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Facciamo uno sforzo di fantasia e supponiamo, per un attimo soltanto, che Greta e Vanessa tornino davvero in Siria e, dopo qualche mese di tranquillità, succeda che vengano nuovamente rapite. Possiamo supporre che si tratti di un'ipotesi remota, tuttavia non si tratta di un'eventualità totalmente prova di fondamento. Ora, al di là del fango popolare, al di là delle strumentalizzazioni politiche, al di là delle verità opinabili, al di là di tutto quanto, come dovrebbe comportarsi l'Italia in cotanto malaugurato caso? In quale inestricabile ginepraio di contraddizioni morali (e non solo) finirebbe per trovarsi?
Ora Vanessa dice pubblicamente che lei e Greta potrebbero voler tornare in Siria (nel titolo è usato l'indicativo, ma nell'intervista riportata su Repubblica.it Vanessa utilizza il condizionale), tuttavia sarebbe così scandaloso se levassero l'Italia dall'imbarazzo e optassero senza tentennamenti per una qualche forma diversa di volontariato? Magari in un posto meno a rischio? Il pianeta è (purtroppo) davvero pieno di gente che ha bisogno di attiviste come loro, persone desiderose di rimboccarsi le maniche, capaci di dedicare la propria vita agli altri. Dunque perché proprio la Siria, solo la Siria, nient'altro che la Siria?
L'ostinazione con cui Vanessa si pone nei confronti del ritorno suo e di Greta in Siria sembra dunque avere più che altro il profumo di quell'orgoglio forse un po' ingenuo, forse un po' sfacciato, ma che, per dirla con le parole di Vasco, "ne ha rovinati più lui che il petrolio". Un orgoglio dunque, per il quale più che il coraggio, poté la sciaguratezza. Infatti, a dispetto della vigliaccheria che sulle prime può sembrare, per essere capaci di fare la scelta opposta, ovvero guardarsi indietro (e dentro) e rinunciare per una volta alla propria orgogliosa ostinazione e passare ad altro, serve un coraggio ancora maggiore.
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