. Venite, mio signore, questa sera a mezzanotte all’entrata segreta del palazzo della viscontessa.» Dette queste parole, fuggì per nascondere i suoi ardenti rossori in solitudine e per provare ancora le delusioni esaltanti che la portarono alla distruzione.

Castruccio andò. Se fosse nella virtù umana di resistere all’invito di questa ragazza angelica, la sua non era la mente, intimamente rivolta al bene, che si esaminava da sola ed era gelosa della propria integrità tanto che così doveva soppesare le proprie azioni e muoversi approvata soltanto dalla coscienza. Nel suo modo di fare era schietto e nobile, la sua natura era generosa e, sebbene si nascondesse nel suo cuore il seme di un albero che sopportava il male, non era ancora cresciuto e inanimato; e, obbedendo agli inviti di Beatrice, si abbandonava passivamente alle forti eccitazioni della curiosità e dello stupore.

Castruccio andò più volte da lei. Quando la notte silenziosa si spargeva su ogni cosa e le mura della città erano nere e confuse tra gli alberi che svettavano, il cui fogliame ondeggiante non si distingueva per gli sprazzi di luce, ma tutto era informe come l’aria impalpabile; o se appena una stella si distingueva, scintillava un poco sulle acque della palude e poi la pesante rete delle nubi rapidamente nascondeva sia la stella che l’acqua; quando i cani da caccia erano silenziosi, non svegliati dalla luna, e solo il vento che soffiava sulla pianura suggeriva all’orecchio dov’erano gli alberi; quando i pipistrelli e i gufi erano cullati dal buio immenso. Fu in una notte come queste che Castruccio cercò l’entrata segreta del palazzo della viscontessa, e fu ricevuto dalla bella Beatrice, protetta in una atmosfera d’amore e gioia.

Lei era uno strano enigma per lui. Senza promesse, senza nemmeno quell’esile prova di diffidenza che è figlia della confidenza stessa, senza cercare aperte dichiarazioni d’amore eterno, lei si abbandonò alle sue braccia. E, quando la prima ritrosia virginea se n’andò, fu tutto una tenerezza profonda e un amore ardente. Eppure c’era una dignità e un affetto fiducioso nei momenti più teneri della ragazza che lo colpivano: delle volte le usciva un’espressione abbozzata, e sembrava dire che lei lo credeva indissolubilmente suo, un’espressione che lo faceva scattare, come se lui temesse d’aver agito con perfidia, anche se non aveva sollecitato, promesso niente, mai… cosa poteva voler dire lei? Chi era lei? Lui l’amava come avrebbe amato tutto ciò che è superiormente bello, e, quando queste espressioni, che lasciavano intendere qualcosa di durevole e immutabile nel loro rapporto, s’intromettevano, lo angariavano e lo irritavano: tornava a ricordare Eutanasia, la sua pura, la sua nobile e promessa sposa… sembrava come se lei fosse stornata da una simile idea, eppure osava quasi pensare che lei fosse più pura della povera Beatrice, la cui anima, sebbene arresa all’amore, era profondamente intessuta d’affetti delicati e sentimenti onesti, tutto ciò che determina l’anima e la scintilla vivente della virtù. Se non aveva resistito agli impulsi non era perché lei volesse il potere, ma, delusa dalla rete d’intrighi che da tempo s’intrecciavano intorno a lei, credeva che questi intrighi fossero non solo legali, ma ispirati dalla speciale intervento del cielo.

