Il più delle volte, la metafora utilizzata per descrivere un Paese in forte espansione rimanda all’immagine di una locomotiva in corsa. Tale è l’associazione che emerge da alcuni contributi in merito al recente sviluppo economico e geopolitico del Brasile.
Dai primi anni del nuovo secolo, l’economia carioca è cresciuta con una media del 4%. Questo grazie alla combinazione di misure macro-economiche mirate, all’affermazione di un regime democratico stabile e ad una politica sociale generosa, il tutto facilitato dalla cospicua disponibilità di risorse naturali.
Ciò nonostante, la prospettiva futura di una crescita e di un’espansione sul solco finora tracciato sembra si sita allontanando. Dal 2011 la locomotiva sudamericana si trova in uno stato di stallo, determinato tanto dalla crisi finanziaria in atto quanto dal persistere di una serie di problematiche interne, ancora non risolte.
In questo contesto si colloca il presente elaborato, con l’obiettivo di fotografare i principali aspetti della realtà brasiliana che rendono il Paese un soggetto dal peso specifico non indifferente nell’arena internazionale. Per riuscire a mantenere e ad accrescere tale status, il Brasile deve ora rispondere a delle questioni dall’importanza rilevante per il suo sviluppo futuro.
La lente geopolitica permetterà di evidenziare due delle risorse di potenza al centro dell’attuale dibattito internazionale – il petrolio e la foresta amazzonica – e di descrivere come queste si inseriscono nel discorso, quali ingranaggio fondamentale del motore brasiliano e fonte di sfide ulteriori tutt’altro che semplici.
La “B” di BRIC, nel contesto globale
Nel 2003, il termine BRIC è stato coniato dagli analisti della Goldman Sachs al fine di descrivere i mercati emergenti di quattro Paesi: Brasile, Russia, India e Cina(1). È stato stimato che intorno al 2020 la crescita globale sarà composta, per circa la metà, dal loro PIL(2).
Negli ultimi anni, il Brasile è riuscito a svincolarsi dalla solita immagine di nazione debitrice latinoamericana per vestirne una nuova di autorevole interlocutore, sia a livello macro-regionale che internazionale. Lo dimostra lo spirito con cui Dilma Rousseff si è recata lo scorso aprile a Washington. L’intenzione principale dell’incontro era la richiesta di un supporto, da parte statunitense, attraverso cui ottenere un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
In realtà, la presidentessa era determinata non solo a ottenere un riconoscimento politico quale rinnovato protagonista della scena globale, ma anche a riequilibrare il potere decisionale all’interno degli organi internazionali, ormai poco aderenti alla realtà attuale(3). Per il governo brasiliano, il tentativo è giustificato dal crescente peso dei propri contributi alle istituzioni del sistema. Tra il 2004 e il 2009, i trasferimenti alla Banca Mondiale hanno raggiunto una media annua di 253 milioni di dollari, mentre dal 2003 al 2007 quelli elargiti per finanziare le operazioni ONU nel mondo ammontavano a circa 340 milioni di dollari(4).
In questo senso va intesa anche la posizione mantenuta di fronte alla crisi del debito in Europa. Durante il summit UE-Brasile dello scorso ottobre, la presidentessa sudamericana ha rinnovato l’aiuto ai Paesi del vecchio continente. La strategia consiste in un’assistenza indiretta mediante il versamento di 10 miliardi di dollari al FMI, procedimento considerato meno rischioso rispetto a un intervento diretto volto all’acquisto di titoli di stato dei Paesi in difficoltà(5).
Benché controverso, un altro caso che ben descrive le mire brasiliane è il voto contrario alle sanzioni ONU del 2010 promosse dagli Stati Uniti contro l’Iran. Forte del successo ottenuto dal cambio di strategia nucleare, l’allora presidente Lula intendeva esercitare quella “autorità morale” derivante dall’essere l’unica nazione, all’interno dei BRICS, a non possedere armi nucleari(6). Insieme al governo turco, l’obiettivo era di persuadere Teheran affinché mandasse il suo uranio all’estero per l’arricchimento, ma la questione non si chiuse con un risultato positivo. Il giorno dopo la sigla dell’accordo che ufficializzava i negoziati intrapresi, Hilary Clinton ha annunciato il voto a favore delle sanzioni di Cina e Russia, considerate fino a quel momento contrarie, lasciando Lula isolato in una delle più importanti questioni di sicurezza internazionale(7).
