Se prendete due esseri umani qualsiasi e leggete il loro genoma, scoprirete che le differenze sono minime (0,1%): ogni 1000 nucleotidi c’è una differenza. Tuttavia, è proprio questa piccolissima frazione di variabilità a spiegare perché non esiste una persona uguale all’altra: ognuno di noi ha i propri tratti fisici caratteristici, la propria predisposizione a certe malattie, la propria sensibilità a un farmaco piuttosto che a un altro. Tutto questo dipende da quello 0,1% di variabilità, che sebbene sembri un piccolo numero, in realtà non lo è affatto: se si considera che il genoma umano è grande circa 3 miliardi di paia di basi, si può calcolare facilmente che questa variabilità si manifesta in almeno 3 milioni di posizioni diverse.
Queste variazioni non sono una indipendente dall’altra: vengono ereditate in blocchi, chiamati aplotipi. Da qui prende il nome il progetto internazionale HapMap, nato nel 2002 per realizzare una mappa il più possibile completa della variabilità presente nel genoma umano. La “mappa degli aplotipi” fa la parte del leone nell’ultimo numero di Nature: la nuova versione (la terza) contiene importanti novità. Al fine di aumentare la risoluzione, è stata infatti arricchita con sette nuove popolazioni: va da sè che più gli individui sono distanti da un punto di vista evolutivo, maggiori sono le differenze che si possono scoprire. Nell’HapMap 1 e 2, erano state esaminate 4 popolazioni: Yoruba nigeriani (YRI), giapponesi di Tokyo (JPT), cinesi Han (CHB) e un gruppo di abitanti dello Utah con origini europee (CEU). La terza versione comprende 7 nuove etnie: cinesi di Denver (CHD), indiani Guajarati di Houston (GIH), africani del sud-ovest degli Stati Uniti (ASW), Luhya (LWK) e Maasai (MKK) del Kenya, messicani di Los Angeles (MXL) e – udite udite – anche un gruppo di toscani (TSI). I ricercatori hanno analizzato più di 1000 campioni derivanti dalle varie popolazioni, esaminando circa 1,6 milioni di SNPs. Non solo, oltre a questi polimorfismi che sono già presenti comunemente sui chip, si è cercato di individuare delle variazioni nuove andando a sequenziare in 692 campioni dieci tratti di DNA, che in totale coprivano una distanza di circa un milione di paia di basi: la strategia del sequenziamento ha permesso di evidenziare varianti non comuni, rare o addirittura “private” (cioè presenti soltanto in un singolo individuo).
Ma cosa possiamo dire della variabilità genetica che c’è invece tra le diverse etnie? Guardate questo grafico. All’aumentare del numero di individui analizzati, cresce ovviamente il numero di SNPs, cioè il numero di varianti che si riescono a individuare. Le popolazioni, però, sono chiaramente divise in due gruppi: più in alto ci sono gli africani, più sotto tutti gli altri. Questo conferma un dato importante che già era noto in passato: il DNA degli africani è molto più variegato di quanto non lo sia quello del resto del mondo.
E i nostri toscani? A chi assomigliano di più? La risposta la dà questo istogramma, che evidenzia il livello di similarità tra popolazioni. La barra nera indica quanto sono simili gli individui appartenenti alla stessa popolazione: ovviamente, è la barra più alta in tutti i casi. Per quanto riguarda i Toscani (TSI), la popolazione geneticamente più vicina è la CEU (cioè il gruppo di europei che abita nello Utah): non c’è da sorprendersi, sono le uniche due popolazioni di origine europea presenti nel dataset. Qualcosa di più interessante è emerso invece da un’altra analisi fatta dai ricercatori, quella che va a cercare nei geni i segni della selezione naturale positiva, cioè le tracce lasciate per così dire dall’evoluzione. Dai risultati, pare che i Toscani abbiano sviluppato dei geni particolari coinvolti nellla pigmentazione, nella guarigione delle ferite e nel senso dell’olfatto: queste varianti si sono formate spinte da una necessità che dipende probabilmente dall’ambiente e dalla cultura del luogo di origine, e sarà quindi interessante provare a scoprire quali siano le spinte evolutive che ha subito la popolazione toscana. Comunque, poiché la TSI è l’unico gruppo di italiani presenti nel dataset, è possibile che questo discorso resti valido per l’Italia nel suo complesso.
Dobbiamo sempre tenere a mente che lo studio della variabilità contenuta nel genoma umano è il primo passo per identificare le relazioni tra specifiche varianti e tratti fenotipici. Quando un’azienda di personal genomics testa il vostro DNA e vi dice che avete una predisposizione a una certa malattia è perché nel vostro genoma c’è un polimorfismo che è stato visto essere statisticamente più presente nei soggetti con quella patologia; se però quella posizione del DNA non fosse stata identificata come un punto di variabilità da parte di consorzi come HapMap, essa non sarebbe stata mai neppure presa in considerazione. Ecco perché è importante scoprire un numero sempre maggiore di questi polimorfismi, senza accontentarsi di quelli più frequenti: più varianti si conoscono, migliori studi di associazione si potranno fare in futuro.