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Vecchia america

Creato il 24 gennaio 2011 da Pickpocket83

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Le radici del Grande Cielo perse sulle prue umide della navi di popoli migranti in cerca di terra vergine, approdate sul sacro suolo occupato dai Nativi. L’epopea della conquista del Nuovo Mondo, delle sue Pocahontas e delle sue foreste. Poi il mito della frontiera, la corsa all’oro, il cavallo di ferro di John Ford e i suoi strenui oppositori, i Cable Hogue e le Ella Garth. Una guerra di indipendenza ed una guerra civile, spaventosa: solo le prima di una serie senza fine di guerre, combattute in nome della democrazia e della libertà. La nascita di una nazione sui filamenti bruciacchiati di una bandiera trapassata dai proiettili dei “sudisti”. John Huston, prima di Eastwood in “Flags of our fathers”, ha celebrato la bandiera a stelle e strisce e le profonde divisioni/contraddizioni di cui è sintesi. Fango sulle stelle in “The Red badge of Courage”, tratto dalla grande pagina di Stephen Crane. Huston, in quel film, fece interpretare il ruolo di una giovanissima recluta degli stati del Nord ad Audie Murphy, l’eroe di guerra che durante il secondo conflitto mondiale aveva seppellito 250 tedeschi. Un Little Dieter americano che schivata la morte in battaglia aveva scelto di diventare fantasma di luce, attore per il grande schermo. Huston conosceva bene quel fronte e conosceva le devastazioni psichiche che aveva prodotto in centinaia di sopravvissuti. Non è un caso se il suo documentario “Let there be light”, sulle devastazioni psichiche dei reduci della seconda guerra mondiale, nonostante l’invocazione alla visibilità sia stato invisibile per anni come uno spettro, rimosso come un segno rosso di infamia e vergogna. Il sonno della ragione che partorisce abomini di guerre giuste e predicatori assassini. Il puritanesimo come tratto distintivo dell’America profonda, misterica, faulkneriana. Due film speculari e complementari, ideali lato A e lato B per raccontare lo stesso identico viaggio all’Inferno senza ritorno: “La morte corre sul fiume” e “Il figlio di Giuda”. Harry Powell e Elmer Gantry. Mitchum e Lancaster nei panni dello stesso mostro a due teste, un Giano Bifronte che parla la lingua schietta della bestemmia e brandisce la spada luccicante della giustizia divina. Una chiesa senza Cristo che brucia sullo sfondo, come quella predicata da Hazel Motes nel “Wise Blood” hustoniano. La saggezza del sangue ribolliva anche nei polsi di Elia Kazan. Sua una delle più belle parabole sulla fine del sogno americano di inclusione e progresso. Sangue e fiumi, l’inarrestabile fluire del “Wild River” Tennessee e il suo violento atto d’accusa contro la politica dei burocrati e dei cacciatori di voti, che costruisce dighe in nome di un’idea sbagliata di nazione. E poi il cinema. Tutto il vecchio cinema dentro il cinema nuovo. L’occhio che uccide la luna di carta. Un set di Roger Corman si frantuma sotto i nostri occhi e si ricompone all’inizio di un altro film, l’ennesimo. Quello in cui Boris Karloff  schiaffeggia il serial killer nascosto dietro lo schermo.
 

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