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“Valperga”– Mary Shelley XX

Creato il 26 gennaio 2012 da Marvigar4

marzocco donatello

Mary Shelley (1797-1851)

VALPERGA

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La vita e le avventure di Castruccio, Principe di Lucca

Traduzione integrale di Marco Vignolo Gargini dall’originale in inglese Valperga; or the Life and Adventures of Castruccio, Prince of Lucca

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Capitolo 20

Galeazzo Visconti a Firenze. Castruccio e Eutanasia s’incontrano a Valperga: dubbi e riserve.

Appena restaurato il marchese d’Este al governo di Ferrara, Galeazzo Visconti tornò a Milano e lì, dopo un breve intervallo, fece un viaggio a Firenze. Il motivo apparente di questa visita fu d’accompagnare un giovane fratello, fidanzato da tempo con una donna fiorentina e quindi ormai pronto per la celebrazione delle nozze. In realtà aveva altre intenzioni segrete: aveva sentito del fidanzamento di Castruccio con la contessa di Valperga, ed essendo questo nome famoso per appartenere ad una famiglia guelfa, ritenne d’aver ben chiara la causa della pace conclusa da Castruccio con Firenze, e decise d’accertare i motivi e i piani del suo amico. Se la contessa era realmente quella guelfa gelosa che la fama aveva accertato, lui era deciso a non risparmiare né l’artificio né la menzogna per disturbare la loro unione.

La sposa promessa del giovane Azzo Visconti era parente stretta d’Eutanasia. La famiglia Adimari alla quale apparteneva, seppure d’origine guelfa, s’era unita alla fazione dei Bianchi, e con loro era stata espulsa, ad eccezione della parte che aderì ai Neri, di cui il padre d’Eutanasia era il capo. Ma i figli di molti esiliati restarono con quei parenti ch’erano rimasti a Firenze, e Fiammetta dei Adimari, pur essendo figlia di un esule della fazione dei Bianchi, continuò a risiedere a Firenze sotto la protezione d’una zia. Suo padre era diventato celebre nelle guerre in Lombardia, e fu là che l’unione tra lei e and Azzo Visconti era stata progettata.

Quando il giovane venne con Galeazzo per celebrare le nozze, Fiammetta si recò al palazzo d’Eutanasia, poiché dalla sua dimora, come capo della famiglia, la sposa avrebbe dovuto essere prelevata quando il marito fosse venuto a chiederla. Galeazzo valutò le occasioni frequenti d’incontro che le circostanze consentivano per dare avvio al disegno che aveva formato sulla mente d’Eutanasia.

Questi visitatori illustri furono ricevuti con onore dai magistrati di Firenze: un palazzo fu assegnato come loro dimora e molti nobili vennero incaricati di mostrare loro tutto ciò che destava curiosità in città. Firenze allora era una delle più belle città d’Italia, anche se certamente la sua bellezza deve esser stata di molto inferiore a quella che oggi vanta. I suoi ornamenti principali erano i palazzi di pietra massiccia, sormontati da alte torri, ognuno in grado di resistere ad un assedio: alcuni esempi di quest’architettura, il Palazzo Strozzi e Palazzo Pitti, adesso residenza ducale, esistono ancora. Sono grandi ed imponenti, ma l’aria tetra che gettano sulle strade era più adatta a quei tempi bellicosi e virili, che non al gusto dell’età presente, in cui il cielo italiano splende su pochi che devono difendere la propria terra, sebbene la robustezza di questi palazzi sia quella di una fortezza inespugnabile. La cattedrale, o Duomo, peraltro orgoglio di Firenze, fu iniziata proprio allora; ma l’estensione della sua area e la solidità delle sue fondamenta giustificò l’alto tono del decreto pubblico per la sua costruzione, che dichiarava che avrebbe sorpassato per bellezza ogni altro edificio allora esistente in Italia e sarebbe stata la meraviglia del mondo moderno. Tra le altre curiosità, Galeazzo fu portato a visitare le tane dei numerosi leoni e leonesse mantenute a spese della repubblica: c’erano circa un centinaio di questi animali, che vivevano lussuosamente, mantenuti dalla superstizione dei fiorentini, convinti che il loro benessere rappresentasse quello del loro stato.

