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Valter e Nichi, i duellanti

Creato il 29 febbraio 2012 da Albertocapece

Valter e Nichi, i duellantiAnna Lombroso per il Simplicissimus

Attenti che se siete soliti svegliarvi tardi potreste perdervi l’evento che si potrebbe consumare là, dietro il convento dei Cappuccini, all’alba, proprio come nei fueilletton, un duello all’ultimo sangue. E se vi chiedete chi sia la milady,  è la  sinistra, anche lei con qualche ruga come i due duellanti, appesantita e trascurata, una belle dame con molti regrets.

Eh si Veltroni vuole le scuse, Vendola  non chiede perdono. Ma chi dovrebbe esigere una pubblica discolpa e magari anche un bel po’ di autocritica siamo noi.

In realtà non si capisce lo sdegno di Veltroni, in fondo era stato lui in una intervista a El Pais a rivendicare la natura riformista di un movimento liquido forse molle magari gelatinoso, si, “riformista e non di sinistra”.  E infatti gli piacciono quelle misure che Monti e il suo governo chiama impropriamente e delittuosamente riforme, e che altro non sono che abiure dell’equità, interventi occasionali, tagli ingiusti, pannicelli caldi che dovrebbero salvare ferite alla legalità. Tanto che in nome dell’empatia che li lega, tutti e due chiamano riforma anche la cancellazione dell’articolo 18 e l’evaporazione dell’ultima trincea a difesa dei diritti e delle conquiste dei lavoratori.

Se proprio  dovessimo essere precisi, Vendola avrebbe avuto più ragione di rimproverare Veltroni di non essere nemmeno riformista, se appoggia una azione di governo che dice di voler  attuare un equilibrato cambiamento incrementando la disuguaglianza, conseguire una armonia sociale, mediante la rottura di tutti i vincoli e i patti di solidarietà, raggiungere insommala virtù attraverso il vizio. In una parola “buscar l’oriente attraverso l’occidente”.

 E noi a tutti e due dovremmo accusare di tradimento tutti quelli che a diversi stadi di sottomissione si sono   accomodati in una dimissionaria accettazione di uno stato di necessità che oscura la sovranità statale e popolare, prima di tutta, ma che si esime anche solo dall’immaginare  una non impossibile alternativa al liberismo rapace, lasciato impazzire e impazzare dopo la liberazione dei movimenti di capitale, consegnandoci all’egemonia della turbo economia e al prepotere di cancellerie sopraffattrici.

Sarebbe bene ricordare a quelli che ci chiedono di scegliere questo “riformismo”, come l’unico in grado di dirimere l’antica questione  se “aggiustare il vecchio o distruggerlo”, che allora anche il tatcherismo era un riformismo. E che spesso accade che proprio i cosiddetti “conservatori”, le destre, nei secolo hanno voluto  il cambiamento e critica to più o meno aspramente lo status quo, come e più dei “progressisti”, delle “sinistre”. Così che a volte i  cambiamenti possono chiamarsi, fascismo, nazismo, “nuovomismo”, qualunquismo.  O che più modestamente in un regime democratico di alternanza, in cui tutti accettano sostanzialmente le regole del gioco, si possa definire riformista  persino il movimento di Scilipoti  e della Tomasi che si candidi alla guida del governo e per riconfigurare  la strategia di governo.

Per carità il Veltroni pensiero – si,  a noi piacciono gli ossimori – ha sempre rivendicato di non appartenere alla cultura e all’ideologia comunista,  si è nutrito del latte di Bad Godesberg,  si è sentito più a suo agio  nel contesto di una “democrazia liberale” – altro ossimoro probabilmente –  con l’aspirazione  a  “temperare” il capitalismo, riconsiderarne i valori  di un sistema storico da correggere e migliorare, ma non da trasformare.

Niente comunismo dunque per il fondatore del Pd, ma nemmeno socialismo se come diceva Rosselli,  il socialismo risiede nella volontà degli individui e nemmeno democrazia se concerne l’aspirazione umana alla libertà e alla giustizia sociale, orpelli arcaici da riporre prudentemente in soffitta ripudiati da uomini, e dalle loro  ambizioni,

annichiliti  in una accidia intellettuale che li ha persuasa dell’ineluttabilità del capitalismo, dell’invincibilità del mercato, della irriducibilità del profitto. Convinti dall’ideologia dominante  interpretata da chi conosce il prezzo di tutte le cose ma il valore di nessuna, somministrata da chi ritiene che la ricerca del profitto possa essere la strada ipnotica che conduce alla felicità. Di pochi. Quella che ha conseguito l’obiettivo mancato dal proletariato, la mondializzazione. Ma dell’iniquità.

Non si dolga Veltroni del j’accuse di Vendola, anzi si compiaccia del riconoscimento della sua  identità, da uomo della provvidenza a uomo previdente e per tutte le stagioni.


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