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“Valperga”– Mary Shelley XXXVIII

Creato il 28 maggio 2012 da Marvigar4

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Mary Shelley (1797-1851)

VALPERGA

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La vita e le avventure di Castruccio, Principe di Lucca

Traduzione integrale di Marco Vignolo Gargini dall’originale in inglese Valperga; or the Life and Adventures of Castruccio, Prince of Lucca

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Capitolo 38

Eutanasia salpa per la Sicilia e muore.

Poco prima di mezzanotte la cella d’Eutanasia si aprì e il guardiano entrò, con una lampada in mano, accompagnato da una bella figura maestosa, ma triste e rovinata dall’espressione d’orgoglio che l’animava. «Dorme», sussurrò il guardiano. Il suo compagno fece segno col dito di star zitto e, prendendo la lampada dalle sue mani, s’avvicinò al materasso ch’era sul pavimento e, inginocchiandosi accanto, guardò intensamente quel volto che aveva conosciuto così bene nei tempi più lieti. Lei si mosse un po’ infastidita dalla luce e lui mise la lampada per terra facendo ombra col suo corpo, mentre, con il tenue chiarore che cadeva su di lei, cercò di leggere le immagini ch’erano nella sua mente.

Sembrava poco cambiata da quando la vide la prima volta. Se il pensiero aveva segnato qualche ruga sulla fronte, l’intelletto che esprimeva la sua bella forma s’affacciava all’occhio dello spettatore. I capelli d’oro erano sul suo volto e sul collo: lui li scostò e lei sorrideva nel sonno. Il suo sorriso superava ogni bella descrizione e si sarebbe potuto esclamare con Dante

Quel, ch’ ella par quando un poco sorride,

Non si puo dicer, ne tenere a mente;

Si è nuovo miracolo, e gentile. [1]

Lui la guardò a lungo, il braccio candido d’Eutanasia era sul suo vestito nero e lui baciò quel braccio. Lei si svegliò e vide Castruccio che la guardava.

Si alzò e gridò: «Che significa questo?».

Il volto che s’era addolcito nel guardarla riprese la sua espressione severa. «Madonna», rispose, «Vengo per portarvi via di qui.»

Lo fissò cercando d’intuirne l’intento nei suoi occhi, ma non trovò risposte ai suoi dubbi: «E dove volete portarmi?»

«Lo saprete in seguito.»

Lei tacque e Castruccio aggiunse con un sorriso sprezzante: «La contessa di Valperga non deve temere, con me che la proteggo, il destino che aveva preparato per me.»

«Quale destino?»

«La morte.»

Parlò a voce bassa, ma quei toni da lui usati, che le riportarono in mente scene d’altri giorni, erano i più adatti per impressionarla. Lei replicò quasi confusa: «Non ho tramato la vostra morte, Dio m’è testimone!»

«Va bene, Madonna, non stiamo a discutere sulle parole o, come gli avvocati, a rivestire i nostri propositi con sottigliezze che potrebbero ingarbugliare tutto, se la verità non distruggesse la tela del ragno. Sono venuto a portarvi via dalla prigione.»

«Non così, mio signore, non sarò salvata così. Detesto far valere ancora i miei intenti visto che non sono creduta. Ma io sola devo essere liberata o i miei amici rientrano nelle vostre intenzioni misericordiose?»

«I vostri amici sono nemici troppo pericolosi per la comunità per essere salvati dal destino che li attende. Il vostro sesso, forse il ricordo della nostra antica amicizia, vi favorisce e non credo che s’accordi con la vostra saggezza porre condizioni a chi ha il potere per fare ciò che più gli aggrada.»

«E allora non cederò. Non assisterò in modo così indegno alla mia salvezza, mentre i miei compagni muoiono. No, mio signore, se loro devono essere sacrificati una povera donna in più aggiungerà poco al numero delle vostre vittime, e io non posso consentire d’abbandonarli.»

«E come? Non li vedrete né li sentirete più, o loro voi. Ma queste sono sciocchezze e il mio tempo è prezioso.»

«Io non oserò seguirvi. Il mio cuore, la mia coscienza mi dicono di restare. Non devo disobbedire alla loro voce.»