Nelle loro visite a queste meraviglie di Firenze i Visconti erano accompagnati da molti giovani nobili d’entrambi i sessi e Eutanasia e Fiammetta erano tra quelli. Galeazzo, dal momento del suo arrivo, aveva diretto tutta la sua attenzione a chiarire il carattere d’Eutanasia, e da tutto ciò che aveva visto e sentito si convinse che lei era la causa delle titubanze di Castruccio, e che la loro unione andava impedita, altrimenti non si sarebbe mai potuto procedere contro i guelfi con l’ostilità energica che era necessaria per la loro repressione. All’inizio Galeazzo si tenne lontano da Eutanasia, non era disposto ad entrare in conversazione con lei finché, scoperte le corde segrete della sua mente, non avrebbe potuto giocare su di loro magistralmente.

Visitarono inoltre la tomba della famiglia Soldanieri. Questo vasto sepolcro fu costruito sottoterra e riceveva una piccola luce da una grata che dava su uno dei chiostri della chiesa: era uso di questa famiglia deporre i loro morti in statue d’ottone, armati apparentemente da capo a piedi, e queste statue erano montate su cavalli di bronzo, cosicché la popolazione del cimitero sembrava un gruppo di cavalieri armati pronto all’azione. La tomba era illuminata dalla luce di numerose torce, c’era una cupa solennità nell’immagine di questo assieme di cavalli bronzei, ciascuno con la statua d’ottone che imitava la forma vivente e l’aspetto della salma là inumata, che poteva incutere soggezione allo spettatore. Ammutolirono tutti di fronte a questa vista e i più giovani del gruppo s’affrettarono a lasciare un luogo che spegneva tutta la loro ilarità. Le luci svanirono con loro e per un po’ Eutanasia restò dietro quasi al buio, poiché l’unica torcia rimasta non poteva far altro che rendere visibile l’oscurità, e il raggio di sole, che aveva smarrito la sua direzione nella casa dei morti, rischiarò quei pochi elmi dei cavalieri, i quali, pur con gli occhi e il capo coperti, non videro né s’accorsero del raggio. Un tale spettacolo doveva aver creato una malinconia generale: tutto era silenzio… Eutanasia, apparentemente circondata da un’armata a cavallo, con il tramonto che aveva dato vita alle figure, sentì tuttavia su di sé il silenzio di morte. Il suo passo e il suo respiro erano intrusi rumorosi nella grotta: i suoi muti compagni non riposavano in un sonno incantato… erano morti… la decomposizione era all’opera nelle loro strutture, e il gelo della mortalità che esalava dall’ottone faceva piombare la volta nel freddo e nel silenzio.

Eutanasia lasciò la tomba a passi lenti e, ai piedi delle scale con cui sarebbe risalita verso la luce del giorno, Galeazzo l’aspettava per guidarla. I suoi compagni erano già molto lontani, le loro voci ormai non si sentivano più e, quando attraversò i chiostri, sembrò un po’ incline a rompere il silenzio tra lei e il suo compagno. Alla fine Galeazzo parlò e, dopo poche banali considerazioni sul luogo che avevano visitato, disse:

«Madonna Eutanasia, ho cercato a lungo l’opportunità che mi è offerta adesso di presentarmi meglio al vostro cospetto. Come amico di Castruccio, spero d’essere già raccomandato a una parte della vostra gentilezza e stima.»

Eutanasia gli rispose con cortesia e Galeazzo continuò: «Essendo a capo dei ghibellini lombardi, non sorprende che ci sia un’intimità tra Castruccio e me… dato che i nostri interessi sono gli stessi e, sperando con la sua alleanza di estendere il mio dominio nel nord d’Italia, confido che il mio nome come quello del suo amico e alleato lo aiuterà nei suoi futuri piani, persino in questa stessa città.»

«I suoi piani in questa città!» ripeté Eutanasia.

«Sì, lui nutre davvero la speranza, non so se praticabile o meno, di rovesciare questo covo di repubblicani e diventare principe o vicario imperiale della Toscana. Ma perché parlo dei suoi piani a voi, Madonna, che li conoscete meglio di me? Oltretutto, qui potrebbe essere pericoloso parlare anche sottovoce di queste cose. Chissà se un guelfo non possa udire per caso?»

«In effetti, mio signore», rispose Eutanasia con un vago sorriso, «voi indovinate come un astrologo, visto che io vi ho davvero udito per caso e sono un guelfo.»