Povera Beatrice! Aveva ereditato dalla madre la più accesa immaginazione che abbia mai animato anima umana. Le sue visioni erano vivaci come se fossero reali e così irresistibili da apparire a lei, quando le confrontava con le tranquille sensazioni degli altri, qualcosa di sovrumano. E lei si faceva guidare, come se dovesse essere incatenata ed esser frenata e schiacciata da ogni sforzo della ragione. Profetessa infelice! Le superstizioni dell’epoca le davano credito e certamente originavano le sue pretese, e la compassione e l’umanità dei suoi simili impressero in esse il sigillo che attestava la verità di un miracolo. C’è tanta vita nell’amore! Beatrice aveva appena diciassette anni e per la prima volta amava, tutti i piaceri squisiti di quella passione erano consacrati a lei da una misteriosa e ingannevole santità che le dava dieci volte entusiasmo. Si dice che in amore idolatriamo l’oggetto e, mettendolo da parte e scegliendolo tra i simili, lo guardiamo come fosse di qualità superiore a tutti gli altri. Facciamo così, ma, anche se idolatriamo l’oggetto del nostro affetto, idolatriamo davvero noi stessi: se lo separiamo dai comuni mortali allora siamo noi a separarci e, vantandoci di appartenere a lui soltanto, ci sentiamo librare su ogni altro senso, altre gioie e sofferenze, in una cerchia sacra da cui tutto è bandito fuorché la sua idea; camminiamo come se una foschia o un incanto più potente ci dividesse da tutto meno che da lui; una vittima sacrificale che nessuno a parte il sacerdote estraneo a quell’ufficio può toccare e non corrompere, custodita in una nube di gloria, resa gloriosa da bellezze che non ci appartengono. Così tutti ci sentiamo durante il sogno estatico dell’amore, e Beatrice, l’animata, l’affettuosa Beatrice, sentiva questo con un potere moltiplicato: e, credendo che nessuno l’avesse mai provato prima, pensava che il cielo fosse intervenuto per produrre un paradiso così vero. Se i suoi sogni infantili furono così accesi, come fu più vivo e vincente il risveglio della sua anima quando amò per la prima volta! Pareva che uno spirito nuovo e straordinario fosse disceso, vivo, pulsante e ansimante, nel suo cuore più freddo, e gli desse un nuovo impulso, una nuova esistenza. Sempre ingannata dai suoi pensieri indisciplinati, aveva a cuore le sue fantasticherie, ritenendole celesti ed intellettuali, che la legavano con le sue forze ai guazzabugli terreni; e si lasciò andare completamente alle sue gioie visionarie, finché alla fine, caduta, e per sempre perduta, non si accorse della verità.

Nel frattempo la pace fu del tutto ristabilita a Ferrara: il 15 agosto Castel Tealdo si arrese e il governatore del papa, con la sua guarnigione straniera, lasciò i territori del marchese d’Este. Galeazzo Visconti tornò a Milano, ma Castruccio si trattenne ancora: voleva andare, si trovava fuori posto come un cortigiano sospeso nel corteo di Obizzo, ma come poteva lasciare Beatrice? Lei cosa aspettava o desiderava? La tenerezza appassionata che dimostrava non poteva essere una scintilla temporanea d’amore senza valore; e quanto spesso il Noi, che lui usava parlando del futuro, lo faceva fermare quando aveva intenzione di parlare della loro separazione! Lei sembrava felice, le sue parole fluivano abbondantemente ed erano abbellite da varie figure e pensieri delicati, mostrando che la sua anima, non più timorosa, vagava come se fosse abituata alle stravaganze della sua immaginazione. Lui la trovava naturale, indisciplinata, ma così sincera, così totalmente smemorata di sé, così fiduciosa, che lui non osava dire che ogni giorno si presentava più chiaramente come un pugnale nel suo cuore. Mille volte lui si maledisse per averla confusa e immaginando, ispirata come credeva d’essere, che le sue azioni e i sentimenti non erano stati dettati dai più alti impulsi. Ma giunse il tempo, quando fu obbligato a disilluderla, e la mano, che tolse i vincoli che il suo cuore ottimista s’era creato, allo stesso tempo squarciò il velo che aveva rivestito tutta la sua natura, e mostrò la sua vita così com’era… nuda e orribile.

Stavano nell’appartamento di Beatrice a Palazzo Malvezzi. Lei radiosa, bella e felice, con le sue braccia attorno a Castruccio, disse: «La luna tramonterà tardi domani notte e tu non devi avventurarti qui. Di sicuro per parecchie notti splenderà troppo chiaramente. Ma dimmi: sei diventato un cittadino di Ferrara? Dicono che tu sei il capo di una nobile città, ma vedo che si devono essere sbagliati, o la povera città deve barcollare in modo bizzarro, così priva di guida come la tua assenza l’ha resa. Com’è, mio unico amico? Non sei Antelminelli? Non dobbiamo andare a Lucca?»