«La vostra coscienza adesso è così importuna e non dice nulla, o il vostro cuore l’ha zittita quando complottavate la mia distruzione?»

«Castruccio, credo che questa sia l’ultima volta che vi parlo. I nostri cuori sono nelle mani del padre di tutti, e lui conosce i miei pensieri. Mi conoscete troppo bene per pensare ch’io abbia tramato la vostra morte o quella d’ogni altra creatura umana. Ora non è il momento di spiegare i miei motivi e i piani: ma il mio auspicio più sincero era che voi viveste, la mia migliore speranza era di fare che la vita fosse meno miserabile, meno indegna di quella ch’è stata finora.»

Lei parlò con profonda sincerità e c’era qualcosa nei suoi modi che spingeva ad approvare, come se lo spirito della verità animasse tutti i suoi accenti. Castruccio si convinse di tutto e parlò a lei in una maniera più dolce e persuasiva: «Povera Eutanasia! Così alla fine siete stata blandita da quel traditore nato, Bondelmonti. Bene, vi credo e vi perdono tutto. Però a suggello della purezza delle vostre intenzioni, adesso vi chiedo di accettare le mie offerte di salvezza.»

«Non posso accettare, davvero non posso. Abbiate pietà, siate magnanimo e perdonateci tutti, banditeci tutti là dove il nostro malcontento non può nuocervi. Ma non potrò mai abbandonare i miei amici e salvare in modo ignobile quella vita che voi negate a loro.»

Il guardiano, che finora era stato nell’ombra vicino alla porta, non ce la fece più a trattenersi. S’inginocchiò davanti a Eutanasia e la implorò con tutto se stesso di salvarsi e di non disfarsi con presunzione ostinata di quei mezzi che Dio le aveva concesso per la sua salvezza. «Ricordate», gridò «che le vostre disgrazie graveranno sulla testa del principe, non fatelo rispondere anche di voi. Oh! signora, per il bene suo e di tutti noi, cedete.»

Castruccio si commosse molto a vedere il fervore di quest’uomo. Prese la mano d’Eutanasia e anche lui s’inginocchiò: «Sì, mia sola amica carissima, salvatevi per il vostro bene. Eutanasia adorata, accettate le mie suppliche. Voi di certo non morirete, perché sapete troppo bene che la vostra vita mi è più cara della mia. Ma accettate la mia richiesta, in nome del nostro antico amico, vi imploro. Per le preghiere che offrite per la mia salvezza, vi scongiuro, come saranno ascoltate, d’ascoltare così anche me!»

La luce dell’unica lampada scendeva sul volto di Castruccio: tutta la sua severità s’addolcì, i suoi occhi scintillavano e una lacrima scese silenziosa sulla guancia mentre la pregava di accettare. Si parla delle lacrime delle donne, ma quando scorrono in grand’abbondanza non addolciscono il cuore dell’uomo con il potere che una lacrima dei suoi occhi ha su una donna. Le parole e gli sguardi si fingono, e dicono, anche se non lo credo, che le donne simulano le lacrime: ma quelle di un uomo, che sono sempre l’ultima dimostrazione d’un cuore troppo pieno, costringono a credere e a comunicare a lei chi è che le causa, quell’eccesso di tenerezza, quell’intensa profondità di passione di cui sono esse stesse l’indicazione certa.

Eutanasia aveva visto piangere Castruccio solo una volta in precedenza, era tanti anni prima, quando lui partì per la battaglia di Montecatini, e all’epoca condivideva troppo i suoi dolori per non ripagare il suo pianto con una lacrima davvero autentica e sacra. E adesso questa scena le si presentò. L’intervallo degli anni era sparito e lei aveva accettato la sua richiesta prima di riflettere e vedere la cella orribile della prigione, il barlume della lampada e la figura rozza del guardiano che era in ginocchio accanto ad Antelminelli. Ottenuto il suo consenso, Castruccio s’alzo e, pregandola di avvolgersi nel mantello, la condusse per mano giù per le scale della prigione, con il guardiano davanti a loro che apriva e liberava i chiavistelli delle porte pesanti e cigolanti.

