Magazine Storia e Filosofia

“Valperga”– Mary Shelley XXV

Creato il 01 marzo 2012 da Marvigar4

lorenzetti

Mary Shelley (1797-1851)

La vita e le avventure di Castruccio, Principe di Lucca

Traduzione integrale di Marco Vignolo Gargini dall’originale in inglese Valperga; or the Life and Adventures of Castruccio, Prince of Lucca

Presa di Valperga.

Dopo la partenza di Tripalda, Eutanasia rimase a lungo sui merli del suo castello, osservando gli uomini che stavano riparando ed innalzando delle strutture per la sua difesa. Di tanto in tanto sentiva un mormorio vicino, un rumore sottile, e poi una voce che diceva: «Sì, basta così! Quest’elmetto è ancora troppo grande, devo trovare un modo per ridurlo.»

Alzando lo sguardo vide l’albino in una finestrella di una delle torri in progetto che sembrava ricostruire e riparare armi. «Siamo così a corto d’uomini», disse, «da obbligarti a modificare l’armatura, mio povero Bindo?»

«Non l’armatura, ma un soldato, signora. Domani impugno la mia spada per difendervi.»

«Tu, una spada! No, è impossibile. Non ti devi esporre al pericolo così inutilmente.»

«Contessa, abbiate fiducia: ho saputo dalle stelle che domani per noi è un giorno fortunato. Ho visitato la fontana e, spruzzando le sue acque tre volto intorno, ho invocato l’aiuto dei suoi santi protettori: domani sarà un giorno fortunato per noi e io sarò tra i vostri difensori.»

Parlava seriamente e le sensazioni d’Eutanasia erano così tanto acute che, al posto dei sorrisi di un tempo, adesso riusciva a trattenere le lacrime con difficoltà. «Se mi vuoi difendere», rispose, «allora aspetta vicino a me, non voglio che tu rischi la vita per niente.»

«Perché, Madonna,» disse Bindo, «vi preoccupate di più della mia vita che di quelle dei valorosi che domani moriranno per voi? Ce la faremo, ma la morte sarà tra noi e domani molti bambini perderanno i padri e molte donne i mariti che si battono per questo mucchio di pietre insensibili alla sconfitta o al trionfo. Sarò con loro, non temete, San Martino ha deciso così.»

Ci sono momenti nella nostra vita in cui la parola occasionale di un pazzo o di un imbecille basta per causare la nostra infelicità, e quello era lo stato attuale della mente d’Eutanasia. Si rifugiò in fretta nella solitudine e dentro di sé cercò di dominare l’effetto della ferita aperta nella sua coscienza che l’albino le aveva inflitto. Diffidiamo di noi stessi, dipendiamo così poco dalla nostra umana ragione che, alla vigilia d’ogni azione, persino la più encomiabile, la ragione assume talvolta un altro aspetto e ciò che appare intenzionalmente egoistico, o nella migliore delle ipotesi un mostro distorto dell’immaginazione, quando all’inizio lo contempliamo sembra lo sforzo più alto della virtù umana. Resistere alle violazioni di Castruccio e salvaguardare la sua indipendenza era parso ad Eutanasia il suo primo dovere. Anche adesso si soffermava e pensava che gli spettacoli che questo mondo presenta erano comprati al caro prezzo di una goccia di sangue umano. Aveva dubbi sulla purezza dei suoi motivi, dubitava della giustificazione che ancora era chiamata a dare al tribunale della sua coscienza e in seguito davanti a quello di Dio. Si fermò e rabbrividì di fronte all’abisso del suo scopo, come un grosso frammento di roccia in bilico sull’orlo di un precipizio e che poi cade nel buio che lo accoglie.

