Puntata 10 – anno 2, 23 marzo 2013
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Ringraziamo Francesco Altamura per aver partecipato alla scrittura di questa puntata radio.
Prima pagina de «l’Unità» clandestina del 15 marzo 1943
Ciao a tutte e tutti da Debs e Lara,
«Da più di una settimana […] si spengono nei reparti i fragori delle macchine […] si rilassa la tensione nervosa del lavoro a catena, i volti si levano dignitosi ed energici […], le braccia si incrociano»[1]: così «l’Unità», giornale allora clandestino, commenta l’ondata di scioperi di inizio ‘43.
È il marzo del ‘43. La guerra distrugge l’Europa, fame paura e miseria sono negli occhi di chiunque. Ma il ‘43 è un anno importante per lo scenario bellico: la VI Armata del generale nazista Von Paulus si è definitivamente arresa sul fronte orientale: è la vittoria di Stalingrado. Ma la guerra non è solo dei soldati, anche nel fronte interno qualcosa cambia. Torino è al vertice del sistema industriale italiano, con più di 150 mila operai e operaie in pieno regime di produzione bellica, il salario è misero, le razioni da fame e al mercato nero i prezzi sono alle stelle. Si vive costantemente sotto la minaccia dei bombardamenti. Alle dieci di ogni mattina, come nel resto d’Italia, si suona la sirena d’allarme, per provare che funzioni in caso di attacchi aerei.
Alla Fiat Mirafiori, il 5 marzo 1943, gli operai sanno che la sirena, quella mattina, segna l’inizio di uno sciopero perché si è esasperati e non si può più andare avanti. Di cosa si tratta? Sono i prodromi della Resistenza italiana? Il rinnovato protagonismo della classe operaia? E, ancora, si tratta di un moto spontaneo o completamente diretto dai comunisti? I “famosi scioperi del marzo” sono ormai il simbolo della rinascita delle forze democratiche, del Nord operaio che suona il “la” della riscossa nazionale. Ma fino a che punto è proprio così?
Quel 5 marzo del ’43 la sirena però non suona. La direzione della Fiat e polizia non sono all’oscuro del malcontento operaio. All’officina 19, malgrado tutto, dove lavorano alcuni quadri comunisti, dopo le prime incertezze si smette di lavorare e si parte in corteo fino al refettorio. Parte così un’ondata di astensioni dal lavoro, quasi sempre temporanee, che nel mese di marzo e di aprile si allarga alla provincia piemontese, poi a Porto Marghera e infine a Milano.
Ma non è solo qui che si sciopera, e non è solo adesso.
Gli operai della Fiat incrociano le braccia nel marzo 1943
«Le popolazioni rurali, in special modo il bracciantato agricolo, incominciano in maniera allarmante a manifestare sintomi di stanchezza. La situazione è tesa e in qualche paese si sono già verificati incidenti incresciosi che hanno tutta l’apparenza di un preludio ad una rivolta». Così nel luglio del ’42 il Ministero dell’Interno dava conto alle prefetture pugliesi di una nota informativa pervenuta da fonte confidenziale[2].
Nel marzo del ’42 il Ministero delle Corporazioni invia a tutti i prefetti disposizioni per la disciplina del lavoro in agricoltura che regolano «per la durata dello stato di guerra» le condizioni di reclutamento della manodopera con livelli salariali cinque, dieci, venti volte inferiori rispetto alle paghe strappate ai braccianti che vendevano le proprie fatiche all’alba nelle piazze di paese. Queste condizioni erano state alla base di un diffuso malumore contadino che aveva disegnato per le campagne del Mezzogiorno una frastagliata geografia di sollevazioni, manifestazioni contro autorità locali e proprietari terrieri, astensioni dal lavoro e conseguenti arresti in massa di lavoratori agricoli.
Del resto, espressioni di una micro-conflittualità sociale dispersa ma insistente non erano certo mancate nelle campagne meridionali prima che la situazione economica già al collasso si deteriorasse ancora di più con la guerra. È del 1930 il noto Rapporto sui fatti di Martina Franca comparso sulle pagine de «Lo Stato Operaio» a firma di Emilio Sereni[3]: vi si documentava l’incendio dell’esattoria delle imposte, del circolo del littorio e del consorzio agrario in quel comune devastato dalla furia dei braccianti per l’introduzione di un’imposta sul consumo del vino.
Ma non solo cieche esplosioni di rabbia avevano punteggiato le campagne del Sud tra anni Venti e Trenta: tra i documenti dei prefetti sull’ordine pubblico nelle provincie troviamo non di rado traccia degli scioperi di carrettieri e operaie tabacchine, o ancora delle occupazioni di lotti di terra da parte degli ex combattenti. È frequente anche la lavorazione spontanea e arbitraria di pezzi di latifondo mal ridotti, di cui poi veniva richiesta la paga.
Nella memoria collettiva questo scenario di lotte diventa un fatto improvviso e imprevisto, scatenatosi solo nel marzo 1943. «L’Italia è diventata rossa da un momento all’altro» scrive Churchill al presidente americano Roosevelt[4]. Sono parole che non si riferiscono direttamente ai famosi scioperi del marzo 1943, perché scritte in agosto, quando il regime fascista era ormai caduto, ma che Paolo Spriano, importante storico comunista, prende come indice di una preoccupazione internazionale scaturita proprio dagli scioperi del marzo.