All’entrata della prigione trovarono un uomo a cavallo con altri due cavalli. Era Mordecastelli. Castruccio aiutò Eutanasia a montare e poi salì sulla sua sella. Giunsero fino ad una porta della città che era aperta… procedevano in silenzio… davanti alla porta Castruccio disse al suo compagno: «Ci lasciamo qui. Devo tornare immediatamente indietro.»

Vanni poi voltò il cavallo, augurando a bassa voce la salute d’Eutanasia, che involontariamente aveva dovuto dire addio per sempre a chi era stato suo intimo. Un paesano stava aspettando a cavallo fuori della porta: «Sei la nostra guida?» disse Castruccio. «Allora facci strada.»

Era una notte gelida, senza nubi e senza luna, ma le stelle brillavano intensamente. Tutta la luce sembrava raccogliersi dall’immensità del cielo e premere in un insieme fitto sul vertice dell’atmosfera visibile, per guardare giù la strana terra. Il gruppo passò fuori della città di Lucca attraverso la porta Pisana e subito si mise a galoppo. Appena furono vicino alle colline, Castruccio s’avvicino ad Eutanasia. Ridussero la velocità e lei parlò così:

«Ho accettato la vostra richiesta e lasciato la prigione. Era proprio inutile per me resistere a chi ha il potere assoluto che avete voi. Ma ora che vi vedo per l’ultima volta vi supplico d’avere pietà dei miei compagni di questa congiura. Non faccio altro che pensare a loro e se io devo vivere… se mai debba avere notizia degli eventi che accadono nelle mura di quella città, pensate al dolore acuto che m’infliggerete se sapessi della loro distruzione.»

«Madonna», rispose il principe, «farò quello che considero mio dovere: e questi nostri ultimi momenti non passiamoli in discussioni senza frutto.»

Eutanasia capì che era inutile parlare. I suoi alleati, gli amici, destinati ad una morte sicura, stavano in funereo gruppo davanti agli occhi della sua anima. L’immaginazione le mostrava tutti i loro pensieri e quello che avrebbero dovuto subire. Guardò Castruccio, vide che era fatto di materia impenetrabile: il suo cuore era gonfio fino ad uscire dal petto e le proibì d’esporsi per vittime ormai designate ad un’umiliazione simile, che avrebbe subìto nello spendere una parola in più a favore del loro comportamento con quella persona insensibile, implacabile che aveva davanti. Castruccio continuò:

«State per lasciare la Toscana e riprendere a vivere in una terra straniera. Siete ancora giovane. Io vi esilio dalla vostra terra natale, ma forse in futuro ammetterete che vi ho fatto un piacere. Finora vi siete immischiata e lasciata coinvolgere negli affari politici di una repubblica e avete visto congiure, ostilità e guerre.»

Eutanasia non si sentì in grado di rispondere.

Avevano attraversato la pianura di Lucca ed erano giunti ai piedi di quelle colline coronate da torri e rivestite di foreste fitte che erano le belle immersioni romantiche che lei amava di più. Uscirono dalla strada solita e, guadando il Serchio, cominciarono a salire i pendii della parte opposta, procedendo in fila indiana su per il sentiero stretto. Alla fine raggiunsero la cima e ammirarono una scena d’incantevole bellezza davanti a loro sotto le stelle notturne. La pianura che avevano appena attraversato era buia là sotto, cinta dalle sue colline, di fronte avevano un’altra pianura, deserta e arida, in cui scorre il Serchio, definita dalla linea scura del mare e il Lago di Massacciuccoli [2], un lago paludoso, era proprio sotto.

«Qui io vi lascio», disse Castruccio: «Ecco la vostra destinazione», e indicò il mare. «Ricordatevi di una persona con cui avete passato i vostri giorni più belli.»

Le prese la mano e la baciò. I loro sentimenti erano strani e difficili da descrivere. Eutanasia non poté dimenticare del tutto cosa era stato lui per lei. In quel momento poteva aver chiuso un occhio sulla sua tirannia, l’ambizione sfrenata e la sua crudeltà. Ma no, quel momento in sé era un rifiuto dell’oblio. Poteva aver scordato le sue efferatezze passate, ma non quelle che stavano per essere perpetrate immediatamente su individui che erano stati uniti a lei in un complotto per la libertà, alcuni dei quali erano stati spinti dal suo nome e dal suo aspetto ad intraprendere un’impresa disperata e istigarli alla rovina.