«La terra è un mare immenso», esclamò, «e noi bolle passeggere. È un cielo variabile e noi i suoi più piccoli e leggeri vapori trasportati. Tutto cambia, tutto passa… niente è stabile, niente è lo stesso per un istante. Ma, se è così, oh mio Dio! Se nell’Eternità tutti gli anni che l’uomo ha contato su questa terra verde non sono che un punto e noi nient’altro che il più piccolo granello nell’immensità, perché il momento presente rappresenta tutto per noi? Perché le nostri menti, che afferrano ogni cosa, ci debbono far sentire come se l’eternità e lo spazio incommensurabile fossero aggrovigliati in una sensazione immediata? Guardiamo i tempi passati e li ammassiamo insieme, dicendo che in tale anno ci sono stati tanti e tali eventi, che certe guerre hanno occupato quell’anno e che l’anno dopo c’è stata la pace. Eppure ogni anno è stato diviso in settimane, giorni, minuti e secondi lenti nel loro scorrere, in cui c’erano menti umane che li segnavano e li distinguevano, come ora. Un piccolo movimento del tempo lo riteniamo eterno, eppure l’età hanno un passato e non sono che ore, il momento presente sarà presto solo un ricordo, un atomo nascosto nella notte del tempo andato. Da qui a cento anni i giovani e i vecchi non saranno altro che polvere e io non sentirò più la spirale che è nel mio cuore, o le lotte dentro gli inestricabili vincoli del destino. Io so questo, però questo momento, questo punto del tempo, in cui il sole fa solo una rotazione tra molti milioni di quelle che ha fatto e che farà, questo momento per me è tutto. Molto volentieri, anzi, più seriamente, prego davvero di dover morire questa notte e che tutta la contesa cessi con i battiti del mio cuore. E se vivo, devo sottomettermi? Tutto quello che valiamo è solo un’ombra? La tirannia, la crudeltà, la libertà e la virtù sono solo nomi? O non sono piuttosto la miseria della gioia che rende i nostri cuori la dimora delle tempeste o come un’isola ridente, fiorita? Oh! Non mi rivolgerò più al mio scopo, o vacillerò là dove la necessità dovrebbe ispirarmi con coraggio. Un cuore solo è troppo debole per contenere una contesa così profonda. »

Mentre i suoi pensieri melanconici vagavano così e le sembrava di spaziare con l’idea l’intero universo, senza trovare riposo, le fu annunciato che Bondelmonti e i suoi soldati erano arrivati e che il capo desiderava vederla. C’era qualcosa nel nome di Bondelmonti che colpiva una corda benevola nel suo cuore. Era stato amico di suo padre, era il suo tutore e, anche se talvolta lei andava contro i suoi consigli, tuttavia si sentiva molto felice quando le loro opinioni coincidevano. La sua presenza annunciata sembrò così cancellare metà della preoccupazione. Eutanasia raccolse tutto il suo coraggio, era molto, e scese perfino sorridente nel salone: le ansie e i dispiaceri erano al guinzaglio come i cani dei cacciatori, non abbaiavano né latravano, ma erano in silenzio. Bondelmonti fu colpito dalla serenità del suo aspetto e il suo volto passò dal dubbio espresso prima a un discorso sincero e galante.

«Madonna», disse, «l’opera in cui siamo impegnati è difficile, Castruccio tiene in scacco il nostro esercito, sorveglia i passi e i cinquanta uomini che vi porto è tutto ciò che resta dei trecento che hanno potuto attraversare il Serchio. Abbiate animo in ogni caso: le mura del vostro castello sono forti e resisteranno a tutte le pietre che i loro battifolle [1] cercheranno di colpire, se ovviamente riusciranno a scalare la rocca, che noi renderemo il più possibile impraticabile. Ma questo non è un lavoro adatto a voi, dolce contessa. Andate a riposare. Io vorrei davvero potervi mettere al riparo a Firenze fuori da ogni pericolo, dove non potrete sentire il rumore delle armi che domani risuonerà nel vostro castello. Ma so che avete coraggio e ora vedo tutta la forza serena di vostro padre brillare nei vostri occhi chiari. Siete una brava ragazza, Eutanasia, brava e saggia, e state certa che ogni goccia di sangue che scalda il mio cuore, ogni facoltà del mio corpo e della mia mente è devota alla vostra causa.»

Eutanasia lo ringraziò con le calde parole che il suo cuore sensibile le dettava e lui proseguì: «Avrei molto da dirvi, molti incoraggiamenti dei vostri amici e messaggi di lode e affetto, ma il mio tempo è breve: allora abbiate fede in una parola, che tutti i vostri amici fiorentini vi amano, v’approvano e v’ammirano, e se perderete, cosa che questa buona spada non permetterà, avremo almeno questa consolazione, che la nostra Eutanasia a lungo assente riapparirà tra noi. Ma adesso occupiamoci della guerra. Ho incaricato il vostro siniscalco di fare l’inventario del cibo che avete nel castello e di sapere quali possibilità ci sono di incrementare le vostre scorte, mentre i vostri primi ufficiali mi mostreranno le vostre difese, che io organizzerò con loro in vista della battaglia di domani.»