Castruccio non poté sopportare le domande dei suoi occhi dolci ma seri. Si sciolse dall’abbraccio e prendendo la sua mano si baciarono in silenzio. «Che c’è, mio nobile signore?» ripeteva, «hai avuto brutte notizie? Sei di nuovo bandito? Non può essere, altrimenti il mio cuore mi avrebbe rivelato il segreto. Ma anche se fosse, non essere infelice: la tua Beatrice, con parole profetiche e i segni celesti che guidano la massa, ti condurrà ad una gloria e a un potere più grandi di quelli di prima. Amore mio gentile, hai parlato meno di te, delle tue speranze e desideri di quanto sperassi… non credere ch’io sia una donna stupida, legata ad un telaio, o che il mio cuore non batta forte alle notizie del tuo successo, o che non possa condividere con tutta la mia anima i tuoi progetti, e dirti come le stelle guardano i tuoi intenti. La mia mente è davvero senza fiato per lo sforzo e, unita a te, carissimo amore, credo d’aver trovato lo scopo per cui il cielo mi ha destinata. No, non distogliere lo sguardo da me, io non ti rimprovero, io so che trovando il tuo destino si compie il mio, che è legato al tuo, ed io sono felice. Ora parla… dimmi cosa ha turbato i tuoi pensieri.»

«Dolcissima Beatrice, non ho niente da dirti, anche se da molti giorni desideravo parlarti, perché in verità devo tornare a Lucca.»

Le impressioni immediate di Beatrice non potevano essere ingannate. Le parole di Castruccio erano troppo chiare. Lei lo guardò come se dovesse leggere il segreto nella sua anima… e lo lesse… gli occhi abbattuti, l’aria confusa e le parole che lui balbettò nello spiegarsi le dissero tutto. Il sangue rifluì sulla sua faccia, il collo, le mani, e poi come ritiratosi improvvisamente lasciò persino le sue pallide labbra. Smise di carezzarlo. Scherzosamente aveva legato il capo di Castruccio ai suoi capelli e impigliate le ciocche di seta con quelle di lui; sciolse le trecce con agitazione per liberarle da lui, poi, tremante, bianca, scossa da brividi, si sedette e non disse una parola. Castruccio la guardò con timore e provò a consolarla.

«Verrò a trovarti ancora, mia Beatrice, ancora una volta quando ci separeremo… la viscontessa… il buon vescovo … non puoi abbandonarli… non dubitare che ci incontreremo ancora.»

«Ci incontreremo ancora!» esclamò con una voce appassionata, «Mai!»

Il suo tono di voce, agitato e addolorato, entrò nell’anima di Castruccio. Le prese la mano, ed era senza vita. L’avrebbe baciata, ma lei si scostò freddamente e con tristezza. Le sue parole non erano quelle del suo cuore. Aveva esitato e si era fermato, ma adesso la compassione e il ricordo di ciò che lei era stata risvegliò i suoi poteri, e disse calorosamente e con una voce il cui tono sembrava regolato dall’amore: «Tu mi fraintendi, Beatrice, sì tu mi fraintendi. Io ti amo… come non potrei amare una creatura così vera, così gentile e così fiduciosa? Ci separeremo per un po’… è necessario. Non è quello di cui hai bisogno? Non è richiesto dalla parte che tu svolgi nel mondo e da ogni considerazione dell’onore e delicatezza? Credi che io possa mai dimenticarti? Il tuo cuore non ti dice che il tuo amore, le tue carezze, i tuoi sguardi dolci e le parole gentili hanno intessuto una rete che mi trattiene per sempre? Tu resterai qui e io dovrò andare, ma tra pochi soli e poche lune ci rivedremo di nuovo e la gioia di quell’istante ti farà dimenticare la nostra momentanea separazione.»