In conclusione, quantunque oggi un seggio permanente e una più equilibrata rappresentanza degli Stati emergenti non siano diventati una realtà effettiva in seno all’ONU, le modalità brasiliane adottate per perseguire tali scopi evidenziano due aspetti fondamentali. Da un lato, mostrano come l’uso di una politica di supporto economico nei diversi contesti di crisi sia un mezzo che il Brasile sfrutta al fine di accrescere la propria influenza e reputazione nell’arena globale. Dall’altro, confermano che senza un riconoscimento prima di tutto politico, gli alti tassi di crescita e i risultati macro-economici invidiabili da soli non bastano a garantire capacità di influenza e potere decisionale.
Uno sguardo interno
All’inizio del discorso, si è parlato della disponibilità di risorse naturali quale elemento di una fortunata combinazione che ha garantito all’economia brasiliana un tasso di crescita sostenuto. I giacimenti di petrolio, gas naturale e uranio, insieme al 18% delle risorse idriche mondiali e alla più estesa porzione di territorio nel polmone della Terra sono solo alcune delle risorse di potenza che il Brasile può vantare a livello internazionale. Nel corso degli anni, il ruolo di grande esportatore ha generato stretti legami commerciali con altri Paesi – caratterizzati dalla crescente domanda di materie prime, come ad esempio la Cina(8) – volgendo tale circostanza a favore di misure tese al miglioramento della condizione economica interna.
Dalla metà degli anni ’90, le diverse amministrazioni hanno sostituito le precedenti e poco adatte politiche di stabilizzazione con una serie di interventi indirizzati all’abbassamento delle tariffe, all’apertura dei mercati e alla privatizzazione delle industrie. Nel 1994, inoltre, è stata introdotta una nuova moneta – il real - che ha permesso un controllo dell’inflazione.
Con l’arrivo del presidente Lula la linea tracciata da queste azioni si è consolidata. Nel 2003 è stata inaugurata una poderosa riforma dello stato sociale e di protezione del reddito, denominata Bolsa Família(9) il cui effetto ha allargato enormemente le file della classe media brasiliana, facendo uscire dalla povertà milioni di persone. Grazie alla reputazione di democrazia stabile, il Brasile è stato considerato sempre più un investimento sicuro. In tal modo, il governo ha potuto accumulare una quantità rilevante di riserve estere, sostenendo il rafforzamento interno e fronteggiando la crisi del 2008 senza particolari problemi.
Malgrado ciò, secondo alcuni analisti la dipendenza dalle esportazioni e la conseguente esposizione ai loro mutamenti – sia in termini di prezzi che di domanda dei partner commerciali – sono una delle cause principali del rallentamento carioca. In un suo recente contributo, Ruchir Sharma(10) evidenzia tra gli altri proprio tale aspetto, collegandolo tanto al particolare calo della domanda cinese quanto al più generale rallentamento di quella mondiale, derivante della recessione in atto in alcune aree del globo.
Benché veritiera, una visione del genere permette di cogliere solo in parte le problematiche che interessano l’amministrazione Rousseff. Vi sono altri aspetti che sollevano dubbi maggiori nella realtà attuale: uno di questi è il sistema delle infrastrutture, considerato non più adatto alle dimensioni e allo sviluppo brasiliano. Secondo quanto rileva un articolo del The Economist(11), l’esportazione di materie quali soia, minerali e petrolio si muove su strade accidentate, porti antiquati e su una rete ferroviaria ridotta. Il tema è ben noto alle autorità e il governo ha deciso di affrontare il problema attraverso un piano di investimenti a lungo termine(12), ma il percorso intrapreso verso la risoluzione è ancora lungo.
