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Vanloon – Les piémontais: l’emigrazione italiana in Francia

Creato il 12 dicembre 2013 da Ilcasos @ilcasos

Puntata 2 – anno 3, 16 novembre 2013 Ascolta la puntata:

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Ciao a tutte e tutti da Lara e Piero.

Lampedusa, ottobre 2013. abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini di corpi senza vita e di uomini, donne e bambini esausti e disperati sulle coste dell’isola mediterranea. La legge sullo Ius soli è uno degli ultimi argomenti che hanno suscitato tutta un’ondata di consensi o di dissensi. La presenza di una forte componente xenofoba, o anche semplicemente ostile a chi chiamiamo “immigrati”, è ormai senza ombra di dubbio un dato esistente nella società italiana, con cui dover fare i conti. Eppure, ogni tanto ritorna il solito monito al ricordo: «anche noi siamo stati un popolo d’immigrati». Ed in effetti lo siamo stati, se si pensa alla fuga dei cervelli degli ultimi anni lo siamo ancora. Ma si può parlare veramente di una differenza tra l’emigrazione italiana dei due secoli passati e quella degli immigrati di oggi? E davvero noi eravamo migranti migliori?

Prendiamo l’esempio della migrazione verso la Francia. questa storia ha radici antichissime che risalgono addirittura al XVI secolo: in questo periodo i flussi migratori sono soprattutto di artisti (musicisti o teatranti), artigiani specializzati, e venditori ambulanti dell’Italia del Nord che superano il confine alpino per vendere i loro prodotti. Tuttavia, si può parlare d’immigrazione di massa solo a partire dal 1876 e i flussi migratori tra le due nazioni possono essere divisi in tre distinte ondate: dalla fine dell’Ottocento alla grande guerra, negli anni tra le due guerre mondiali, e dal 1945 al 1976.

Nel primo periodo il migrante italiano proviene principalmente dal nord tant’è che i francesi li chiamavo piémontais. Il migrante italiano è instabile, fa lavori stagionali, cambia lavoro spesso svolgendo per lo più lavori edili e in miniera. Spesso accumula un po’ di ricchezza per poi tornare in Italia dalla famiglia. In questo periodo la Francia vive una buona stagione economica, avviandosi a diventare uno dei maggiori poli siderurgici d’Europa, mentre l’Italia cresce di popolazione, ma resta arretrata sul piano industriale. Gli italiani fuggono da povertà e miseria e arrivati in Francia si accontentano di bassi salari e delle peggiori condizioni lavorative. I francesi non sono proprio accoglienti: accusano gli italiani di rubar loro il lavoro accettando salari infimi e si macchiano di atti violenti di xenofobia, il più famoso dei quali è il massacro di Aigues-Mortes del 1893, dove operai francesi e italiani delle saline locali si scontrarono violentemente. Questa prima ondata migratoria, la più studiata dagli storici, è chiamata la grande migrazione.

Sotto il fascismo la migrazione italiana diventa anche politica. Se da un lato sono molti i dirigenti antifascisti che fuggono dopo la marcia su Roma, a livello di base le motivazioni sono più mescolate e sfumate: un lavoro e una situazione politica e sociale migliori rendono la Francia una delle mete più ambite. Non è un caso che nel 1931 questa è il primo paese di immigrazione al mondo. La grande depressione degli anni Trenta, però, mette a dura prova anche l’internazionalismo dei partiti di sinistra, tanto che il segretario del partito comunista, Maurice Thorez, conclude un incontro con «La France aux Français!» (la Francia ai francesi).

Le politiche del regime fascista volte a ridurre l’emigrazione dall’Italia non hanno successo, ma lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale fa ritornare molti in patria. Chi rimane spesso prende parte alla Resistenza francese, tanto per motivi ideali quanto per volontà di integrarsi in un tessuto sociale dove gli italiani venivano spesso identificati con il fascismo. Nel dopoguerra, le cose sembrano molto diverse: gli italiani, spesso identificati come pigri, subdoli, seduttori, lascivi o peggio fascisti, sono ora ben visti dai francesi. L’immigrazione che preoccupa e spaventa davvero, infatti, è ora quella proveniente dal Nordafrica in via di decolonizzazione, che sta assumendo caratteri di massa.

In questo periodo viene istituito l’ONI, Office National de l’Immigration, che controlla e regola i flussi verso la Francia che portano anche ad alcuni accordi con l’Italia: la Francia d’altra parte necessita di manodopera per ricostruire il paese e il suo comparto industriale. Da noi i governi centristi sono ben disposti a favorire l’emigrazione in cambio di benefici commerciali, per sfogare le tensioni sociali dovute all’alto tasso di disoccupazione, nel timore che il PCI le potesse sfruttare a proprio vantaggio.

Le selezioni dell’ONI sono però molto fiscali: non passa chi non è in perfetta salute o desta sospetti di portare «idee sovversive», si preferiscono i settentrionali perché i meridionali erano malvisti. I “regolari” che partono attraverso questi canali sono dunque molti meno delle aspettative. Già dal ’45, infatti, si sviluppa un grande flusso proveniente dal Mezzogiorno e dalle isole, mentre il Nord ormai si sta industrializzando. Gli irregolari attraversano le Alpi alla meno peggio soprattutto nei dintorni di Bardonecchia, spesso con l’intera famiglia al seguito e spesso «guidati» da alcuni abitanti del luogo, i costosissimi passeurs, sorta di scafisti ante litteram.

Negli anni Cinquanta si sviluppa una rete criminale ben salda: i migranti vengono reclutati direttamente nel meridione e i pagamenti si fanno in anticipo. Chi riesce a raggiungere la Francia, a fronte di moltissimi lasciati morire a metà strada, incontrerà non solo la diffidenza dei francesi, ma anche l’astio degli immigrati di vecchia data, quasi sempre settentrionali e ormai ben integrati se non naturalizzati: per mostrarsi “più francesi dei francesi”, essi si abbandonano al disprezzo degli ultimi arrivati. Certo è che alcuni stereotipi di primo Novecento sono caduti: gli italiani sono ormai considerati quasi del tutto assimilabili e diventano l’esempio positivo da contrapporre ai nordafricani, disperati in cerca di fortuna in un mondo che li considera alla stregua di “selvaggi”.

Un’ottica quest’ultima che denuncia tutto il suo carico coloniale e imperialista e che si ripropone costantemente, anche ai giorni nostri. Non soltanto in Francia. Qual è allora la differenza tra la nostra immigrazione e quella odierna? Le difficoltà che si trovano nel migrare in un paese straniero sembrano le stesse e uguali sembrano i problemi di integrazione tra chi riceve e chi arriva.

E con queste riflessioni vi salutiamo e vi invitiamo a visitare il nostro sito www.casoesse.org e… alla prossima puntata.

#ilcasos
Vanloon – Les piémontais: l’emigrazione italiana in Francia

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