Com’erano fredde queste parole per il cuore ardente della profetessa! Lei che credeva che il Cielo avesse scelto Castruccio per unirlo a lei, che lo Spirito Santo si fosse rivelato per benedire la loro unione, affinché, con la forza complessa delle sue qualità virili e i suoi divini attributi, si realizzasse sulla terra una grande opera. Lei che vedeva tutto come un comando di Dio realizzato attraverso il suo speciale intervento. Invece, trovare questo disegno celeste spazzato via, abbattuto e distrutto! Era alla sorte di Castruccio, buona o cattiva, che lei si era legata per condividerne la gloria o sedarne il dolore, non per essere padrona dell’ora fugace, l’arcolaio di Ercole tessitore. Era il suo cuore, tutta la sua anima che aveva donato, la sua comprensione, i poteri profetici, tutto il piccolo universo che con il suo spirito acceso afferrava e possedeva, che aveva ceduto, pienamente e senza riserve. Ma, ahimè!, solo la parte meno importante era stata accettata e il resto gettato come polvere al vento. Come in questo momento desiderava essere un’anima dotata di ali perché la sua persona offerta disinteressatamente e solo come parte a tutto ciò su cui lui aveva un diritto inalienabile, e che ora era disprezzata, potesse svanire alla vista di chi disprezzava e non essere mai più vista! Le parole del suo amante portavano disperazione, non conforto. Lei scuoteva il capo in silenzio. Castruccio parlò ancora e ancora, ma molte parole sono pericolose là dove c’è molto da nascondere, e ogni sillaba da lui pronunciata svelava un nuovo stravolgimento della sua immaginazione e le mostrava sempre di più chiaramente la dura realtà. Era stupefatta e inghiottiva le parole ansiosamente, sebbene non rispondesse. Era impaziente quando lui taceva, perché desiderava conoscere il peggio, eppure non osava dirigere il corso delle spiegazioni con un singolo quesito: era come una madre, che legge la sentenza di morte del figlio sulla fronte del medico, pur convinta ciecamente di decifrare la malattia, e non vuole distruggere l’ultima speranza con una domanda. Nonostante questo ascoltava le assicurazioni di Castruccio, ogni parola era una nuova conferma della sua tristezza, pur non riponendo l’ultimo schiacciante sigillo sulla sua disperazione.

Alla fine un’alba grigia spuntò. Lei era taciturna, immobile e pallida. Non notò il suo stato, ma lui lo fece, e alzandosi in fretta esclamò: «Devo andare, o tu sei perduta. Addio, Beatrice!»

Si risvegliò subito, gli occhi scintillarono, il suo bel corpo si contorse addirittura per la forza del dolore… cominciò: «Non ancora, non ancora… una parola ancora! Tu…ami un’altra?»

Il suo tono era quello del comando, i suoi occhi lampeggianti esigevano la verità e sembrava come se con la loro forza eccessiva volessero abbattere la menzogna di colpo, qualora osasse proferirla: lui era calmo, mosso a replicare:

«Sì.»

«Il suo nome?»

«Eutanasia.»

«Basta. Ricorderò quel nome nelle mie preghiere. Adesso, va! Non provare a tornare, l’ingresso sarà chiuso. Non cercare di incontrarmi alla casa del vescovo. Io fuggirò da te come se tu fossi un basilisco, e se ti vedo, i tuoi occhi mi uccideranno. Rammenta queste sono le mie parole, sono vere quanto io sono tutta una menzogna. Mi ucciderà, ma giuro su tutte le mie speranze di non vederti mai più. Oh, mai, mai!»

Sprofondò di nuovo pallida ed esanime, premendo le mani sui suoi occhi, come per compiere rapidamente il suo voto. Castruccio non riuscì più a restare, fuggì come il demone poteva esser fuggito dalle amare sofferenze del Paradiso saccheggiato, la abbandonò inorridita, sopraffatta, annientata.

Lasciò Ferrara quel giorno. Era infelice: non guardava la strada, cercava soltanto la solitudine. Prima della notte si trovava nelle foreste selvagge degli Appennini e lì sostò. Era circondato dai pini che mormoravano sopra di lui, coperto da una notte cupa e inquieta, perché il vento rapido faceva scorrere la nuvolaglia per il cielo, e mugghiava e ululava; mentre i lampi di un temporale lontano, vaghi ma frequenti, mostravano il punto selvaggio su cui si fermò. Scese da cavallo e si abbandonò al dolore: si costrinse a riflettere, ch’egli era la causa della più forte sofferenza per una persona che lo amava, e le scuse presentate dolcemente prima della sua spiegazione, si spezzarono come una canna sotto la forza incontrollata della disperazione di Beatrice. Aveva sentito la sua storia, conosceva le delusioni e non avrebbe dovuto agire verso di lei come un suo simile che camminava sotto la sua stessa luce e vedeva gli oggetti vestiti degli stessi colori: un sole falso rendeva tutto ingannevole agli occhi di Beatrice… e lui lo sapeva.