Gli scioperi del marzo ‘43 sono stati spesso letti come la rinascita del movimento operaio e democratico in Italia e innalzati al ruolo chiave di aver rotto vent’anni di silenzio politico[5]. Eppure questo silenzio era stato continuamente rotto nelle campagne italiane[6]. Certo, nel marzo del ‘43 si recuperano una forza numerica e una capacità rivendicativa che non si vedeva dai primi anni Venti. Ma prestando attenzione a quanto è accaduto prima di marzo e prima della guerra, soprattutto guardando lì dove la conflittualità sociale e politica si esprime in forme più nascoste, senza mai guadagnare visibilità nazionale, riusciamo a dare una valutazione meno epica e più realistica agli scioperi del marzo.
L’antifascismo ha seguito percorsi tortuosi e complessi, assumendo di volta in volta forme e contenuti diversissimi: da pilastro del nuovo ordine costituzionale a valore non negoziabile (almeno a parole) di legittimazione politica, da momento identitario della sinistra italiana a elemento di trasformazione della società nuova del dopoguerra e oltre. Guai a considerarlo un fatto acquisito una volta per sempre!
Ce lo dimostra la storia dei nostri giorni, che dell’antifascismo segnano la crisi e lo svuotamento[7]. Vedi, tanto per fare un esempio, Grillo che apre ai cosiddetti fascisti del terzo millennio senza che questo provochi il sussulto di chi, alla base di quel movimento, scende in piazza con la bandiera di Che Guevara.
Ma ce lo dimostra, purtroppo, anche la presenza fascista odierna che puntualmente si vede sulle prime pagine solo se ci scappa un morto.
Il Caso S. dedica questa puntata a Davide ‘Dax’ Cesare, antifascista, ucciso da mano fascista il 17 marzo 2003 (scheda sintetica; DaxVive).
[Bibliografia]
Risorse online
Elenchiamo qui alcune risorse disponibili direttamente online, sugli scioperi del marzo 1943 e sul discorso sulla conflittualità sociale che abbiamo svolto:
- Materiali vari su Mirafiori nel periodo 1940-47 (dal sito: Mirafiori: accordi e lotte)
- Cronologia e testimonianze degli scioperi di marzo 1943 (dal sito dell’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea “Giorgio Agosti”)
- Annale II dell’Istituto Regionale per la Storia della Resistenza e della Guerra di Liberazione in Emilia Romagna: Massimo Legnani, Demonico Preti, Giorgio Rochat (a cura di), Le campagne emiliane in periodo fascista. Materiale e ricerche sulla battaglia del grano, Bologna, Clueb, 1982 (testo pieno in pdf).
- Evviva gli scioperanti di Torino, in «l’Unità», 15 marzo 1943, clicca sulla foto a sinistra per ingrandirla. Reperibile all’indirizzo: http://www.mirafiori-accordielotte.org/wp-content/uploads/2012/10/1943-scioperi.jpg (consultato il 16 marzo 2013).↵
- A.S.Le., Prefettura, Gab., b. 345, f. 4434 «Notizie fiduciarie sulla situazione economica (1941)».↵
- Emilio Sereni, Rapporto sui fatti di Martina Franca, in «Lo Stato operaio», 1930, n. 5-6, pp. 347-354.↵
- Cit. in Paolo Spriano, Gli scioperi del marzo 1943, in «Studi storici», n. 4, ottobre-dicembre 1972, p. 758.↵
- Così Paolo Spriano, Gli scioperi del marzo 1943, in «Studi storici», n. 4, ottobre-dicembre 1972, p. 726.↵
- V. l’importantissimo Annale II dell’Istituto Regionale per la Storia della Resistenza e della Guerra di Liberazione in Emilia Romagna: Massimo Legnani, Demonico Preti, Giorgio Rochat (a cura di), Le campagne emiliane in periodo fascista. Materiale e ricerche sulla battaglia del grano, Bologna, Clueb, 1982, disponibile a testo pieno grazie alla biblioteca digitale dell’Istituto Parri.↵
- Interessante a questo riguardo, anche se di qualche anno fa, il pamphlet di Sergio Luzzatto, La crisi dell’antifascismo, Torino, Einaudi, 2004.↵
-
- Roberto Finzi, L’unità operaia contro il fascismo. Gli scioperi del marzo 1943, Bologna, 1974.
- Massimo Legnani, Demonico Preti, Giorgio Rochat (a cura di), Le campagne emiliane in periodo fascista. Materiale e ricerche sulla battaglia del grano (testo pieno in pdf), Bologna, Clueb, 1982
- Sergio Luzzatto, La crisi dell’antifascismo, Torino, Einaudi, 2004.
- Paolo Spriano, Gli scioperi del marzo 1943, in «Studi storici», n. 4, ottobre-dicembre 1972.
- Giorgio Vaccarino, Gli scioperi del marzo 1943. Contributo per una storia del movimento operaio a Torino, in G. Vaccarino, Problemi della Resistenza italiana, Modena, 1966.
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