Castruccio parlò alla guida, raccomandandosi di raggiungere il più presto possibile la pianura, e poi voltò il suo cavallo. Eutanasia e il suo accompagnatore si fermarono in cima alla collina. Udì il galoppo del cavallo di Castruccio che faceva ritorno a Lucca passando per i boschi. Fu allora che anche lei iniziò a scendere dall’altra parte.

Eutanasia, ora separata dai suoi antichi legami e da chi era stato il genio del male della situazione, cominciò a riprendere il suo solito tono. Lo spirito eterno dell’universo sembrò scendere su di lei, e bevve senza fiato l’impressione che la notte silenziosa, il cielo stellato e la terra assopita le offriva. Tutto sembrava così tranquillo che nessuna sensazione sgradita nel suo cuore riusciva a disturbare la scena di cui si sentiva parte. Alzò gli occhi ed esclamò nel suo bell’italiano, i cui dolci accenti e le frasi espressive superano di gran lunga tutte le altre lingue europee: «Che bel baldacchino ha questa terra e con che grazia il supremo empireo sorride al suo lattante!»

«È Bellissimo», rispose la guida, «ma figuratevi, Madonna, se è tanto bello sul rovescio, cosa mai sarà al dritto.»[3]

Eutanasia rise dell’immaginazione di un uomo così rude nei modi e nelle abitudini e replicò: «Chi sa fra quanto sarà mio destino vedere il rovescio, che voi immaginate superare in splendore questo spettacolo sublime?»

L’uomo disse: «Il cielo vi conserverà a lungo sulla terra e vi farà felice come meritate, felice come avete fatto felici gli altri!»

«Allora mi conoscete?»

«Io abito nel paese di Valperga. Io e la mia famiglia là eravamo gli Aldiani, sin dai tempi del vecchio conte Goffredo, vostro bisnonno. Ma, Madonna, vi prego di salire a cavallo, perché abbiamo poco tempo e temo che fra poco il cielo si coprirà di nubi. Quest’ultima folata aveva con sé un po’ di scirocco e vedo ad ovest una foschia che indica vento da quella parte.»

Si misero al galoppo. Il destriero d’Eutanasia era imponente e la portava con fierezza. Si sentì ripresa dal movimento eccitante, il vento soffiava da ovest e scompigliava i capelli che da quando aveva lasciato il carcere aveva raccolto un po’ con un fazzoletto, e, appena affrontò la brezza, il soffio caldo sciolse il sangue delle sue guance.

Si avvicinavano al mare e cominciarono a udirne la risacca, la brezza si faceva più forte man mano che procedevano. La spiaggia era piatta e il piccolo litorale che costeggiava le acque adesso era battuto e ricoperto dalle onde. Quando furono vicini, Eutanasia provò un po’ di curiosità a conoscere la sua destinazione, ma non vide nulla a parte la scura distesa d’erbacce e la spuma bianca del mare agitato. Non erano ancora vicini alla riva che lei intravide una gran barca nera sulla spiaggia e parecchi uomini accanto. Uno di loro s’alzò e chiese la parola d’ordine, che il compaesano diede, poi un uomo, che aveva l’aspetto di un capo, si staccò dalla barca e andò a salutare Eutanasia. «Ho ricevuto l’ordine dal principe di Lucca di accogliervi, signora.»

«E dove sono diretta?»

L’uomo indicò in mare un vascello a poca distanza… tanto vicino che Eutanasia si chiese come avesse fatto a non vederlo prima. Il suo scafo nero gettava un’ombra lunga sull’acqua, e le vele scure lo facevano apparire di dimensione straordinarie con il buio e il suo pesante sbattere. Lei lo guardò sorpresa e si domandò dove l’avrebbe portata, ma non chiese altro: sistemandosi per la partenza, prese gentilmente congedo dal connazionale e gli dette quel poco di oro che aveva con sé. L’uomo tornò dal capo e disse: «Ser cavaliere, se non è una richiesta impertinente, abbiate la compiacenza d’informarmi dove è diretto il vascello.»