«Un guelfo!» ripeté Galeazzo con uno stupore ben simulato. «Non siete un’Adimari? Madonna Eutanasia dei Adimari?»

«Sono anche contessa di Valperga e quel nome forse scioglierà l’enigma. Sì, mio signore, sono un guelfo e una fiorentina, quindi non può farmi piacere sentire che Castruccio ha in mente certi piani sulla mia città natale. Anche se credo di conoscerlo bene e, se non l’avete incontrato sin da quando ci siamo separati, sarei indotta a credere che la vostra informazione si basa su qualche errore. Ma tant’è… ditemi, se non siete legato al segreto, cosa sapete dei suoi piani.»

«Madonna, Castruccio mi onora con il titolo di amico suo e la segretezza e la fiducia sono i vincoli dell’amicizia. Quando ho parlato così liberamente dei suoi progetti credevo di parlare a qualcuno che li conosceva meglio di me: se ho tradito inavvertitamente le intenzioni segrete di Antelminelli, debbo profondamente rammaricarmi. E voi cortesemente perdonate la mia colpa, non dando peso alle mie sciocche parole.»

Eutanasia rimase in silenzio, la sua mente era troppo turbata per sapere subito che fare. Aveva creduto nelle promesse di pace di Castruccio e le basi di tutta la sua vita sembravano crollare come la sua fede le apparve tinta di falsità. Sapeva che lui era ambizioso e lì per lì pensò che Galeazzo aveva alluso solo al suo romantico disegno di futura unione tra gli stati italiani, che anche lei condivideva, e che magari aveva molto frainteso i piani di guerra e di conquista. Con questa convinzione riprese il dialogo e disse al suo interlocutore che doveva aver equivocato l’intenzione di Castruccio, che era il desiderio di un capo e di tutti i patrioti italiani di unire le fazioni che avevano causato tanto spargimento di sangue e miseria al proprio paese, ma che la guerra non era la misura che lui intendeva adottare per fissare una tregua pacifica.

Adesso fu il turno di Galeazzo di restare in silenzio, Guardava giù, rispondeva con monosillabi, e sembrava voler far credere ad Eutanasia che poteva aver compreso bene i piani di Castruccio, pur non essendo convinto della loro natura pacifica. Eutanasia continuò a parlare, quasi per raccogliere la fede in ciò che desiderava dalle proprie parole. Galeazzo restò zitto e replicò con gli occhi bassi alle parole e agli sguardi supplichevoli. Infine, dopo una pausa, sembrava sforzarsi d’uscire dall’imbarazzo del suo contegno e, rialzando lo sguardo, disse: «Madonna, vi supplico di non far più menzione di questo argomento. Se pensassi che le vostre congetture siano giuste, ve lo direi, ma non lo penso: ogni parola che voi dite mi convince che Antelminelli vi nasconde i suoi veri piani, e, dal momento che mi ha scelto come depositario del suo segreto, tradirei l’amicizia e l’onore se lo svelassi. Voi lo vedrete presto e allora potrete risolvere il mistero, nel frattempo, vi prego di accontentarvi della mia garanzia, che Castruccio non ha in mente niente d’indegno del suo nome e della sua gloria.»

Queste poche parole distrussero la pace d’Eutanasia. S’intristì e s’inquietò, il suo aspetto, rivelando l’intimo del suo cuore, non mostrava più quella calma e delicatezza che erano le sue caratteristiche precedenti. La luminosità degli occhi non si spense ma brillò ad intervalli, e con questo stato d’animo si unì molto malvolentieri ai festeggiamenti della cerimonia nuziale. Galeazzo la guardava con attenzione, avvertì l’effetto che le sue parole avevano avuto su di lei e decise di far seguire alle parole un comportamento che non le avrebbe lasciato dubbi circa la verità delle sue affermazioni. Invece di evitare Eutanasia, ora cercava la sua compagnia in ogni occasione e spesso le parlava di Castruccio, che lui menzionava sempre con lodi eccessive, contemporaneamente faceva in modo di combinare parole, accenni, o sguardi che sembravano affermare che Castruccio aveva altre intenzioni ed escogitava schemi diversi da quelli a lei noti. Tutto questo fu fatto con tale leggerezza, l’argomento toccato di sfuggita e poi accantonato, che lei, ad ascoltarlo, sentì venir meno il minimo indizio di verità e si sentì come persa in un deserto inesplorato.