Allora cosa avrebbe dovuto fare adesso? Tornare da Beatrice? Perché? Cosa avrebbe dovuto dire? Solo una parola: «Dimenticami!» Ed era già stata detta. I suoi primi voti, le sue più profonde e durature speranze erano legate ad Eutanasia: lei dipendeva solo da lui, non aveva padre, parenti, nessuno d’amare tranne lui. Gli aveva detto d’aver dato a lui la sua anima e supplicato di non disfarsi del dono. Beatrice non aveva mai chiesto la sua fede, la promessa, tutto il suo cuore, ma credeva di averli, e la perdita sostenuta da lei era irrecuperabile.

Lo avrebbe dimenticato presto: così ragionava. La mente di Beatrice era una di quelle scardinate come l’oceano dalla tempesta della passione; eppure, come l’oceano, i venti si calmano, calano e rapidamente torna il sorriso. Lei aveva molti amici, era amata, di più, adorata da tutti quelli che le stavano intorno: l’impossibilità totale di rivederlo gliel’avrebbe fatto dimenticare; le vecchie idee, le vecchie abitudini sarebbero tornate e con esse la sua felicità. Solo la sua interferenza poteva danneggiarla, ma lei, la bimba viziata del mondo, avrebbe sfogato il suo dolore su di un petto amico ed amato e poi avrebbe riso e giocato com’era suo costume.

Castruccio passò il giorno e la notte seguenti nelle foreste, finché la sua tempesta interiore non si placò, e i suoi pensieri, prima ingarbugliati dalla vanità e l’errore, adesso fluivano liberi, resistenti al pentimento, come l’erbaccia rampicante di un ruscello in secca s’estende libera e distinta al riapparire delle acque chiare. Non sentì più lo sguardo sferzante di Beatrice infestare nemmeno i suoi sogni; gli sembrò d’aver pagato la pena del rimorso e dell’errore; l’impressione dei suoi incanti e delle sue pene svanì. Castruccio provò una nuova tenerezza per Eutanasia, che aveva ingannato. Conscio d’aver disonorato le sue pure lezioni, provò un autentico dolore, ch’era in sé una virtù. Eppure non osava tornare da lei, incontrare il suo occhio chiaro, sereno, sentiva che la sua guancia sarebbe arrossita dalla vergogna sotto il suo sguardo innocente. Improvvisamente ricordò il suo impegno a visitare Pepi, il vecchio politico ghibellino che, senza onestà o umanità, smorzava il suo disonore e che, così tronfio, credeva d’avere i titoli per ricoprire gli altri con il veleno del sarcasmo e del disprezzo.

«Sì, vecchia volpe!» gridò, «Ti scoverò, e vedrò se c’è qualcosa nel tuo canile che valga la pena. Mi sa che uscirai allo scoperto, come se l’oro fosse sotto la polvere, o quel potere e saggezza nella tua pelle di pecora e nelle tue rughe; ma credimi, mio buon amico, noi italiani, qualunque base abbia la nostra politica, non siamo così mal ridotti da nutrirci in una mangiatoia per avere con te una guida.»

Il ricordo di una cosa così bassa e spregevole come Benedetto di Cremona, liberò Castruccio da un carico d’insoddisfazione e rimorso. Paragonandosi a Pepi, non direttamente ma grazie ad un infinito disprezzo, sentì di poter di nuovo alzare lo sguardo senza turbamento. Questo non andava bene, molto meglio era il rossore dell’umiliazione che lo ricoprì paragonando i suoi sporchi propositi e il cuore randagio a qualcosa d’alto e puro, del peso ignobile dell’importanza di sé nel confrontarsi con un campione così guasto d’umanità come Pepi. Così, come siamo soliti, quando torniamo dalla solitudine dell’esame di coscienza alla compagnia dei peccatori, Castruccio allacciò ancora le trecce sciolte dei suoi pensieri franchi e sinceri ai milioni di legami annodati dei costumi del mondo e delle falsità apparentemente devote e, lasciando i boschi degli Appennini, avendo ottenuto qualcosa di più sensato nella conoscenza di sé, migliore di poco nella generosa virtù e nella guida delle sue passioni, montò a cavallo e mosse verso Cremona.



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