Eutanasia tuttavia aveva assunto per sé questo compito: era troppo agitata per non trovare alcun sollievo nel mostrare la calma che aveva mantenuto con Bondelmonti, e nello sforzo di spiegare e puntualizzare i vari schemi di difesa che aveva adottato, insieme a quelli forniti dalla natura della sua abitazione. Il castello, come detto in precedenza, era costruito su di una piattaforma sporgente di un monte ripido: le mura dell’edificio erano spesse e robuste e una sola piccola parte scostata era un muro più basso, eretto con torri e merlature ad angolo, che insieme difendevano l’edificio principale e lo riparavano dall’assedio, potendo lanciare dai finestrini pietre e frecce sugli assalitori e senza pericolo di rappresaglia. Davanti al portone del castello c’era un appezzamento, di circa quindici passi, con pochi alberi di sughero e lecci, circondato da un barbacane o muro basso sull’orlo del precipizio che, alto, spoglio ed inaccessibile, sovrastava la pianura in basso. Tra il muro e il barbacane c’era una strada attorno al castello che finiva con dei cancelli massicci e una saracinesca, ed era là che, attraversando il baratro che isolava il castello per mezzo di un ponte levatoio, si trovava il sentiero che portava alla pianura. Questa strada era difesa da varie costruzioni, palizzate, torri di legno per proteggere gli arcieri, e per di più dalla stessa natura, poiché la rocca e gli alberi erano tutti dei ripari da dove i difensori potevano impedire senza danno l’avanzata del nemico.

«Tutto questo è eccellente», disse Bondelmonti, «è impossibile che tutte le armate d’Italia possano forzare questo passaggio, anche se fosse difeso da un pugno di uomini. Ma, Madonna, non c’è un’altra entrata nel vostro castello? Non c’è una posterna sopra o sotto il monte, il cui segreto sia noto ai nemici tanto da attaccarvi alla sprovvista?»

«Nessuna. L’unica posterna è quella che si apre su di un sentiero che porta ad una piccola sorgente a circa cento passi sul pendio, ma lì termina e la roccia sale dietro a precipizio impedendo l’accesso.»

«Bene. Ora passerò in rassegna i vostri soldati, indicherò le loro varie posizioni e mi assicurerò che i miei siano riposati, poi, cugina, dopo aver assaggiato il vostro vino andrò a dormire, visto che domani mi dovrei alzare presto. Sono sicuro che tutto andrà bene. Castruccio sarà sconfitto e voi sarete sempre, come meritate, la castellana di Valperga.»

C’erano tante tavole imbandite nel salone del castello ricolme di vino e cibo. Dopo aver appurato che gli ospiti erano stati rifocillati, Eutanasia si ritirò nella sua stanza nell’angolo est del castello, con una finestra che dominava l’intera pianura di Lucca. Lei si sedette vicino alla finestra, non riuscendo a riposare o dormire, in quello stato febbrile e apprensivo in cui si attende un imminente ma incerto pericolo.

Il velo della notte alla fine calò. Eutanasia al principio vide le stelle crescere a poco a poco e il cielo ad ovest prendere una tinta cremisi dal sole in opposizione. Poco dopo avrebbe scalato il colle orientale, ma i suoi raggi cadevano sui monti di fronte, e le finestre del castello di Valperga riflettevano una luce abbagliante. Una sveglia suonò nel cortile sotto e fece piombare la giovane contessa dai suoi sogni a occhi aperti alla realtà che sbadigliava come una voragine davanti a lei. Dapprima si sistemò i vestiti e ricompose i capelli, poi per un momento restò in piedi, le mani sul petto, gli occhi al cielo. In un primo tempo il suo viso esprimeva dolore, ma cambiò: le gote pallide presero vita, la fronte si rasserenò dalle nubi che l’avevano ricoperta, gli occhi si accesero e tutto il suo aspetto acquistò dignità e fermezza. «Faccio il mio dovere», pensò, «e in questa fede a me cara ho riposta la mia forza. Faccio il mio dovere per me, per i miei contadini, per Castruccio, dalle cui mani io trattengo solo il potere di fare il più grande male. Dio è il mio aiuto e io non ho paura.»