I preparativi per le nozze furono sontuosi. Ogni dì si riunivano in tanti al palazzo d’Eutanasia e, al tramonto, i canti e le danze iniziavano per terminare a tarda notte. Alla fine arrivò il giorno in cui Fiammetta doveva essere condotta in chiesa e poi al palazzo dove risiedeva il marito. La mattina presto lei e le sue nobili amiche si prepararono per la cerimonia, vestendosi nei modi più splendidi. Ori e gioielli luccicavano sui loro abiti e i capelli scuri intrecciati con perle scendevano sulle spalle. Solo le donne sposate erano ammesse alla processione e alle feste nuziali, ed Eutanasia, in qualità di capo e sovrano indipendente, fu esentata da questa regola.

Questo giorno, all’apparenza così allegro e ricco di manifestazioni di gioia, Eutanasia lo passò più tristemente che se l’avesse trascorso in silenzio e da sola, dove non sarebbe stata obbligata a nascondere il dolore che provava. La sera Galeazzo la informò che un corriere, venuto da Ferrara, gli aveva portato una lettera di Castruccio, e apparve in difficoltà ad accogliere i suoi inviti a mostrargliela. La lettera conteneva delle semplici scuse per il suo ritardo a Ferrara e accennava al suo rapido ritorno: «Eppure», aggiungeva, «non v’incontrerò nella tana della Leonessa [1], perché voi di certo ci sarete andata prima del mio ritorno. Se non fosse per una perla che la belva protegge per me, non sarei mai entrato nel suo covo se non per incatenarla. Ma basta. Voi conoscete i miei piani e, se la serpe e l’aquila si uniscono in un accordo convinto, di sicuro il suo tallone e la sua testa possono ricevere una ferita mortale.»

Il significato di queste parole era fin troppo chiaro: la serpe era il cimiero dei Visconti, l’aquila quello degli Antelminelli, e la loro unione avveniva per distruggere la bella Firenze, la sua città natale. Eutanasia ebbe una fitta al cuore. Restituì la lettera in silenzio e sembrò come un giglio piegato dal vento che si china paziente e resiste alla tempesta. Ricordò la sua promessa di non unirsi al nemico di Firenze e decise d’attenersi ad essa. Il soggiorno di queste poche settimane nella sua città nativa l’aveva resa cara ai suoi abitanti. Lei rinnovò le sue antiche amicizie. Era di nuovo tra loro, una di loro… e poteva lei unirsi ad un uomo che avrebbe portato la distruzione sui suoi migliori amici? Lei temeva il rimprovero della voce della coscienza e nella sua mente ben ordinata la paura dell’autocondanna sarebbe stata sufficiente per dissuaderla dall’incorrere in tale pena: ma qui si frapponevano tutti i suoi sentimenti del suo cuore, le amicizie giovanili, le relazioni quotidiane e la gentilezza reciproca. L’amica del cuore della sua gioventù ora era moglie del capo di una delle fazioni di Firenze, che sarebbe stato tra i primi ad imbattersi nelle armi dei soldati di Castruccio, e anche il più caro amico di suo padre avrebbe combattuto contro di loro. Le nozze con lui, condizionate ad essere coinvolte nelle sue vittorie sui fiorentini e nel giubilo per la morte di chi lei amava, si sarebbero alleate con il tormento e l’avrebbero legata per la vita, anima e corpo, con i morsi continui di una tortura ideata da un tiranno. Non poteva andare: prese una decisione e l’energia della sua anima energica la abilitava a completare il sacrificio.

Il giorno appresso Galeazzo e suo fratello tornarono con Fiammetta a Milano. Salutarono Eutanasia con cortesia e le ultime parole di Galeazzo furono: «Dimenticate, Madonna, tutto ciò che posso avervi detto per affliggervi: che Castruccio non pensi che gli abbia reso un cattivo servizio a vostro favore, e siate convinta che il mio dispiacere sarà molto grande se scoprite che io ho suscitato delle idee erronee circa i suoi progetti e i suoi auspici.»