Al fine di chiarire quanto si sta affermando è rilevante un altro aspetto: il cosiddetto “costo brasiliano”, ossia una condizione che ha reso il Paese un luogo costoso dove investire o produrre. In un articolo, il The Economist(13) riporta le parole di Carlos Shosn, AD di Renault e Nissan, secondo il quale è diventato più conveniente importare acciaio prodotto in Corea del Sud con materie prime brasiliane, che acquistarlo in loco. Le ragioni che spiegano tale situazione sono molteplici, ma tra le più importanti figurano la crescita dei salari a dispetto di una produttività stagnante, il sistema infrastrutturale carente, il crescente peso della spesa pubblica sul PIL e la quantità degli investimenti pubblici che, nonostante il recente aumento, rimane insufficiente.
In linea generale, quantunque la dipendenza dalle esportazioni di materie prime e risorse naturali sia un ostacolo se non controbilanciata da una diversificazione dell’economia, il Brasile non può lasciare irrisolte le sue problematiche strutturali. Un ritardo nel cammino verso questo obiettivo può tradursi in una seria minaccia per la competitività internazionale del Paese.
Oro nero e oro verde
Il 28 giugno scorso, Repsol ha annunciato la scoperta e l’esplorazione di due nuovi giacimenti pre-sal, al largo delle coste di Rio de Janeiro. Secondo i risultati ottenuti dalle operazioni di sondaggio, le stime del petrolio recuperabile si aggirano intorno ai cinquanta miliardi di barili. A luglio, l’amministratore della sede londinese di Petrobras – compagnia petrolifera statale – ha annunciato che le riserve offshore brasiliane ammonterebbero a circa sessanta miliardi di barili, poco meno di quelle di Gran Bretagna e Norvegia nel Mar del Nord.
In totale, il Brasile possiede il 5% di tutta la riserva petrolifera presente in America Latina e, mantenendo gli attuali ritmi di produzione, ne garantirà l’approvvigionamento per i prossimi trent’anni. Oltre a proiettare il Paese ai primi posti nella classifica mondiale degli Stati produttori, questi dati evidenziano il ruolo che l’oro nero gioca sia in quanto elemento fondamentale per il suo sviluppo economico, sia quale risorsa di potenza necessaria al mantenimento del suo potenziale strategico. In questo modo, con il Medio Oriente scosso da conflitti che ne minano la stabilità, la multipolarità del sistema internazionale attuale offre allo Stato sudamericano la possibilità di sfruttare a proprio favore i nuovi equilibri che potranno crearsi.
Benché la situazione presenti un vantaggio comparato oggettivo, le sfide che vi si celano richiedono uno sforzo importante da parte dell’amministrazione brasiliana. I nuovi giacimenti si trovano in pieno oceano Atlantico e sono nascosti a una profondità di circa settemila metri. In questi casi, l’estrazione del petrolio è caratterizzata da un elevato rischio ambientale, per via dell’erosione dei materiali impiegati e della difficoltà di superare lo strato di sale che ricopre i pozzi. Nonostante già dai primi mesi del 2012 si siano verificati una serie di incidenti importanti, causando il versamento di ingenti quantità di greggio in mare, Petrobras ha deciso di puntare sullo sviluppo di questo settore e ha annunciato un piano di investimenti di 224 miliardi di dollari.
Questo dimostra quanto la zona dell’Atlantico meridionale sta riacquisendo un’importanza strategica non indifferente, attirando l’attenzione di altri attori internazionali e locali. In quest’area, infatti, gli USA realizzano il 38% del loro volume d’affari, insieme al transito del 34% del petrolio importato. Anche la Cina è coinvolta nelle vicende della regione e, grazie alle strette relazioni costruite a suon di investimenti, è riuscita ad ipotecarsi una fonte sicura per la sua “sete energetica” negli anni a venire. Così, il Brasile si trova impegnato su un nuovo fronte che risulta fondamentale al raggiungimento dello status di potenza, nel quale però gli interessi nazionali di altri soggetti si fondono a strategie geopolitiche e d’influenza.
Anche se rilevante, quanto appena descritto rappresenta solo una delle “partite” i cui effetti si estendono all’intera arena globale. La questione legata alla foresta amazzonica è un chiaro esempio al riguardo, dimostrato dal peso acquisito dal vasto territorio nel corso del tempo.