Il cavaliere lo guardò in modo alquanto altezzoso, ma rispose: «In Sicilia.» La Sicilia allora era sotto il dominio della famiglia dei re d’Aragona, che l’avevano ereditata dalla figlia di Manfredi e che, naturalmente, erano ghibellini.

«La Vergin Madre benedica il vostro viaggio!» disse la guida a Eutanasia. «Temo che sarà duro, un brutto vento si sta alzando: ma i santi sicuramente vi assisteranno.»

Eutanasia salì a bordo, il comandante si sedé accanto a lei, gli uomini presero i loro remi: lei con la mano salutò la guida e disse: «Addio, che Dio vi benedica!» e aggiunse a voce bassa, quasi a se stessa, «Parlano italiano anche in Sicilia.»

Queste furono le ultime parole che disse a chi tornò a fare il resoconto. La guida se ne stava sulla riva, vide la barca ormeggiare nei pressi del vascello e il suo equipaggio salire nel buio. La barca si ritirò, le vele furono issate e affrontarono il mare, scendendo lentamente con molte virate, dato il vento contrario… il vascello svanì all’orizzonte e l’uomo si girò e tornò a tutta velocità a Lucca.

Durante la notte il vento cambiò direzione più a nord e la brezza di terra del mattino gonfiò tanto le vele che, seppur lentamente, scesero verso sud. A mezzogiorno circa incontrarono un vascello pisano, che li avvertì di stare alla larga da uno squadrone genovese proveniente dalla Corsica: così si portarono più vicini alla riva. Quel giorno a mezzanotte soffiò un violento scirocco, accompagnato da tuoni e fulmini, come raramente si vede nella stagione invernale. Poco dopo videro delle enormi colonne scure scendere dal cielo e unirsi al mare che ribolliva sotto. Si trovarono in mezzo alla tempesta e sbattuti dal vento. La pioggia cadeva giù a dirotto e la grandine scendeva rumorosamente, come nel suo sepolcro marino… il mare era colpito da tali onde che, a molte miglia sulla terra ferma, nelle pause del vento il brontolio rauco e costante delle ondate spingeva gli uomini al riparo a mormorare delle preghiere per chi era esposto alla sua furia.

La tempesta era così forte da essere vista a terra. Non si seppe più niente del vascello siciliano che portava Eutanasia. Non raggiunse mai il posto di destinazione e nessuno di quelli che erano a bordo sopravvisse. Le sentinelle vicino a Vado [4], una torre sul litorale della Maremma, videro il giorno seguente che le onde avevano trascinato a riva parti del relitto del vascello. Raccolsero poche assi di legno, un albero spezzato, intorno al quale, intrecciato al resto del suo cordame, c’era un fazzoletto bianco di seta, come quello che legava le trecce d’Eutanasia la notte dell’imbarco, e nel suo nodo c’erano alcuni suoi capelli.

Di lei non si seppe più nulla, anche il suo nome svanì. Riposò nell’antro melmoso del mare, i suoi capelli si mischiarono alle acque, e gli spiriti delle profondità si chiesero perché la terra avesse consegnato una creatura così splendida al cuore arido del mare che, come una matrigna malvagia, inganna e tradisce tutti quelli affidati alle sue cure.

La terrà non avvertì alcun cambiamento al momento della sua morte e gli uomini la dimenticarono. Tuttavia non cessò di respirare uno spirito più nobile, né fu mai distrutta una figura più nobile tra le molte che generò. Avrebbero potuto essere versate lacrime infinite per la sua perdita, eppure nessuno pianse per lei, eccetto il cielo clemente che deplorava il danno che gli uomini avevano commesso a se stessi… nessuno si lamentò salvo gli uccelli marini che agitavano le loro pesanti ali sopra le grotte del mare in cui lei giaceva… e solo il brontolio del tuono suonò la sua campana a morte quando lei lasciò la vita, che per lei era stata piena di stravolgimenti e dolore.



[1] N.d.a. Vita Nuova di Dante.

[2] Nell’originale Macciucoli.

[3] N.d.a. Non posso non riportare in originale le parole di un contadino fiorentino. Un poeta forse potrebbe invidiare la vivacità dell’immaginazione di quest’uomo.

[4] Vada (LI).



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