Poco dopo la loro partenza giunse notizia che Castruccio sarebbe tornato a Firenze di lì a due giorni. Eutanasia l’ascoltò con apprensione, anche se un attimo prima aveva desiderato ardentemente di vederlo per poter chiarire tutti i sospetti e fare in modo che la certezza del bene o del male decidesse il suo fato. Adesso temeva di veder morire tutte insieme le sue speranze, ed ebbe la sensazione che guadagnare un giorno o poche ore di dubbio e attesa fosse come guadagnare un bel po’ di vita: per assicurarsi questo prese subito la decisione di lasciare Firenze e tornare al suo castello prima dell’arrivo del suo pretendente. Di conseguenza, assistita solo dai suoi domestici, dopo essersi congedata rapidamente con gli amici, partì.

Come fu diverso questo viaggio da quello con Castruccio solo pochi mesi prima! Allora lei era felice e fiduciosa, adesso era pervasa da dubbi angosciosi e da paure mai sopite. Aveva deciso che non sarebbe mai stata sua, nel caso l’ambizione di Castruccio non potesse appagarsi se non con la distruzione della libertà di Firenze. Questa decisione però non la rendeva serena, sulle sue speranze non si poneva il sigillo della vita o della morte: cercava di aspettarsi il bene, mentre il timore del male le arrossiva le guance e riempiva i suoi occhi di lacrime non versate. L’anno era al suo declino, i fiori del mirto appassivano nelle montagne e i castagneti si tingevano di marrone e giallo. I contadini lavoravano nelle vigne e le pergole che avevano formato, e le dolci verdi ombre in cui pendevano i grappoli viola, erano adesso abbattute, danneggiate e calpestate: le rondini si ritiravano e le mattine e i pomeriggi freschi annunciavano il prossimo avvento del bianco inverno. Il lento scirocco asciugava il cielo con le nubi e incombeva sugli animi, rendendoli grigi e pesanti come lui.

Eutanasia vedeva tutto ciò con l’occhio vigile del dolore, che riporta ogni cosa a sé e forma presagi per la propria immortalità dalle combinazioni più astratte dei libri sibillini. Le piogge autunnali erano vicine e le giornate s’erano fatte più corte di quelle dolci che seguono l’estate calda italiana, quando il cacciatore trova l’arco danneggiato dalla pesante rugiada notturna, ma il sole di mezzogiorno brilla con un calore tiepido e tramonta lasciando le palpebre abbattute della notte gonfie di lacrime per il suo commiato, quando sentiamo che l’estate è finita e sta venendo l’inverno, ma la vista fresca dei sempreverdi, lo stabile cipresso, l’olivo carico, e lo scuro leccio, ci dicono che la natura non è amica soltanto del bel tempo. La nostra triste viaggiatrice paragonò l’arrivo rapido dell’inverno, di cui lei adesso era testimone, con il lungo ritardo dell’anno precedente, e sospirò.

Arrivò al castello il primo ottobre e in quel momento il temporale, che per molti giorni aveva raccolto dal sud la forza delle piogge e dei tuoni autunnali, scoppiò sulla sua testa. I fulmini abbaglianti sfrecciarono nel cielo formando catene biforcute e, senza pause o intervalli, sommersero di luce il cielo di mezzanotte che le mostrava, mentre stava alla finestra del suo appartamento, i colori degli alberi e persino dei pochi fiori sopravvissuti a testimoniare l’arrivo del temporale. Il tuono esplose in tremendi e continui rimbombi, la pioggia risvegliò in un istante le sorgenti disseccate dei torrenti montani, malgrado il loro scroscio non si avvertisse nel tumulto: perché, se il tuono cessava, gli echi prolungavano il suono e tutta la natura sembrò in un travaglio agitato. Eutanasia guardava l’andamento della tempesta, le sue orecchie, otturate dal rumore quasi assordante, non potevano distinguere i suoni che in altri momenti sarebbero stati uditi, degli zoccoli dei cavalli che salivano la rocca di Valperga, o del clangore della porta del castello, o del ponte levatoio abbassato. Il primo suono, che non fosse quello del temporale, a visitare i suoi sensi fu il suo nome pronunciato in un modo a lei noto e con una voce dolce:

«Eutanasia!»

«Castruccio? tu qui?»

«Sì, sono io, Castruccio… anche se sono pronto ad andarmene se tu me lo ordini. Ho seguito i tuoi passi… ma perché sei qui? Perché non sei rimasta a Firenze?»