Con circa sette milioni di chilometri quadrati, di cui il 65% in terra brasiliana, il polmone del mondo si è rivelato fonte di grandi risorse generando così forti interessi non solo economici. Grazie allo sfruttamento dell’area, il Brasile ha aumentato le esportazioni nel settore agricolo-alimentare e di materie prime, quali legno e minerali, diventandone uno dei maggiori esportatori su scala mondiale.
Pur essendo confermato l’elevato potenziale strategico della zona, il costo ambientale sostenuto dal paese sudamericano e dal mondo intero rimane alto. I risultati macro-economici sono stati ottenuti a spese di una deforestazione progressiva che sta creando gravi danni alla biodiversità della foresta, avendo ripercussioni dirette anche sul cambiamento climatico globale(14).
Nel giugno scorso, si è svolta la conferenza ONU Rio+20 il cui scopo principale è stato il rinnovamento degli impegni politici internazionali in tema ambientale e la verifica dell’attuazione di quelli assunti negli ultimi decenni. Inoltre, è stato previsto uno sforzo congiunto a livello internazionale riguardo al potenziamento dell’economia verde, in un contesto di sviluppo sostenibile in grado di affrontare le problematiche derivanti dalla deforestazione e dall’esaurimento delle risorse naturali. Nonostante tali obiettivi, il documento finale dell’incontro è risultato un elenco di buoni propositi, privo di indicazioni precise, strumenti operativi e soprattutto fondi.
Durante questi anni, l’impegno dell’amministrazione brasiliana nella tematica ambientale è cresciuto enormemente. Attuando politiche domestiche improntate alla salvaguardia forestale(15), ha conseguito risultati rilevanti assumendo il ruolo di grande promotrice e importante voce nel dibattito internazionale. Nel periodo tra agosto 2011 e luglio 2012 il tasso di deforestazione si è ridotto, confermando le volontà inscritte nel Piano Nazionale sul cambiamento climatico. Il dato è controbilanciato, però, da quanto affermano alcune organizzazioni operanti nell’area, secondo cui la recente approvazione del nuovo codice forestale brasiliano indebolirebbe le misure tese alla protezione della foresta. La decisone, poi, di proseguire nella questione della diga idroelettrica di Belo Monte – un progetto che sconvolgerà l’assetto idrologico di un’ampia zona di foresta, ma considerato essenziale allo sviluppo del Paese – contribuisce all’ambiguità delle politiche attuate.
Il discorso descritto finora evidenzia il filo rosso che unisce queste due risorse di potenza: entrambe sono fattori essenziali per lo sviluppo economico e geopolitico brasiliano.
Sul piano interno, Il loro potenziale strategico è in grado di fornire gli strumenti necessari alla risoluzione delle problematiche di cui si è parlato in precedenza, che rappresentano un freno alla spinta in avanti del Brasile. Lo dimostra la recente legislazione in merito alla gestione dei depositi petroliferi pre-sal, prevedendo un modello rinnovato di partecipazione ai ricavi per la nuova entità statale Petrosal. I proventi derivanti dall’attività di estrazione saranno usati come fonte di finanziamento dell’istruzione e della ricerca tecnologica(16).
Sul piano esterno, lo sfruttamento del loro potenziale geopolitico fornisce al governo brasiliano il contributo fondamentale al raggiungimento e al mantenimento del ruolo di attore cardine nelle dinamiche politiche globali negli anni a venire, confermando le previsioni future di molti analisti.
In definitiva, la sfida che dovrà affrontare l’amministrazione Rousseff – insieme alle altre che seguiranno – sarà la ricerca di un compromesso che possa conciliare le ambizioni brasiliane in politica estera e la loro sostenibilità, non solo ambientale, acquisendo così una forte credibilità quale nuovo e importante giocatore internazionale.
*Massimo Aggius Vella è laureando in Scienze Politiche e di Governo, presso l’Università degli Studi di Milano
NOTE:
(1) Nel corso degli anni, al termine è stata aggiunta una “S” per indicare l’ingresso nel “club” di un nuovo Paese, il Sud Africa.
(2) Il dato citato è presente nell’articolo di Julia E. Sweig “A new global player”, consultabile all’indirizzo http://www.foreignaffairs.com/articles/66868/julia-e-sweig/a-new-global-player.