Così pensando e sentendo, scese nel salone: molti soldati erano andati nelle loro postazioni, ma Bondelmonti e alcuni di grado più alto nella sua fazione e famiglia stavano aspettando la sua apparizione. Lei entrò non con allegria ma con serenità e la sua bellezza, il coraggio dipinto sul suo volto e il tono di voce avvincente con cui augurò il buon giorno, ispirarono un’emozione comune che quasi espressero e frenò a metà strada le loro voci. Bondelmonti baciò la mano della donna. «Addio, amici miei», disse Eutanasia, «rischiate per me la vostra vita e il sacrificio della mia è una povera ricompensa. Il mio onore, ogni mia speranza, tutto dipende dalle vostre spade, alzate da chi mi ama, e io non temo l’esito.»

Bondelmonti s’apprestò a combattere, mise i soldati ai loro posti e prese il suo sul ponte levatoio. Il sentiero tortuoso che portava ai piedi del monte era segnato dagli arcieri e dai frombolieri, nascosti dietro le rocce protese o gli alberi, o dentro le torrette di legno erette per lo scopo. Nella parte più scoscesa del sentiero una banda armata scelta con lunghe lance stazionava a ranghi stretti e, così disposta e con le armi avanzate, formava un insieme d’aculei di ferro impossibile da superare o respingere. L’avanguardia dei soldati era composta dai dipendenti d’Eutanasia: erano tutti pieni di quel coraggio forte ma indisciplinato che la rabbia e la paura ispira. Bindo era tra loro e li esortava, dicendo che ogni segno del cielo e ogni potere dell’aria era a favore della loro padrona. In altri momenti canzonavano la sua superstizione ma ora essa agiva come un altro incentivo all’indignazione e sosteneva il loro coraggio.

Intanto Eutanasia aveva raggiunto l’appartamento di Lauretta. Questa donna infelice era rimasta nel castello sin dalla morte del marito e il suo profondo dolore era tale che Eutanasia non le aveva comunicato le minacce di Castruccio e l’assedio imminente. Il rumore delle armi e il suono di molte voci l’allarmò e per questo chiese in modo concitato il motivo. L’amica le raccontò gli avvenimenti degli ultimi pochi giorni e cercò di calmarla. Lauretta ascoltava terrorizzata, aveva sofferto tanto per simili dispute che ogni cosa le si presentava sotto le più fosche tinte. Aggrappandosi alla mano d’Eutanasia, la scongiurò d’arrendersi: «Voi non sapete che cos’è un assedio», gridò, «il castello di mio padre fu preso d’assalto e per questo lo so bene. Anche se Castruccio fosse a capo delle sue truppe invano tenterebbe di frenare la furia dei soldati: un soldato vittorioso è peggio del bufalo e non c’è umanità che possa controllare la sua sete di sangue e d’atrocità. Vinceranno e né Dio né gli uomini possono salvarci.»

Eutanasia provò a placarla ma inutilmente. Pianse amaramente e con tanto fervore implorò che la contessa dividesse con lei la miseria assoluta che avrebbero sopportato, che Eutanasia per un momento trasalì per quelle suppliche, però poi, riprendendosi, rispose con gentile fermezza e la pregò di non versare lacrime senza motivo, poiché se fossero state vinte non c’era nulla da temere se non un semplice imprigionamento.

Ed ora, mentre parlavano così, un messaggero venne da Bondelmonti. «Il generale desidera che voi siate su di morale», disse, «le truppe nemiche avanzano e, a giudicare dalle apparenze, sono poche e anche quelle poche sono scarti dell’esercito del principe.»

Eutanasia ascoltò incredula, poiché sapeva che pur essendo incerta la decisione del combattimento, la battaglia doveva essere violenta. Ben presto il grido di guerra si levò dal castello e fu riecheggiato dai muri e dai monti. Quando cessò gli rispose il grido ghibellino degli assalitori. Ma questo provava soltanto la verità dell’affermazione di Bondelmonti, che erano pochi e non degni di nota, dato che l’urlo non fu quel suono esaltante che fa eco al trionfo dell’anima e, trascinato lungo la linea, fa salire un ardore scattante in ogni petto. Era un grido forte ma si spense presto.

Stanca delle rimostranze infantili di Lauretta, Eutanasia scese verso la piattaforma del castello e si chinò sul barbacane, però non poté veder nulla, sebbene le sue orecchie fossero stordite dalle urla e dal rumore delle armi che veniva dalla valle. Tornando nel cortile interno, incontrò degli uomini che trasportavano i feriti dal campo nel castello per soccorrerli. Per un attimo il suo cuore ebbe un tuffo e fu trafitta dal dolore, quando pensò «Questo è il mio lavoro!», ma si riprese… «Tutto deve essere sopportato», disse, «Ho intrapreso una parte e non sverrò sulla soglia. Spirito di mio padre, aiutami!»