Per quasi due anni Eutanasia aveva avuto a cuore e custodito il più intenso amore per Castruccio. L’unione era stata rinviata, ma il sentimento fluiva come un fiume chiaro e profondo, o piuttosto come un lago limpido che nella sua calma riflette in modo più vivo e durevole le rocce che incombono eternamente sopra, più dell’acqua scatenata dalla tempesta. Erano stati separati per circa tre mesi e, ora che lo vedeva e lo sentiva di nuovo, il suo primo impulso fu, stretta nelle sue braccia, di suggellare con una carezza un perdono gioioso. Ma si controllò. Confusa dalla sua improvvisa apparizione e sconvolta da molte sensazioni che l’avevano oppressa, pianse: pianse a lungo e in silenzio, mentre il suo amato le stava vicino senza parlare, guardandola con il bagliore dei fulmini incessanti, che lampeggiavano in rapida successione e rischiaravano a giorno la camera.

Dopo una lunga pausa, lui parlò con meno passione: «Perché non sei rimasta a Firenze?»

Lei lo guardò e la sua voce tremava a rispondere: «Ora non posso dirtelo, sono confusa, e le parole si rifiutano d’uscire: il mio cuore è pieno e sono molto infelice… domani ti spiegherò tutto.»

«Ora o mai… Eutanasia, non mi devi prendere in giro… sei mia?»

«Se tu sei tuo.»

«Che vuol dire?» gridò Castruccio balzando. «Allora di cosa mi accusi? Giochi agli indovinelli: ti supplico, fammi un discorso chiaro e rispondimi con franchezza. Io ti amo, ti ho amato a lungo e tu sola hai così ritardato l’unione che solo Dio sa quanto desidero. Adesso l’hai messa in crisi… Sarai mia?»

È difficile rispondere al linguaggio della passione con quello della ragione: inoltre Eutanasia non era in sé senza passione e nel suo cuore c’era un sentimento ch’era più saldamente a favore di Castruccio di tutti i suoi argomenti. Si sentì calma, anche se ce l’aveva con sé per questo, e rimase a lungo silenziosa, cercando di controllarsi. Alla fine rispose:

«Com’è che fai pressione perché ti risponda adesso? Piuttosto, consulta il tuo cuore e lui ti risponderà per me. Io conosco bene il mio. Ti amo, ma ho altri doveri oltre a quelli verso di te, e questi devono essere rispettati. L’insegnamento di mio padre non va dimenticato alla prima occasione che viene per metterlo in pratica, né debbo venir meno a quel senso del dovere che finora è stata la regola della mia vita. Sono fiorentina, Firenze è il mio paese natale e io non lo tradirò.»

«Bene… e qual è la conclusione?»

«Non sei un nemico di Firenze? Non stai preparando una guerra e delle catene contro il suo stato felice e libero? Tu ti volti con impazienza… domani ti vedrò ancora e avrai riflettuto sulle mie parole: il mio destino dipende dalla tua sincera e franca risposta alla mia domanda. Ora lasciami. Sono esausta e stanotte non potrei sopportare lo struggimento in cui tu mi metteresti. Domani ti vedrò. Addio. Il temporale è ormai passato e la pioggia è quasi cessata. Buonanotte!»

«Tu mi lasci così. E così mi ripaghi con ansia, gelosia e disperazione. Buonanotte, Eutanasia. Tu mi sacrifichi ad una bolla, all’ombra di una bolla… e sia così! Gran Dio! Che tu debba essere influenzata da una tale chimera! Bene, tu decidi e io aspetterò la tua ricompensa con la pazienza che ho a disposizione. Di nuovo, buonanotte.»

Lui la lasciò nel dubbio, nella tensione e nel dolore. Ma la sua mente superiore la sorreggeva in tutto e, avendo disegnato per sé la linea del dovere che credeva di dover seguire, l’entusiasmo naturale del suo carattere l’aiutò a lottare con la tristezza che la sua sensibilità le infliggeva. Lo stesso Castruccio le venne in aiuto e gli eventi, che seguirono subito dopo quella notte, le servirono a rafforzare la sua decisione, e se non facilitavano di più il sacrificio rendevano la sua necessità più palpabile.



[1] N.d.a. Firenze.



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