(3) Il dibattito sulla ridefinizione del peso dei Paesi emergenti all’interno degli organismi internazionali è stato anche il tema principale del recente G20 in Messico.
(4) Le cifre sono riprese da un articolo di E. J. Gómez, pubblicato da Foreing Policy e consultabile all’indirizzo http://www.foreignpolicy.com/articles/2012/03/20/brazils_european_dream.
(5) Gli sforzi profusi sul fronte degli organismi internazionali non esauriscono gli ambiti d’azione in cui il Brasile ha dato prova di una crescente volontà di intervento. Nel corso degli ultimi anni, Brasilia ha acquisito un ruolo sempre più decisivo su questioni quali l’ambiente ed le energie rinnovabili, la lotta all’AIDS e nella gestione della crisi haitiana post-terremoto. A queste va aggiunto l’invio di truppe nelle missioni di pace ONU in Liberia, Repubblica Centrafricana, Costa d’Avorio e Timor Est.
(6) Nel 1988, con l’entrata in vigore della nuova costituzione, il Brasile ha ufficialmente abbandonato l’utilizzo e il possesso di armi nucleari. Nel 1998, con la firma del Trattato di Non-proliferazione Nucleare, il passo in avanti verso questa linea è stato rafforzato.
(7) Secondo alcuni analisti, l’opposizione agli USA e il recente viaggio della presidente Rousseff a Cuba hanno influito sul mancato appoggio americano alle richieste brasiliane. Secondo altri, invece, le motivazioni sono più profonde. Da un lato, il fatto di non essere una potenza nucleare preclude la possibilità, per il Brasile, di farsi carico delle problematiche di sicurezza globale. Dall’altro, ciò che influisce negativamente è la scarsa importanza della macro-area latino americana nelle strategie statunitensi.
(8) Nel 2009, la Cina ha spodestato gli Stati Uniti dal ruolo di principale partner commerciale brasiliano.
(9) Il programma prevede una “stabilità a qualsiasi costo” mediante aiuti alle famiglie disagiate (vincolati alle vaccinazioni e alla frequenza regolare degli istituti scolastici da parte dei figli) e attraverso l’istituzione di un salario minimo garantito. Malgrado il piano abbia dato risultati positivi, i tassi di povertà e di ineguaglianza sociale rimangono ancora rilevanti all’interno del Paese.
(10) Ruchir Sharma è capo dell’Emerging Markets Equity team, all’interno di Morgan Stanley, ed autore del libro Breakout Nations. Nel suo articolo descrive in maniera approfondita alcuni aspetti economici brasiliani, aprendo un interessante dibattito con altri analisti. I contributi possono essere consultati ai seguenti indirizzi: http://www.foreignaffairs.com/articles/137599/ruchir-sharma/bearish-on-brazil e http://www.foreignaffairs.com/articles/137730/shannon-k-oneil-richard-lapper-larry-rohter-ronaldo-lemos-and-ru/how-busted-is-brazil.
(11) L’articolo è consultabile all’indirizzo http://www.economist.com/node/21560565
(12) Un interessante articolo al riguardo è presente all’indirizzo http://internacional.elpais.com/internacional/2012/08/15/actualidad/1345053092_444063.html
(13) Per una trattazione più approfondita dell’argomento si consiglia la lettura dell’articolo all’indirizzo http://www.economist.com/node/21560557
(14) Il Brasile è il quarto paese emettitore di CO2 a livello globale e il 75% dei gas serra (GHG) emessi dipendono proprio dalla deforestazione. I dati sono consultabili all’indirizzo http://www.greenpeace.org/italy/it/campagne/foreste/amazzonia/Lallevamento-bovino/
(15) Il governo ha proposto l’istituzione di una “Bolsa verde” globale: un sistema di incentivi a favore di chi vive sotto la soglia della povertà, vincolato al rispetto dell’ambiente e alla promozione di attività sostenibili.
(16) I dati citati sono consultabili nell’articolo pubblicato da Foreign Affairs, presente all’indirizzo http://www.foreignaffairs.com/articles/66868/julia-e-sweig/a-new-global-player
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