Furono preparate delle brande in un grande appartamento del castello e Eutanasia s’unì alle donne che assistevano i feriti, le aiutò con le sue mani, rincuorandole con la propria voce e cercando, con il suo sostegno, di alleviare la sensazione del dolore fisico. Gli uomini che la videro volare tra loro come un angelo, venendo incontro ai loro bisogni, sentirono tutto l’amore e la gratitudine che tale inconsueta ma graziosa gentilezza poteva ispirare. «Non temete, signora», dissero, «siamo sempre più numerosi di chi ci attacca: già sono stanchi e a corto di fiato. Non temete, è la nostra giornata.»

Venne anche un inviato di Bondelmonti per dire che l’imprudenza di un sottufficiale aveva causato la caduta di pochi, ma che le sue truppe erano tutte al riparo e avrebbero battuto tutti gli assalitori o buttati giù nel dirupo senza perdere un solo uomo. Quest’affermazione parve confermata, poiché nessun ferito fu più trasportato. Eutanasia, così rassicurata, lasciò il salone e salì al suo appartamento. Lo spirito era alleggerito di molti dei suoi pesi. Il primo ostacolo era stato superato. Lei non aveva paura, non avrebbe dovuto, del resto.

Mentre stava pensando, un urlo improvviso rimbombò nel castello. Per un momento rimase paralizzata: l’urlo fu ripetuto, più forte e più vicino, e lei si precipitò alla finestra che guardava il cortile esterno. Là vide un gruppo di soldati nelle uniformi lucchesi uscire dal portone e correre intorno al castello verso il ponte levatoio. Quando spuntarono in fila lei pensò che il loro numero non avesse fine e riconobbe parecchi ufficiali d’alto rango dell’esercito di Castruccio. Alla fine l’ultimo scomparve e lei si guardò intorno per una spiegazione. Il castello era in silenzio. Lei era sola nella stanza e persino l’eco dei passi non la raggiunse. Sostò un attimo e poi, stanca di restare all’oscuro, si precipitò nella stanza di Lauretta e la trovò piena di soldati… soldati nemici. La povera ragazza, pallida e tremante, era seduta sconcertata e muta. Eutanasia entrò da una porticina, cui giunse da una scala interna: le sue prime parole erano rivolte alla sua amica: «Non abbiate paura. Siamo state tradite, ma non abbiate paura.»

I soldati, vedendola apparire, chiamarono il loro ufficiale capo, che si fece avanti dicendo: «Il castello è nostro e, Madonna, sarebbe bene che voi ordinaste ai vostri di arrendersi, perché un’ulteriore resistenza sarebbe inutile e potrebbe soltanto causare uno spargimento di sangue maggiore. Abbiamo avuto ordini dal nostro generale di agire con la massima moderazione.»

«È troppo», replicò tranquilla Eutanasia, «il comandante giudicherà della necessità della sottomissione: ma voi state spaventando questa donna che è malata e debole. Vi prego nel frattempo di lasciare questa stanza; se vedo che non può esserci affatto alcuna resistenza, sarò presto pronta ad obbedire a qualsiasi vostro ordine.»

«Madonna, ci ritiriamo come desiderate, ma permettetemi di aggiungere che l’ordine del generale è di scortarvi a Lucca stasera: fino ad allora non la importuneremo.»

I soldati lasciarono la stanza ed Eutanasia, lasciando Lauretta con il suo servo, si ritirò nel suo appartamento. Qui trovò molti suoi attendenti che le dissero in lacrime che non c’era più speranza, che il nemico, entrando dalla posterna, aveva attaccato i suoi soldati da dietro e cacciati giù per la montagna e che il gruppo rimasto nel castello aveva alzato il ponte levatoio, e adesso tutto era in pieno possesso dell’avversario. Eutanasia ascoltò immobile tutto questo e, quando finì il triste resoconto, ordinò ai suoi attendenti di lasciarla e d’andare dall’ufficiale capo della truppa per ricevere ordini per le operazioni successive, ma di non tornare da lei finché non avesse richiesto la loro presenza.


[1] In italiano nel testo. Il battifolle era una fortificazione, in questo caso provvisoria e di legno costruita durante gli assedi.


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