di Gianluca Avagnina. Immaginatemi comodamente seduto in salotto dopo una lunga giornata di fatiche a Dublino. Per cena c’è Servizio Pubblico in streaming, uno dei pochi modi che mi rimangono per rimanere aggiornato su quello che accade in Italia — e, strano caso, era uno dei pochi modi rimasti perfino quando risiedevo ancora stabilmente nel Bel Paese). A un certo punto Santoro chiede a Di Pietro se i vecchi leader, in un contesto politico che sta cambiando rapidamente, non debbano iniziare a ragionare nel seguente modo: ‘Io ho fatto quello che dovevo fare fino a questo punto, adesso mi faccio un po’ da parte e aiuto anche affinché un ricambio venga avanti nel Paese’.
Domanda legittima, e pensiero nobile. Ma tale domanda non è stata forse formulata proprio da un componente della ‘vecchia guardia’?
Senza mancare di rispetto a Santoro, per cui nutro profonda stima professionale, vorrei comunque ricordare la sua leva: 1951.
Il discorso ‘pensionamento’ dei giornalisti è sicuramente differente da quello riguardante i politici, i primi almeno teoricamente non interessati dalle ovvie controindicazioni di gestire il potere per troppo tempo.
Ma un ricambio è necessario anche lì. E il problema non è Santoro che, da parte sua, sta in qualche modo contribuendo a tale ricambio, facendo lavorare nel suo programma giovani giornalisti come Giulia Innocenzi (una delle poche, davvero poche, giovani figure nelle tv italiana, escludendo ovviamente dalla categoria la mole imbarazzante di veline-vallette/tronisti e derivati).
Il problema è che il ricambio, un vero ricambio, non avviene non solo nel giornalismo, ma più in generale in tutti i settori lavorativi in Italia. Tra chi rimane ‘attaccato alla poltrona’ e un sistema che spinge le persone a lavorare fino ad età sempre più tarda, il risultato è pressoché scontato: niente lavoro per i giovani.
O comunque un lavoro precario e sottopagato. E chissà che altro accadrà, per i giornalisti, se saranno soppressi i pubblicisti, come da decreto del governo Monti.
La mia reazione alle parole di Santoro è stata diretta conseguenza di una conferenza che avevo seguito nel pomeriggio proprio a Dublino, nella quale ci si interrogava sul perché ci fossero così pochi giovani coinvolti nelle radio nazionali. Ed è vero che ce ne sono pochi, ma solo se consideriamo quello che va effettivamente ‘in onda’, mentre mi sembra che di giovani impiegati dietro le quinte ce ne siano eccome. Durante una mia breve visita alla Marconi House di Dublino, sede, tra l’altro, dell’emittente nazionale Newstalk, mi sono sorpreso della percentuale di giovani che lavorava alle scrivanie della redazione.
Non penso avrei mai potuto vedere una scena simile in Italia.
Qui c’è ancora rispetto per le ‘internship’, i tirocini lavorativi, dove ci si può ancora aspettare di essere almeno un minimo pagati. E non tutto funziona ‘a raccomandazione’ come da noi. C’è rispetto per il talento e la bravura, come per la buona musica e l’arte.
Gli Irlandesi saranno anche messi male come noi, economicamente, ma mi pare che la loro società sia decisamente più giusta della nostra.
In merito perché non sia possibile farlo anche in Italia, non ho risposta. Ma intanto Santoro prenda nota.
Featured image Michele Santoro.
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