Puntata 14 – anno 2, 8 giugno 2013
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Ciao a tutte e tutti da Debs e Piero
Bologna non c’è più
se l’hanno presa loro
è un cumulo di noia
che spendi e paghi caro
Bologna è una carogna
che non ti vuole vivo
da quando non ci sei
Bologna non c’è più
Non ti sei perso niente,
Non ti sei perso niente,
Paz
Con queste parole i Fratelli Severini, storici front men della band combat rock marchigiana The Gang ricordano Andrea Pazienza, artista versatile che scelse di abbandonare la pittura e l’illustrazione per dedicarsi al fumetto, con l’idea di poter raggiungere un pubblico più vasto, simbolo di una generazione di giovani fumettisti che nella produzione underground trovarono una risorsa più che un rifugio, ma soprattutto una Bologna che non c’è più.
«Se l’hanno preso loro» questa Bologna, scenario delle avventure sadiche e violente di Zanardi e i suoi compagni Colasanti e Pietra. Ci sono anche le straordinarie avventure di un Pentothal, altro alter ego, che si trovava così sommerso da ciò che stava succedendo in quel marzo 1977 da raccontarlo in una tavola da pubblicare su Linus in cui confessava che troppo stava succedendo per aspettare un mese per raccontarlo. Ci sono anche gli ultimi giorni di Pompeo, altro protagonista, che quasi come un saggio da entomologo racconta le ultime giornate di un artista sconvolto dalla dipendenza e da un’opprimente solitudine che, forse in Via Emilia Ponente, finì per schiacciarlo.
Rielaborato da Paz nel personaggio di Pentothal, alter ego del fumettista anche lui pienamente immerso in «quella Bologna», le sue «straordinarie avventure» rappresentano appieno la soggettività, parola chiave di quell’anno, e raccontano la vita tra università, cortei, viaggi e sogni, di quello «strano movimento di strani studenti», come titolava un libro dell’epoca. Un racconto che passa prima di tutto per uno stile: rapido ed emotivo, dove l’uso del pennarello o della penna indicano la necessità di non lasciare decantare un’emozione ma di metterla su carta; plurale e variegato, perché le sensazioni che l’autore e il lettore vivono sono tante e contraddittorie, dalla gioia della piazza alla rabbia del lutto fino all’incertezza di un’esistenza che si fa già precaria.
Vignette decostruite o organizzate in una rapida sequenza come una camera che sta riprendendo il reale, come possiamo vedere nelle storie amare di Zanardi, altro alter ego di Paz (forse il suo lato nascosto, perché tanto diverso dall’autore, per la faccia spigolosa e i capelli biondi e per l’essere quasi «cattivo»). Prende vita una forma di racconto a fumetti nuova ed originale, dove l’atmosfera di quegli anni diviene forma d’arte, in cui convivono l’invenzione e un iperrealismo: le storie di Pentothal e Zanardi non sono solo evasione, ma racconto della realtà, dove le vignette arrivano ad unificarsi in una testimonianza generazionale in cui chi legge può immedesimarsi.
Il linguaggio è quello arido, gergale parlato nelle strade e nelle piazze dai fuorisede dell’alma mater e dai giovani disoccupati della periferia bolognese, ma allo stesso tempo offre un ritratto, agrodolce se non drammatico, della sua generazione che assume valore universale. La fretta, l’idea di vivere ora quello che si può, il buttarlo su carta come se non ci fossero filtri fra la testa e la penna, sono tratto comune di tanti autori, che potevamo trovare sulle pagine de Il Male, Cannibale, Frigidaire, le tante riviste vissute da Paz, che non pensavano di sopravvivere a quegli anni.
Andrea Pazienza
E difatti, dopo le piazze ed i sogni di Pentothal, arrivò, come successe a tanti, lo spettro della solitudine, dell’AIDS, dell’eroina a marcare quella generazione: e allora incontriamo Pompeo, l’insegnante nei corsi serali di fumetti, che vaga per una Bologna vuota alla ricerca di qualche grammo di roba e telefona alla madre piangendo, prima di decidere di dire basta, in quella soglia degli anni Ottanta. Più che trovare una biografia, ne «Gli Ultimi giorni di Pompeo» possiamo leggere un monito a fermarsi prima per riprendere fiato e un epitaffio di un cambiamento.
Ma Paz non sarebbe finito qui. Lui non è mai stato né solo Pentonthal, né solo Zanardi, né solo Pompeo: il suo era un segno plurale, che da una pagina all’altra cambiava, non per inseguire virtuosismi di stile, ma perché la vita è tanto variegata. Lì a Montepulciano, dove si era ritirato per sfuggire a una Bologna ormai attraversata da fantasmi, altri lavori erano pronti: tavole che si fanno più chiare, dove il colore e la maturità del tratto si fanno più evidenti, il segno di un altro possibile inizio. Poi no, non c’è stato tempo: anche Paz, forse, si era già spinto troppo in là.
Il 23 maggio di questo 2013, il Comune di Bologna ha apposto una targa alla casa di via Emilia dove Paz abitava: «Ricordare Andrea Pazienza è bello e doveroso per una città gentile come Bologna, che deve la propria crescita civile e culturale ad artisti come lui», ha detto un commosso Merola, sindaco di Bologna; di quella Bologna delle multe e delle denunce agli artisti di strada, quella Bologna dei violenti sgomberi e della polizia in Piazza Verdi, famoso simbolo da sempre di conflittualità e socialità.
Ma del resto, come dicevamo, Bologna non c’è più, se l’hanno presa loro. Non ti sei perso niente Paz, veramente.
E con queste riflessioni vi salutiamo e vi invitiamo a visitare il nostro sito www.casoesse.org e… alla prossima puntata!